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SISTEMA IMMUNITARIO

E LIBERTA’ DALLA PAURA

a cura di Valdo Vaccaro

Sto con te ma permangono alcune perplessità

Ciao Valdo, sono Jacopo, il ragazzo che ti interpellò sul problema dell’influenza suina.

Continuo a leggere le cose interessanti che scrivi e vorrei in proposito porti alcune domande.

Condivido appieno le argomentazioni delle tue ultime tesine inerenti la salute e la malattia, ma ho qualche perplessità che vorrei chiarire.

Epatite, tifo, malaria, vaiolo, febbre gialla, mica sono uno scherzo

Come mai si prende l’epatite o comunque si ammala il fegato se mangiamo qualcosa di spregevole o beviamo dell’acqua sporca, come può succedere in certi paesi arabi, in giro per il mondo o persino da noi? Per non sbagliare, un tipo che conosco è andato in Indonesia nella giungla e si è fatto il vaccino per il tifo, l’epatite A e B, e la profilassi per la malaria.

E le varie malattie tipo vaiolo e febbre gialla? Per quest’ultima alcuni paesi impongono la vaccinazione, altrimenti non ti fanno manco entrare.

Come si fa a non ammalarsi?

Come si fa a non ammalarsi senza queste profilassi, che oltretutto io non vorrei mai fare, e tengo a precisarlo?

Ce n’è veramente bisogno?

Ad esempio, come si fa ad essere immuni alla malaria che è un parassita?

Viste le tue ottime, per non dire perfette condizioni di salute interna (non ti sto prendendo in giro, e so che quando le citi non lo fai per vantarti ma piuttosto per far comprendere alla gente i benefici di una dieta virtuosa e di una vita sana), cosa succede se una zanzara portatrice del parassita della malaria ti punge?

I meccanismi infermizzanti del freddo

Poi, più banalmente, quali sono i meccanismi infermizzanti del freddo, che colpisce preferibilmente l’apparato respiratorio con raffreddori, bronchiti e polmoniti?

Lo so che non è il freddo in sé ma piuttosto lo stato di intossicazione interna.

Mi chiedo però cosa succede all’interno del corpo.

Le verdure ricche di nitrati sospetti

Alcune verdure che normalmente consumo e che mi piacciono, tipo spinaci, bietoline, erbette e sedano, contengono nitrati i quali, grazie alle vitamine e ad altri componenti bilancianti delle piante stesse, non si trasformano nei micidiali e cancerogeni nitriti, tipici dei salumi.

Ma nel caso di stoccaggio prolungato ed imperfetto, come può succedere sia dal fruttivendolo che al supermercato, la perversa trasformazione potrebbe pure aver luogo.

Ho letto questo su alcuni siti che consigliano di non abbondare con queste verdure.

A me la cosa non convince troppo. Cosa ne pensi?

In definitiva, che tipo di acqua bevi?

Scrivi molto in merito all’acqua giusta da bere.

Ma tu, in definitiva, quando stai in Italia, che tipo di acqua bevi?

Come si fa a bere l’acqua piovana se è inquinata?

I giapponesi, le alghe e il pesce crudo

Che ne pensi delle alghe come cibo contenente il maggior numero di elementi nutritivi in assoluto?

Mi riferisco a vitamine, minerali, enzimi, ormoni.

Come mai non ne parli?

C’è mica qualche controindicazione?

Come mai i giapponesi hanno un alto tasso di longevità, mangiando alghe e pesce crudo?

Il supervitaminico frutto indiano amalaki e il kiwi giallo

Hai mai sentito parlare dell’amla o amalaki, un frutto indiano che da noi non si trova, ma che contiene 445 mg di vitamina C per 100 grammi di prodotto?

L’hai mai mangiato? Lo consiglieresti?

Ho anche una curiosità sul kiwi gold, anch’esso molto ricco di vitamina C.

Ho letto che non è una pianta spontanea, ma frutto di incroci naturali, ma pur sempre incroci.

Cosa ne pensi?

Ti ringrazio per l’attenzione e la disponibilità.

Jacopo

La strabiliante importanza di un fegato sano, e l’ovvia paura dell’epatite

Ciao Jacopo, mi stai sottoponendo a un interrogatorio stile Gestapo.

La salute interna dell’uomo, scordando per un attimo il basilare muscolo cardiaco che associato ai polmoni detta il ritmo vitale, sta tutta nell’organo epatico, in quella complessa e superintelligente centrale biochimica chiamata fegato.

Il fegato è così profondamente interrelato ed interconnesso con tutto il resto che possiamo benissimo dire che uomo uguale fegato, oppure uomo sano uguale fegato sano.

Ti assicuro che un fegato funzionante, e tenuto responsabilmente in buon ordine, non si ammala facilmente, non cade preda di ipertrofie, ingrossamenti, infiammazioni, disfunzioni, o di semplici intasamenti delle proprie cellule morte suddivise nei diversi virus che portano la medicina monatta

a classificare i disturbi in epatite A, B, C, D ed E, spaventando il mondo intero con la solita parola terroristica contagio.

Il cancro non si sviluppa mai se non c’è stato prima un danneggiamento del fegato e una caduta del sistema immunitario

Il dr Max Gerson, una delle massime autorità mondiali nel recupero dei malati di cancro, incluso a volte quelli terminali, usava dire che per il cancro ci vogliono dei componenti specifici cellulari (eccesso di sodio e carenza di potassio nelle cellule, eccesso di acqua, e tendenza delle cellule stesse a nutrirsi di fermentazione e non di ossidazione), e ci vogliono dei componenti generali corporali.

In questi componenti generali causatori del cancro, citava per l’appunto il deterioramento degli organi essenziali, mettendo il primo luogo il tratto digestivo ed il fegato.

Il cancro, ad esempio, non si sviluppa mai, se prima non c’è stato prima un danneggiamento del fegato (con cambiamenti funzionali associati ai reni, alla bile e al sistema linfatico) e un fallimento parziale o totale del sistema immunitario, le sue specifiche parole.

La cura migliore per distruggere l’organo epatico

Come si fa ad ammalare il proprio fegato?

E’ molto semplice.

Vuoi la cura migliore per distruggerlo?

Carne, pesce, latticini, uova, salumi, dolciumi, cioccolatini, caramelle, merendine, integratori sintetici, caffè, the, alcol, zucchero, sale, farmaci e vaccini, e lo stendi al tappeto al pari di un pugile suonato.

Vedrai che a quel punto si intaserà delle sue stesse ceneri virali, boccheggerà e chiederà aiuto non si sa a chi, implorerà la misericordia divina, o la magia del santo protettore dei fegati, o un epatoprotettore non-farmaceutico.

L’unico a poterlo salvare sarà in quel caso un processo di disintossicazione accelerata chiamato digiuno, e l’adozione immediata di una politica nutritiva finalmente virtuosa e rispettosa delle sue caratteristiche di fegato umano-fruttariano, di fegato incapace di demolire sostanze estranee come il colesterolo.

L’essere umano non è quel verme indifeso e vulnerabile che la medicina pretende

Il fatto è, caro Jacopo, è che l’essere umano non è quel verme privo di spina dorsale, succube di ogni malanno e di ognuna delle 40 mila malattie elencate nel carnet medico, che la medicina ama proporre.

E’ verissimo che ci sono in giro molti più malati che sani.

Questo però succede perché sono tutti in cura, tutti clienti del salumiere, del medico della mutua e del farmacista.

Tutti a mandar giù farmaci e integratori, tutti a drogarsi da mattino a sera, mentre la frutta resta sui rami, o cade a terra abbandonata, o viene trasformata in velenosi vini e sidri

Tutti a mandar giù pasticche e a cercare integratori.

Tutti a drogarsi da mattina a sera, mentre fichi e cachi restano sugli alberi a vantaggio degli uccelletti.

Mentre noci e susine restano abbandonate al suolo, preda di lumachoni e di formiche.

Mentre milioni di chilometri di vigne regalano tonnellate di ottimi frutti trasformati indecentemente in imbevibili sostanze alcoliche chiamate vini doc, gustose per il palato ma micidiali per la biochimica corporale ed epatica.

Mentre il 70% delle terre coltivate è riservata ai disgraziati dei penitenziari agricoli, ai bovini e ai maiali da macello, ed è preda esclusiva della Monsanto Incorporation, maggiore inquinatore mondiale coi suoi erbicidi, coi suoi fertilizzanti sintetici e coi suoi sinistri OGM, organismi geneticamente modificati.

L’uomo è un’autentica macchina da guerra

La realtà è che ognuno di noi, con un minimo di accortezza e di sale in zucca, è un orologio perfetto, ed anche un’autentica macchina da guerra, dotata di un sistema complesso ed articolato di protezioni e di ponti levatoi, al pari degli antichi castelli medievali.

I medici gli hanno dato un nome e lo definiscono sistema immunitario.

Poi, siccome fa loro concorrenza sleale, essendo lui stesso un medico, ma con l’aggiunta della perfezione e dell’infallibilità, lo mettono in disparte e si sostituiscono ad esso, combinandone regolarmente di cotte e di crude.

La distinzione tra sostanze amiche e sostanze nemiche

Il sistema immunitario ha il compito di distinguere gli amici (sostanze self, sostanze familiari e compatibili), dai nemici (sostanze non-self, o estranee e contrastanti).

Ha il compito di controllare i vettori invadenti esterni (batteri e polvere cellulare altrui) e quelli di provenienza interna (batteri interni e polvere cellulare propria).

Ha il compito di riconoscere ogni sostanza sospetta o dannosa, di marcarla e distruggerla.

La pelle ed il sangue sono le prime due barriere

La prima barriera è quella della pelle, che per molti aspetti è impenetrabile.

La seconda è rappresentata dallo stesso sangue, nel quale viaggiano i globuli bianchi, cellule allungate che intervengono prontamente nelle ferite e nelle infezioni (il pus nelle ferite è infatti costituito da milioni di globuli bianchi, ossia di cellule morte o morenti nella battaglia, e di batteri esterni messi fuori combattimento non perché nemici o cattivi, ma perché opportunisti ed affamati, e pronti a banchettare sulla nostra ferita esterna).

L’attività difensiva dei globuli bianchi è potenziata dagli Omega3, acidi grassi polinsaturi di origine vegetale (che non comportano fenomeni immuno-contrastanti e dannosi di leucocitosi ed acidificazione).

La terza protezione è quella linfatica

La terza protezione è rappresentata dal sistema linfatico, e dai linfociti che viaggiano nei nodi e nella linfa (quel fluido incolore extracellulare che è la propaggine-liquida finale del sangue, e che nutre-ripulisce in continuazione le nostre cellule, e che espelle in continuazione i miliardi di virus interni, derivanti dalle cellule che muoiono in continuazione e che vengono disgregate in polvere cellulare o virus dai rispettivi lisozomi o becchini intracellulari).

Interferone, immunoglobuline e prostaglandine come quarta barriera

La quarta fascia protettiva è quella dell’interferone, delle immunoglobuline e delle prostaglandine.

L’interferone è una sostanza proteica prodotta dai vari tipi di cellule per fagocitare, coi suoi fagociti, la polvere cellulare morta o polvere virale principalmente interna (che è innocente e non contagiosa ma semplicemente intasante).

Il sistema immunitario coinvolge pure anticorpi o immunoglobuline IgA ed IgM (grosse molecole proteiche con 15-20 mila atomi).

Gli anticorpi contro gli hapteni degli antigeni, ad evitare le malattie auto-immuni.

Le prostaglandine come ormoni regolatori della circolazione, del battito e delle risposte immunitarie.

Il nostro corpo fabbrica un milione circa di anticorpi diversi, ognuno di essi capace di riconoscere un particolare tipo di atomi chiamati hapteni, portati dai rispettivi antigeni (senza anticorpi specifici in grado di catturare tali hapteni, si soffre delle cosiddette malattie auto-immuni).

Le prostaglandine (C20-H34-O5) sono piccole molecole lipidiche con ruoli basilari nel funzionamento del corpo.

Agiscono come ormoni regolatori del battito cardiaco, del flusso sanguigno, delle risposte immunitarie, della riparazione e della difesa da droghe-farmaci-vaccini).

La straordinaria forza guaritrice della febbre

La quinta barriera del sistema immunitario è la febbre.

Datemi la potenza della febbre e saprò fare mirabilie, diceva non a caso il nostro grande Parmenide (contemporaneo di Pitagora).

L’attività atletica vigorosa fa benissimo proprio perché produce uno stato di surriscaldamento e di benefica febbre indotta.

La febbre esterna è uno strumento guidato e dosato con sapienza infinita e con senso di responsabilità dal sistema immunitario, per cui non deve essere combattuta farmacologicamente.

Febbre interna, squilibrio organico, putrefazione intestinale e stato di semi-cachessia

La febbre interna, di tipo gastrointestinale, rivelata puntualmente da un semplice controllo iridologico o dallo stesso battito cardiaco, è determinata esclusivamente dalle schifezze che portiamo alla bocca in modo disordinato e squinternato, provocando putrefazione delle proteine e fermentazione dei carboidrati, vale a dire i peggiori disastri che possano mai capitare a un apparato gastrointestinale.

Si contrasta con bagni e fanghi esterni, ma soprattutto con digiuno e radicale rientro nei ranghi logici del veganismo crudista, visto che la maggioranza della popolazione, senza nemmeno rendersene conto, vive in stato di febbre intestinale continua, in stato di prolungato squilibrio organico, in stato di rischiosa

semi-cachessia, in costante balia dei precursori del cancro).

Le secrezioni digestive come sesta barriera, mentre la regia sta tra l’ipotalamo e il midollo spinale

La sesta barriera sono le secrezioni digestive, costituite dalla saliva, dall’acido idrocloridrico, dal succo pancreatico, dalla tripsina, dai vari succhi intestinali e dall’abbondante flora batterica dotata di poteri antisettici.

Il sistema immunitario coinvolge chiaramente il sistema nervoso ed il reticolo epiteliale-endoteliale, e trova nell’ipotalamo e nel midollo spinale, coadiuvati dalle ghiandole di collegamento (ipofisi, tiroide, timo, surrenali) la regia magistrale di tutte le complesse operazioni bio-elettrico-chimiche che avvengono a getto continuo nell’organismo.

Le sostanze preziose per la salute e la massima efficienza del sistema immunitario

Una buona immunità richiede vitamina A, vitamina B1, acido pantotenico B5, piridoxina B6 (la cui carenza porta a simbiotica carenza di B5-B9 e B12), acido folico B9, cobalamina B12, e acido ascorbico o vitamina C.

La vitamina C ha doti battericide e batteriostatiche, detossifica e rende innocui veleni e tossine.

La vitamina C aumenta del 50% il glutatione, composto formato dai tre aminoacidi acido glutammico, cisteina e glicina (la carenza di glutatione nei globuli rossi provoca precoce invecchiamento dei globuli e conseguente anemia).

Un enorme fabbisogno di vitamina C naturale, in strenua opposizione alla B12 strombazzata dai medici

I malati di cancro hanno bassi livelli di vitamina C nel sangue e nei leucociti, per cui non servono i

40-60 mg/giorno dettati dalla corrotta FDA, ma almeno 300 mg/giorno (secondo Cambridge) e 600 mg/giorno (secondo diverse altre fonti, incluso Gerson).

Da notare poi che la rutina o vitamina P è sinergica alla vitamina C, mentre la B12 è antitetica, per cui rema nella direzione opposta, verso lo scorbuto e il male, in barba all’esaltazione generale che ne fanno i medici.

Una caduta verticale del sistema immunitario equivale semplicemente a cancro

Sostanze alleate per la pelle col sistema immunitario sono lo zinco, che aumenta la risposta linfocitica a fitogeni ed antigeni, accresce l’attività delle cellule killer T e potenzia l’immunocompetenza, ed il rame (che è sinergico col ferro e con lo stesso zinco).

Pure l’arginina, aminoacido derivabile dai piselli, dai semi oleosi di lino e di girasole, di sesamo, nocciole), è preziosa in funzione timotropica, cioè antidepressiva.

Cavoli, broccoli, verze, Bruxelles, ed anche l’umile patata, contengono il miracoloso acido alfa-lipoico, che contrasta ogni indebolimento ed ogni caduta immunitaria, svergognando i monatti e tutti i loro armamentari inventati per speculare sulla debolezze e sulle paure della popolazione.

In pratica, una caduta verticale del sistema immunitario e di tutta l’incastellatura di funzioni e sostanze sopra elencate, equivale semplicemente a cancro.

L’importanza del terreno e la medicina che insegna a temere persino la propria ombra

Tutto questo discorso per dirti quanto importante è il terreno, e quanto imbecille e corrotta è l’impostazione di un certo tipo di medicina terroristica.

Medicina terroristica che inventa ad arte insidie ed ostacoli, buche e carenze, precipizi e trappole mortali a destra e a manca, spiriti maligni e fantasmi, demolendo di paura la povera gente, costringendola a vivere nell’inferno, nel timore, nella paura dell’aria, del vicino, del passero e della formica, di se stessa e della propria ombra.

Il teatro monatto predilige i maggiori aeroporti

La profilassi medica per chi intraprende un viaggio non è altro che il riflesso di quella impostazione.

I punti critici presi di mira dai monatti ad ogni nuovo pericolo inventato, sono non a caso i maggiori aeroporti del mondo, dove le forze dell’ordine, e persino il personale addetto al check-in e allo smistamento bagagli, giù-giù fino agli addetti che puliscono i cessi, stanno irreggimentati, ammutoliti e sull’attenti come statue, dietro le loro puzzolenti ed insane mascherine, al pari di comparse pagate da un regista supremo che gli impone di trasmettere paura ai viaggiatori ed al mondo, in vista di una invasione interplanetaria di dischi volanti, alieni, virus e supervirus.

Una guerra impari tra gli agili Vietcong e i goffi Marines Americani

Tieni presente che i Vietcong in Indocina hanno vinto tutte le loro guerre con dei ragazzi carichi di cinque chili di materiale, tra divisa in cotone verde, scarponcini, elmetto, mitra, pugnale e granata.

Niente barre di cioccolata, niente pasticche contro il tifo e la malaria, niente rifornimenti solidi o liquidi.

Bevevano acqua di sorgente o di palude, prendendola con le proprie palme della mano unite, dopo aver smosso il fango sottostante ed intorbidito l’acqua fino a farla diventare color caffelatte, rendendola così biologicamente pura per l’azione batterio-inibitoria dell’argilla.

E si alimentavano di bacche, frutti e germogli presi nel sottobosco tropicale.

I marines americani, da parte loro, si portavano addosso 20 chili di materiale tra armi, aggeggi di supporto, lattine di Coca-Cola, gomme da masticare, spray antizanzara, ed altre amenità del genere.

Chiaro che la protezione aerea ed il napal non servirono a salvarli dal disastro e dalla sconfitta, goffi, pesanti e vaccinati quali tutti erano.

Ho sempre fatto esattamente l’opposto di quanto raccomandavano gli spaventa-passeri

E’ da 30 anni che viaggio in continuazione non solo in Asia, ma pure in Africa e Medioriente, e pure in America Latina, totalizzando un numero record di viaggi, anche nelle aree cosiddette più a rischio.

Non esiste facilmente chi ne sappia più di me in fatto di documenti spaventa-passeri, tipo mai mangiare verdure crude, mai bere acqua o prendere dei gelati, mai toccare qui e toccare là, attenti alla frutta, attenti alle persone, rifornirsi di farmaci e spray, lavarsi in continuazione, e così via.

Ho fatto sistematicamente l’esatto opposto di quanto mi veniva detto.

Mi sono riempito di verdure crude e di frutta cruda, ho scambiato carezze non-protette con ragazze di ogni contrada, mi sono arrotolato nel fango e sulle zolle erbose di 100 campi di calcio, sia in stadi della serie A che nei campi di periferia, dove al termine degli incontri la doccia consisteva, nel migliore dei casi, di un secchio d’acqua preso dal fiume.

Ne ho viste di tutti i colori, saltandone fuori sempre intatto

Ho subito le batoste dei viaggi aerei, degli sbalzi di temperatura e di pressione, delle radiazioni dei voli d’alta quota (di cui probabilmente porto i segni nella mia capigliatura non più leonina).

Non ho mai preso nessun malanno e non ho mai perso un singolo giorno per malattia, né tantomeno ho assunto una singola aspirina, un singolo antibiotico, un singolo the o caffè a sostegno.

Ricordo persino di essermi tuffato in uno stagno nerastro di Bangkok a recuperare un pallone finito sull’altra sponda, dove temevo più il coccodrillo o il pirana, che la malaria ed il tifo.

In tutti gli alberghi, ho sempre preteso una finestra aperta, subendo le punture di mille diversi tipi di zanzare, riscontrando che le peggiori, le più insistenti e fastidiose, sono quelle dei nostri paesi.

Per non dire dei nostri moscerini che ti scarnificano impietosamente le gambe, non appena vai in calzoni corti in giardino e nell’orto, o nei boschi vicini alla ricerca di funghi e castagne.

Prendere nota che viviamo non in una società civile e trasparente, ma ma in una sgangherata bolgia di venalità ed ipocrisia

Il mio non è un invito a copiarmi, ad affrontare la vita senza scudi e senza scimitarre.

Non pretendo di mettere a soqquadro antiche credenze e antiche convinzioni.

Il mio non è un invito a bere tutte le acque e a mangiare tutti i cibi, a toccare cani, gatti, porcellini, scimmiette, papagalli e magnifici esseri chiamati belle donne.

Voglio solo ricordare a chi mi sta seguendo che i pericoli veri nessuno te li segnala.

Nessuno che demonizzi l’alcol, la carne ed il caffè. Nessuno che demonizzi il cibo cotto e pastorizzato, il salato e lo zuccherato.

Può mai essere una società che ama chiamarsi civile e sviluppata, più ipocrita e sgangherata di così?

Ognuno si sappia regolare. Porto solo la mia personale testimonianza.

Sono delicatissimo nelle mie scelte.

Bevo tanto cocco, ma niente bibite.

Acqua quasi niente, perché sono fruttariano.

Le persone me le scelgo o mi scelgono.

Ognuno sappia regolarsi da sé.

Non faccio altro che portare la mia personale testimonianza.

Traspirare, asciugarsi, rinnovare la biancheria, evitare l’aria condizionata o difendersi da essa

Come insegna Manuel Lezaeta Acharan, il calore tropicale obbliga il corpo a una permanente difesa che si manifesta con la traspirazione, che dovrebbe essere costantemente asciugata e rimossa dalla pelle.

Guai non traspirare e non sudare, guai usare sostanze chimiche anti-traspiranti, che sono micidiali dovunque, ma ancora di più nei climi torridi ed equatoriali.

Ci si deve vestire leggeri e cambiare in continuazione la biancheria intima.

Se il sudore poi si raffredda sulla pelle, entrando nei midiciali ambienti ad aria condizionata, si corrono grossi rischi, e arrivano le indigestioni, la febbre gialla, il beri-beri, la peste bubbonica, la malaria, la dissenteria, che vengono poi attribuite a mosche, zanzare, scarafaggi, parassiti, microbi, batteri, protozoi e virus.

Tutte le malattie sono un discorso di terreno e non di inesistenti contagi dall’esterno

Ma nessuno spiega il perché, su 50 persone punte dalle zanzare, 5 prendono la malaria e le altre 45 no.

Torna sempre fuori il discorso del terreno (del corpo) e di come innaffiamo il nostro terreno, cosa gli diamo da mangiare e da pensare, da sperare e da prevedere.

Dipende tutto dalle attenzioni fisiche e psicosomatiche, culturali ed etiche, che riserviamo alla sua delicatissima erba, che ha bisogno costante di speranze, di motivazioni, di obiettivi positivi di crescita, di rispetto per le sorti delle altre creature, di rispetto per le sorti della natura circostante, di rispetto per le sorti dell’erba che verrà.

La vita tra la morte e la nuova nascita, non è solo il titolo di un famoso testo di antroposofia, ma anche una espressione che deve far riflettere la gente.

La formula esatta per andare a mille

Come dire la magia della frutta.

Mangi mango e durian, laichi e rambutan, bevi noce di cocco, succo di carota e di canna, addenti una pannocchia di mais e una patata dolce, sgranocchi il pacchetto di pop-corn e la bananina, infili in un panino integrale quattro foglie verdi di lattuga e di cavolo, uno strato di avocado, e nessuno ti ferma più.

Vai al McDonalds a caricarti di hamburger, manzo e patatine, a bere Coke e succo d’arancia pastorizzato, e lo stop alla prossima farmacia è garantito, per cui ci guadagna pure la Pfizer, che ha chiaramente le mani sui pacchetti azionari di Coca-Cola e McDonalds.

Questa, se vuoi, è la risposta alla tua domanda Come si fa a non ammalarsi?

Lo stress da freddo è micidiale sia per i malati che per i sani

Venendo al freddo, esso può sicuramente far male, e lo può fare sia ai sani che ai malati.

Abbiamo un equilibrio termico prossimo ai 37 °C, e siamo dunque esseri a sangue caldo.

I nostri mitocondri (30 mila per ciascuna cellula, chissà come faranno a starci) lavorano in continuazione per fornirci calore a sufficienza e mantenere costante la nostra temperatura.

Se sottoponiamo il nostro corpo a stress termico, scateniamo una vera emergenza in tutti i nostri sistemi interni, immunitario, nervoso, circolatorio, ghiandolare, ed in più perdiamo pericolosamente riserva calorica.

Nei disastri in mare, i naufraghi muoiono il più delle volte non per annegamento ma per ipotermia.

Non lasciarti frenare sulle verdure

Quanto alle tue verdure preferite, mangiane in quantità senza farti condizionare.

Il sedano poi è una superverdura, specialmente d’estate, per la sua abbondanza di sodio organicato.

Le bietole e le rape vanno benissimo anche nei centrifugati, assieme o separatamente alle carote.

Offrono sferzate di energia e di salute.

Piano con gli spinaci, dato l’alto contenuto di acido ossalico. Avanti a tutta invece con broccoli e patate, meglio se crudi o poco cotti, ricchi di acido alfa-lipoico, straordinario amico del sistema immunitario.

Il tutto senza dimenticare il five-per-day di Cambridge (minimo 5 pasti-sazianti-frutta-al-giorno) perché, se non metti dentro le sane calorie crude e colorate fuori dai pasti, stai affamando pericolosamente il tuo organismo, e crei le condizioni per il famoso tuffo notturno sulla Nutella o sulla fetta di montasio.

L’acqua da bere è un falso problema

Come ho sempre sostenuto, quello dell’acqua è per me un falso problema.

Quando sto in Asia la prendo dai succhi di carote e di canna, dai succhi di rape, dall’anguria e dai manghi.

Compro una bottiglietta di un quarto, e si tratta in genere di acqua distillata, e mi dura a volte due giorni.

In Italia bevo sì e no un bicchiere d’acqua al giorno, spesso nemmeno quello, e si tratta di acqua minerale naturale non gassata, la più leggera possibile. Non soffro la sete nemmeno durante i viaggi in treno o in aereo, purchè non manchi in borsa l’arancia, la mela ed il kiwi.

In questo periodo sto marciando a cachi. Una manciata al giorno non me li leva nessuno, carichi come sono di acqua biologica, di favolosi zuccheri, di preziose mucillagini, per non dire di tutto il resto.

L’elogio sperticato dell’umile e disprezzato caco

Se in una semplice mela ci stanno 191 sostanze chimiche conosciute, che danno luogo a oltre 1300 reazioni chimiche enzimatiche nel corpo, per disintegrarle prontamente in molecole e piazzarle nelle diverse parti del corpo, con la pectina che va nell’intestino, il retinolo o vitamina A in zona oculare (retina), il licopene nei genitali a contrastare i radicali liberi causati dall’inattività forzata, pensa cosa può mai succedere quando mangi un caco, che è rimasto al sole sul proprio albero fino all’ultimo momento della stagione.

Migliaia di reazioni che possono avvenire e completarsi grazie al crudo, agli enzimi, al magnetismo inalterato che alberga nella frutta.

Che differenza abissale con chi mette dentro di sé brani di cadavere e cibo cotto, costretti ad elemosinare al corpo i micronutrienti necessari a dar loro una flebile parvenza di digestione, costretti a razziare i micronutrienti di riserva che l’organismo conserva gelosamente per le emergenze.

Le alghe vanno bene, ma non le trovo indispensabili

Hai ragione a parlar bene delle alghe. Non ho nulla contro di esse.

Ma, onestamente, preferisco il radicchio e la lattuga, il cavolo e la verza, anche perché sono di sicuro più freschi e vitali.

Nella forma secca le alghe hanno perso molte delle loro qualità.

A volte poi non è facile capire se sono state mescolate con polvere di granchi e di altri crostacei.

Controindicazioni? Una sì, piuttosto grave. Sono prive della loro acqua biologica d’origine.

Cibo dunque a modo suo concentrato, e da prendersi con morigeratezza.

Il Giappone del pesce crudo e delle alghe, reclamizzato dai venditori di fumo chiamato Omega3, non è affatto quello sano

La storia dei giapponesi ad alto indice di longevità è un’autentica bufala.

Come popolo nell’assieme stanno molto peggio di noi.

Esistono alcune persone, in certe isole del Giappone, che vivono in modo virtuoso e spartano, praticando arti marziali, alimentandosi con favolose verdure e magnifici frutti, e magari con tanti tipi di alghe prese dal mare. E per queste minoranze ci può stare che vivano a lungo.

Ma la massa giapponese non trae affatto benefici dal pesce crudo o cotto che sia, dall’olio di balena, e tanto meno dalle bevande in lattina che fanno di questo paese il primo produttore e consumatore mondiale. Non c’è angolo di strada, e non c’è piano di albergo che non abbia uno stanzone riservato ai distributori automatici di bevande, lattine e cibi, ai distributori automatici di malattie e di carenze.

Una cosa da far venire i brividi.

Centosessantamila piante eduli regalateci da Dio e ne usiamo solo 100.

Si può essere più incoscienti di così?

Il kiwi gold è favoloso, e il fatto che sia un frutto incrociato non mi dà nessun particolare fastidio.

Non ho mai sentito parlare invece dell’amla o amalaki.

Prendo anzi nota, ed alla prima occasione sbircerò meglio al mercato, quando sarò dalle parti di Delhi.

Lo consiglierei certamente, non tanto e non solo per la vitamina C, ma per il suo alto contenuto di acqua biologica e di succo zuccherino, che immagino essere pure notevoli. Ed anche per tutti gli altri componenti che supereranno di certo i 191 della mela e i 220 presumibili del caco.

Tieni presente che esistono 160 mila piante eduli sul pianeta Terra, inventate da Dio per l’uomo, anche se noi siamo così scemi e derelitti da ricorrere a un centinaio di esse al massimo.

Il nostro sistema digestivo e il nostro sistema immunitario li ha disegnati Qualun’Altro

Troppa gente, da queste parti del sistema solare, sembra aver dimenticato che il nostro sistema immunitario non è stato disegnato dalla Monsanto o dalla Rockefeller, dalla Roche o dalla Novartis, ma da qualcuno che sta di qualche palmo più in alto.

Troppa gente, da queste parti, pare ignorare che il nostro sistema digestivo non lo ha disegnato la Ferrero o l’Alemagna, la Buitoni o la Manzotin, la Coca-Cola o la McDonalds, la Danone o la Nestlé, ma il nostro bravissimo Padreterno, un elemento assai più affidabile di loro, nonché dei Rana, dei Barilla, dei Cremonini, e anche di tutti i porcari di Parma e San Daniele messi assieme.

Valdo Vaccaro – Direzione Tecnica AVA-Roma (Associazione Vegetariana Animalista)

– Direzione Tecnica ABIN-Bergamo (Associazione Bergamasca Igiene Naturale)

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DISINTOSSICARSI CON METODI NATURALI

a cura di Valdo Vaccaro

Acqua distillata e metalli pesanti

Buongiorno,

Ho letto con interesse il suo articolo Zona tumore, zona cancro, sul blog Pomodorozen, e vorrei farle alcune domande.

  1. Acqua biologica ed acqua distillata sono la stessa cosa?
  2. E’ possibile ottenerle con metodi casalinghi?
  3. Che tipo di cura consiglierebbe ad una persona 45enne affetta da intossicazione cronica da metalli pesanti, tipo mercurio ed alluminio, con disturbi intestinali, seri problemi di concentrazione e di memoria, sbalzi di umore, scatti d’ira?
  4. Cosa ne pensa della chelazione chimica con flebo di EDTA? E’ possibile in alternativa disintossicarsi con metodi naturali?

L’esame del capello può essere ritenuto attendibile?

Anche i vaccini anti-influenzali contengono metalli pesanti?

La ringrazio e la saluto cordialmente.

Guendalina da Milano

Acqua biologica ed acqua distillata sono cose diverse

Si chiama biologica l’acqua fabbricata dalla natura attraverso le piante.

Trattasi cioè dell’acqua che le radici hanno assorbito dal suolo assieme ai minerali, pompandola poi lentamente verso le parti aeree, permettendole una bella vacanza soleggiata su rami e foglie e frutti, dove essa ha potuto vitaminizzarsi, magnetizzarsi, arricchirsi del processo di fotosintesi.

Se vogliamo, l’acqua biologica è da considerarsi essa pure, a modo suo, acqua distillata naturalmente, ovvero acqua pura e libera dalle porcherie dei minerali duri e degli inquinamenti.

Essa è infatti accompagnata da ottimi compagni di viaggio come gli zuccheri naturali, i minerali organici, le vitamine, gli enzimi alimentari o vitalie, gli ormoni vegetali (insuline ed inuline), i fattori di crescita o auxoni, i fitochimici ed altre sostanze non ancora isolate ed identificate.

L’acqua distillata delle precipitazioni atmosferiche

L’acqua distillata (e non biologica) può essere quella distillata naturalmente nel corso dei temporali, dove le scariche elettriche dei fulmini, o anche l’elettricità statica e magnetica che si forma in determinate condizioni di temperatura e pressione atmosferica, generano la formazione di gocce di H2O dalle nuvole cariche di anidride carbonica, dove l’ossigeno si sposa con l’idrogeno per formare acqua, sottoforma di pioggia, grandine e neve.

Le precipitazioni atmosferiche generano un tipo di acqua che è pura, distillata naturalmente, ma che poi, precipitando verso il sulo, raccoglie le impurità dei fumi e del pulviscolo atmosferico che trova lungo il tragitto, a volte acidificandosi.

Meglio raccoglierla a pioggia inoltrata

Chi vuole raccogliere acqua atmosferica distillata, è meglio che lo faccia non agli esordi ma a pioggia inoltrata, o nel giorno successivo al primo temporale o alla prima fioccata di neve di neve, procedendo magari ad un filtraggio dell’acqua stessa.

L’acqua distillata industrialmente deriva da un procedimento simile a quello delle navi che prendono l’acqua dal mare e la desalinizzano.

Si tratta di riscaldare la normale acqua dolce e toglierle con la distillazione tutti i minerali che essa possiede.

L’acqua distillata è la più leggera e demineralizzata delle acque, la più dissolvente

Il motivo per cui l’igienismo naturale insiste molto sull’acqua distillata sta tutto nel potere solvente naturale dell’acqua pura (di tutte le acque, ma di questa in particolare), nel potere di depurare, di tirare via i dannosi depositi di minerali inorganici dovunque essi ci siano.

Diciamo pure che l’acqua distillata è la più leggera e dolce delle acque, mentre l’acqua salmastra è pesante, e l’acqua del Mar Morto è addirittura pesantissima.

Metodi casalinghi di raccolta

E’ possibile ottenere l’acqua con metodi casalinghi?

Sì, bisogna solo trovare il modo di organizzarsi, e prenderla da un tettuccio anche in plastica a nostra disposizione, o comunque da una superficie pulita in cemento ed una grondaia, depositandola in una damigianetta o in bottiglie, dopo averla eventualmente filtrata verificandone a occhio la purezza.

L’acqua distillata industrialmente, ad uso alimentare, si trova in tutti i supermarket asiatici, mentre da noi pare sia introvabile.

Una larga ed omertosa coalizione ad impedire che si parli di minerale organicato

E’ probabile che i tanti produttori di acque minerali, di integratori mineral-vitaminici e di cibi cotti e da cuocere, si siano coalizzati per impedire che si parli addirittura di acqua distillata in questo paese, visto che parlare di acqua distillata significa anche parlare di minerali inorganici (velenosi) e di minerali organicati (gli unici ad essere utili come elementi nutritivi e non come veleni stimolanti).

Sappiamo come in ogni cibo cotto i minerali diventino inorganici.

Questo accade persino con le verdure, dove il minerale di partenza era superbamente sano e confezionato dalla fotosintesi, ed alla fine assume non più una forma collaginosa e micromolecolare in sospensione, ma una forma dura, precipitante e macromolecolare, inadatta all’assorbimento.

I concetti rivoluzionari e scomodi sugli enzimi, sui minerali, sulle vitamine naturali, sui fitochimici colorati e profumati della natura

Questo concetto di contrapposizione tra organicato e disorganicato, tra organico e disorganico, è di importanza fondamentale e rivoluzionaria in fatto di alimentazione, ed è parificabile al discorso cibo vivo e cibo morto correlato alla presenza o assenza dei food-enzyme, o al discorso tra cibo colorato e profumato dai fitochimici e il cibo grigio e smorto (o magari colorato ed aromatizzato chimicamente)

proposto con grande strombazzamento pubblicitario dalle industrie alimentari.

Chiaro che questi argomenti danno un enorme fastidio a tutti i produttori di cibi rovinati dalla cottura e dai vari processi trasformativi.

Ingabbiare ed imbottigliare la natura industrialmente non è infatti impresa ardua, ma impresa impossibile.

Nella civiltà del cibo morto e disorganicato, vanno a braccetto le industrie chimico-farmaceutiche, le alimentari e le industrie dell’imbottigliamento e della lattina

Occorre tener presente che viviamo nella civiltà del cibo morto e del cibo disorganicato, che è in pratica cibo demineralizzato e dannoso.

L’unica cosa che deve essere demineralizzata è l’acqua, ed anche quella ce la propongono mineralizzata male, con minerale inorganico, come fa la Coca-Cola, che parte dall’acqua potabile normale (si spera almeno sia così) per addizionarla di minerali inorganici e proporla sul mercato internazionale col marchio Bonaqua.

In questo discorso di disinformazione e di imbroglio micidiale dei consumatori, vanno a braccetto, in piena e solidale armonia, industrie chimico-farmaceutiche, le industrie alimentari e le industrie confezionatrici (bevande imbottigliate ed in lattina, cibi in scatola).

Ogni intossicazione cronica si cura con digiuno terapeutico-espulsivo e con successiva dieta vegana crudista, panacea universale per tutti i disturbi e le imperfezioni umane

A una persona affetta da intossicazione cronica da malattie pesanti tipo mercurio ed alluminio, posso consigliare assolutamente un digiuno terapeutico di 2-3 giorni ciascuno, con uso abbondante di acqua distillata. In via subordinata, consiglio una dieta ripulente a base di succhi di sole carote, o anche di carote miste a sedano, ananas e mela.

Il crudismo veganiano è una panacea universale per tutti i disturbi, in quanto minimizza pure i costi digestivo-assimilativi e rende così disponibili tutte le energie biochimiche del corpo per mandar fuori velocemente il materiale inquinante e ristabilire così l’equilibrio omeostatico, con grande soddisfazione del nostro Angelo Custode o Sistema Immunitario, che può finalmente tirare un po’ il fiato.

I metodi dell’igienismo naturale non vengono spesso capiti perché sono contrapposti ed antitetici rispetto a quelli noti ed usuali della medicina

I metodi usati dall’igienismo naturale spesso non vengono capiti dalla gente proprio perché sono opposti ed antitetici rispetto a quelli della medicina dominante.

La medicina è basata sulla guerra al sintomo (al dolore specifico, al grasso, alla manifestazione esterna, alla febbre), mentre l’igienismo è basato sulla sola lettura, ovvero sulla annotazione del sintomo e sulla guerra alle motivazioni reali che stanno a monte, e che hanno provocato il sintomo stesso.

La medicina è basata sull’intervento specialistico nei riguardi della parte specifica interessata alla manifestazione, e l’igienismo invece sul ristabilimento globale dell’intera unità corpo-mente-anima.

Un modo totalmente diverso di intendere i microrganismi

La medicina è basata sulla guerra ai batteri ed ai virus, che l’igienismo invece considera preziosi compagni di viaggio e amici (i batteri indigeni), o polvere innocua di noi stessi (i virus interni o indigeni che rappresentano il 99% dello spettro virale), che può al massimo diventare intasante se non ripulita in continuazione nei momenti di caduta energetica dovuta a varie malattie.

O anche polvere innocua di piante eduli (virus vegetali abitudinari perfettamente digeriti e riciclati senza fenomeni collaterali tipo leucocitosi) e polvere fastidiosa-velenosa-straniera di altre creature viventi (virus fastidiosi-velenosi-stranieri di animali o pesci, che provocano puntuali interventi selettivi ed espulsivi del sistema immunitario).

Il nostro sistema immunitario è costretto pure a intervenire in fase espulsiva contro i batteri estranei che frequentano altri esseri tipo il maiale e la mucca, e che (associati ai virus animali) finiscono nel nostro sistema non disegnato per accoglierli e nutrirli.

L’igienismo punta al riequilibrio generale che va poi a risolvere anche i sintomi specifici

I metodi igienistici non vanno mai a curare i sintomi specifici, come quelli citati dalla Guendalina (disturbi intestinali, problemi di concentrazione e sbalzi di umore).

Alcune strategie rimediali di supporto, tipo respirazione yoga e attività fisica, possono benissimo starci, ma fanno sempre parte del bagaglio generale di comportamenti accessori per il conseguimento e la riconquista dell’equilibrio.

Disintossicazione e chelazione chimica con flebo di EDTA

Disintossicare l’organismo e il sangue significa mandar fuori tutte le sostanze estranee che stanno nel sangue stesso ma anche quelle depositate (come male minore) nell’adipe e in altre parti del corpo, tipo i residui di minerali inorganici, le droghe, le caffeine, le nicotine e gli acidi urici.

Per fare questo, l’unico sistema raccomandato dall’igienismo naturale è il ricorso al digiuno.

L’EDTA, che altro non è se non acido etilendiamminotetracetico, è uno degli anticoagulanti, ovvero dei fluidificanti del sangue più usati dal sistema medico, e consiste di sali di sodio (fluoruro di sodio), ossalato di potassio e di ammonio, e citrato di sodio.

Il fluoruro di sodio dell’EDTA in particolare impedisce la coagulazione del sangue mediante la chelazione (cioè il sequestro) dello ione calcio. Trattasi sempre di sostanze sintetizzate e dunque innaturali, cariche di effetti collaterali.

Il fluidificante immorale di nome eparina e le sue tante contro-indicazioni

L’eparina, in commercio come farmaco monopolizzato a livello mondiale dalla Pfizer, viene considerata l’anticoagulante per eccellenza, in quanto già presente a bassi livelli nel sangue umano e nei tessuti.

Agisce inibendo la trombina, i componenti fastidiosi degli acidi grassi, degli eicosanoidi, degli Omega3-Omega6, e gli altri fattori di coagulazione.

Essendo derivata per pressatura di intestini e frattaglie, appartenenti a suini e bovini macellati, l’eparina è nel contempo un veleno per l’essere umano, e gli provoca effetti collaterali, tipo aggregazioni leucocitiche e piastriniche.

La complicazione più temuta del farmaco eparina? E’ la trombocitopenia da eparina, chiamata anche sindrome HIT.

Ti mando in allegato due precedenti tesine sull’argomento (Il giallo dell’eparina e Fluidificazione del sangue in contrasto con la necrosi).

Le sostanze grasse e la patologica viscosità del sangue

C’è da aggiungere un fatto importante. E cioè che, in linea generale, la viscosità del sangue è un fattore di malattia nel corpo umano.

Gli ematologi ne sono perfettamente al corrente.

Le sostanze simil-ormonali tipo le prostaglandine, derivate dagli acidi grassi, vengono usate dalle cellule epiteliali dei vasi sanguigni per produrre prostacicline, e vengono pure usate dalle piastrine per produrre tromboxani.

Ed è proprio il troboxano a determinare la densità delle piastrine e causare una contrazione dei vasi.

Se gli acidi grassi derivano da proteine animali, latticini e uova, si formano le PgH2, e il risultante tromboxano TxA2 rende le piastrine viscose.

Anche con i vegetali superproteici, tipo le noci occorre andarci piano. Ma in quel caso non c’è almeno l’aggravante del non-cibo animale e degli effetti collaterali, per cui noci e simili, purché non sottoposte a lavorazioni, sono molto ben tollerate soprattutto dai vegani crudisti.

L’esame dell’iride rimane il metodo diagnostico più formidabile.

Il comodo ma terribile mercurio contenuto nelle porcherie biochimiche chiamate vaccini.

L’esame dei capelli non penso onestamente che dia tutte le risposte che si cercano, trattandosi sempre di rivelatori locali significativi ma non completi.

Credo che l’esame dell’iride sia molto più approfondito.

Quanto ai farmaci, e soprattutto ai vaccini, essi sono tra le peggiori forme di inquinamento da metalli pesanti e da minerali inorganici velenosi.

Basti pensare all’onnipresente mercurio, prescelto non a caso per essere l’unico minerale che a temperatura ambiente rimane allo stato liquido, restando amalgamato con molte altre sostanze strane inserite in tali porcherie biochimiche, acerrime e traumatiche nemiche dell’organismo umano e del suo sistema immunitario.

Valdo Vaccaro – Direzione Tecnica AVA-Roma (Associazione Vegetariana Animalista)
www.valdovaccaro.blogspot.com

Direzione Tecnica ABIN-Bergamo (Associazione Bergamasca Igiene Naturale)

Il libro di Valdo Vaccaro:
Alimentazione Naturale
– Manuale pratico di igienismo-naturale –
La rivoluzione vegetariana: mangiare bene per vivere meglio

Alimentazione naturale, adattata e ritagliata come un vestito su misura al corpo vegeto-fruttariano-crudista di cui è dotato ogni essere umano, indipendentemente dall’eventuale poorzione di carne-pesce-cibo cotto che sta forse mangiando. Nutrizione dunque che deve per forza puntare al veganismo, all’igienismo naturale e al crudismo, non per accontentare sparuti, romantici e utopistici gruppi di idealisti vegetariani, ma per rispettare in concreto e al meglio il proprio corpo e le stesse leggi della creazione. Il vege-fruttarianismo e il crudismo sono pertanto la verità e la perfezione assoluta per l’essere umano, in quanto lo spingono ad alimentare la sua macchina umana col solo carburante possibile e privo di effetti devastanti, che è il carboidrato vivo e naturale confezionato dalla fotosintesi clorofilliana e dal sole, caratterizzato da presenza proteica ottimale, cioè minima ed assimilabile.

Lo trovi in libreria o su Macrolibrarsi.it

Fare del bene fa bene

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(Giorgio Cerquetti)

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“La maggior parte degli aiuti al terzo mondo vengono portati da migliaia e migliaia di organizzazioni di volontariato. Questa massa eterogenea di piccoli operatori ha un impatto che è di molto superiore a quella dei grandi elefanti burocratico-amministrativi.”
Gino Strada chirurgo di guerra e fondatore di Emergency

Ogni tanto la notizia (diffusa dall’ONU) sfiora i grandi mass-media: “Ogni cinque secondi un bambino muore di fame.” Dove? Qui, proprio sullo stesso pianeta colorato dove viviamo io, tu e tutti gli altri.

Ma che pianeta è? Come è possibile che mentre un gruppo dell’umanità investe tempo, risorse e denaro per mandare fuori dal pianeta sonde tecnologiche ad esplorare Luna, Marte e Venere, un altro gruppo, molto numeroso (l’Onu fa una stima di 1 miliardo di persone) soffre (molto) per mancanza di acqua potabile e cibo quotidiano. Io sono a favore dei viaggi interplanetari ma ancora di più della pace terrestre e dell’amore tra gli esseri viventi.

ALLORA CHE FARE? QUALI SONO LE PRIORITA’? CHI LE DETERMINA?

Dal 1968 ho cominciato, seguendo precisi ricordi di vite precedenti, a frequentare l’India e la sua realtà: ricchissimi (10 milioni), ricchi (100 milioni), benestanti (400 milioni), poveri (150 milioni) e poverissimi (260 milioni= 5 volte la popolazione italiana).

Da dieci anni passo del tempo in Africa, qui ci sono pochissimi ricchi, scarsi benestanti, molti poveri e una marea enorme di poverissimi, esseri umani destinati a morte precoce. L’età media in Africa è 45 anni. Nello stato del Benin è 36 anni. Non mangiano tutti i giorni, e il cibo che riescono a procurarsi con molta fatica è scarso ed insufficiente dal punto di vista nutritivo.

Come essere umano non ho girato lo sguardo da un’altra parte e ho fatto il possibile. Per decenni ho aiutato spontaneamente chi incontravo, grazie alla mia fortuna personale (qualche soldo in più) e grazie all’amore di molti cari amici. Da qualche anno sono arrivato ad una conclusione più determinata, ho deciso che potevo aggiungere alle altre mie attività che mi interessano particolarmente quella che considero la più terapeutica e soddisfacente: aiutare concretamente gli altri esseri umani a stare meglio.

Da tempo scrivo libri e insegno con le parole e con l’esempio quello che ho appreso dall’antica filosofia indiana; secondo la mia lunga esperienza una qualità essenziale di chi aspira alla pace mentale e alla saggezza è la compassione.

La compassione è un aspetto fondamentale dell’amore che non va mai sottovalutato, questo sentimento richiede conoscenza e sensibilità e facilita enormemente la nostra innata voglia di amare ed essere amati.

Negli anni novanta, nel periodo in cui vivevo negli Stati Uniti, tre anni consecutivi, fondai una non-profit, Vegetarians International, che aveva come scopo la distribuzione gratuita di cibo vegetariano agli homeless (i senza casa) e ai bisognosi. Scoprii con sorpresa che i poveri, tanti, esistono e sopravvivono a fatica anche in America, il continente più ricco del mondo.

Nel 1994, dopo aver felicemente distribuito da mangiare a migliaia di persone, ricevetti dal governo americano (periodo Clinton), per motivi umanitari, la famosa e tanto ambita Green Card, la residenza illimitata negli USA.

Tornato in Italia decisi di continuare il mio impegno nei progetti umanitari e insieme a Giulia Amici e a Vetulia Strona ho creato, in Italia, una Onlus, un’ Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale. Il nome spiega chiaramente gli intenti positivi del progetto: LIBERA CONDIVISIONE ONLUS.

Col tempo questa proposta è cresciuta ed è diventata una bellissima realtà. Volevo costruire scuole nel terzo mondo accompagnate da distribuzione gratuita di cibo vegetariano.

IN MOLTE PARTI DEL MONDO UN EURO MANTIENE IN VITA UNA PERSONA PER UN GIORNO

Grazie all’amore e alla generosità di molti amici siamo riusciti ad aprire una scuola in Kenya ed una India. Oltre a queste scuole completamente gratuite, organizziamo regolarmente distribuzione, per strada, di cibo nonviolento a chi ha fame. Sia in Africa che in India stiamo aiutando quelli che non hanno casa o al massimo una capanna che facilmente viene spazzata via dalle pioggie monsoniche. Stiamo costruendo delle piccole case in muratura. Costo: 1000 euro per una casa.

COME PARTECIPARE?

– Mandando donazioni o venendo di persona.

– Collabora alla trasformazione consapevole di questo pianeta, passiamo, con amore, dalla società divisa alla società umana condivisa.

– Puoi sostenere a distanza famiglie povere o bambini in età scolare (210 euro per un anno di scuola).

– Puoi adottare un bambino, una famiglia o semplicemente mandare una libera donazione secondo la tua disponibilità.

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FARE DEL BENE FA BENE

Chi vuole aiutare o partecipare direttamente, sul posto, a questo PROGETTO UMANITARIO VEGETARIANO può contattare direttamente

Giorgio Cerquetti
tel 338 – 84.00.483
e-mail: gio.cerquetti@libero.it

Potete mandare donazioni o tramite bonifico bancario a

LIBERA CONDIVISIONE ONLUS
Banca Popolare di Ancona
Marina di Montemarciano -AN
Conto – 10476
Cab – 37420
Abi – 05308
Cin – Q

Oppure tramite versamento postale a:

Conto Postale 60174950
Libera Condivisione Onlus
Via Gradara 10\B
60018 Montemarciano- ANCONA

Ogni donazione è detraibile dalla dichiarazione dei redditi 5×1000 Nella tua dichiarazione dei redditi, a costo zero, puoi aiutare i programmi umanitari di LIBERA CONDIVISIONE ONLUS.

Nel settore volontariato firma e segnala il nostro codice fiscale: 93101200421

E’ molto semplice, basta questo numero e la tua grande voglia di AMARE. Grazie! Se non puoi mandare soldi continua ad amare la vita e ripeti ogni giorno questa frase: Mando il mio amore e la mia buona energia a tutti gli esseri viventi del pianeta terra.

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(di Gino Strada)

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Khartoum, Sudan, 29 luglio 2004

Tiziano era apparso come in una visione, nei giardini dell’ospedale di Emergency a Kabul: era l’inverno del 2001. Con la sua veste di cotone bianco come la barba, i sandali e una borsa di cuoio a tracolla, noi con giacche a vento e maglioni. Veniva dal Pakistan. Ha voluto girare subito per le corsie: salutava, chiedeva “come stai?” a gente sconosciuta, sorrideva ai bambini, ascoltava.

Cenammo insieme quella sera, a “casa mia”. E parlammo a lungo, dell’India – “dovresti venire a trovarmi nel mio rifugio vicino all’Himalaya”, un’altra promessa che non ho mantenuto – del nostro lavoro e delle sofferenze della gente dell’Afghanistan, che lui amava. E soprattutto parlammo, con molta tristezza, della follia della guerra e dei suoi perché.

Ascoltavo i suoi pensieri. Sulla incapacità di molte persone di diventare esseri “umani”, sulla ricchezza talmente ricca da non avere più senso né uso possibile, sul razzismo, anche quello “democratico”, che sembra dilagare ovunque, sulla necessità – per Tiziano un bisogno fisico – di ricominciare a studiare, a pensare, a riconoscere sé stessi per ritrovarci tutti con un qualche sogno, speranza, progetto comune.

Quando riuscii a rintracciarlo per telefono, nel settembre 2002, per proporgli di unirsi a noi nel lanciare la campagna “Fuori l’Italia dalla guerra”, Tiziano non esitò un attimo: “Ci sarò, ci vediamo a Roma per la conferenza stampa”.

E per mesi fu un appassionato ambasciatore di pace, con la sua unica capacità di affascinare le coscienze e di riempirle di onestà e di verità. So che a Tiziano è costato molto quel periodo, togliendogli tempo alla meditazione che lo ha sempre accompagnato.

“Per colpa tua – mi disse scherzando un giorno – sono rimasto prigioniero per troppo tempo in Italia. Parto per l’India la settimana prossima, ma sarò lo stesso con voi”. Ed è stato così.

In molti momenti, nei più belli e in quelli più difficili dell’impegno di questi anni, Tiziano era lì, è venuto in mente a me e a tantissimi di noi. Un esempio, una certezza, un uomo che sapeva dare umanità, “curare” altri uomini proprio perché si era sempre curato di tutti, nel sua vita e nel suo lavoro di straordinario uomo di pensiero.

Pochi mesi fa ho cercato di contattarlo: avevo bisogno delle sue parole e dei suoi pensieri. Non è stato possibile, e il perché ora lo sappiamo tutti. Stava scrivendo, ancora una volta cose importanti, forse le più importanti. Un giorno mi è arrivato un regalo da Tiziano: il suo ultimo libro. Con una dedica che mi ha fatto piangere allora e non smette di farlo oggi.

Finisce così: “…e questo per spiegarti alcune mie assenze. Ma non preoccuparti, io ci sono nella lotta per la pace. Ci sono! E ci sarò sempre!”

tratto da Lista Sadhana – Yahoo.it – Guido da Todi – ww.guruji.it

Felicità e compassione

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photo by Carlos Almeida

Consapevoli che la vera felicità si fonda sulla pace, la stabilità, la libertà e la compassione, siamo determinati a non porci  come scopo della vita la fama, il profitto, il benessere o il piacere sensuale,  a non accumulare ricchezza, mentre ci sono milioni di esseri che hanno fame e muoiono.  Ci impegniamo a vivere con semplicità e a condividere tempo,  energia e risorse materiali con chi ne ha bisogno.  Praticheremo il consumo consapevole, non usando alcol, droghe o altri prodotti  che introducano tossine in noi stessi, così come nel corpo e nella coscienza collettivi.

(Thich Nhat Hanh)

Thich_Nhat_Hanh

Non smettere mai …

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photo by Marciano

Gli esseri umani vi deluderanno, vi faranno soffrire, è inevitabile,  ma voi lasciate scorrere la vostra sorgente, ossia non smettete mai di amare.

Direte: «Ma ne abbiamo abbastanza di essere sempre malmenati, ingannati, lesi».  È meglio essere malmenati, ingannati e lesi  piuttosto che impedire alla propria sorgente interiore di scorrere.  Potete sempre porre riparo alle perdite, alle delusioni,  ma se la sorgente dell’amore non scorre più, siete perduti: interiormente, diventate una palude.

Ovviamente, è preferibile sapere come orientare l’acqua di quella sorgente, come canalizzarla,  affinché non vada a scorrere in un posto qualunque, in un giardino qualunque,  per favorire la crescita di erbacce o di ortiche.
Non bisogna lasciar inaridire la sorgente, ma non è proibito proteggerla, vegliare,  affinché scorra per alimentare unicamente i figli di Dio. E gli altri?
Cosa si deve fare con loro? Non è affar nostro.
La vita se ne incaricherà.

(Omraam Mikhaël Aïvanhov)

Nessuna certezza

Dialogando con un interlocutore sconosciuto…

Maestro zen Taido Kengaku Pinciara

roberto_1_maggio_Ho ben poco da dire.  Giunto dove sono giunto non c’è certezza alcuna.
La sola certezza è che sappiamo ben poco di ciò che siamo, di ciò che facciamo, di quel che ci accade e del perché conduciamo una vita come quella che stiamo vivendo. In realtà, non conduciamo nulla, perché sarebbe più preciso dire che siamo condotti da qualcosa di cui non conosciamo l’origine.
E’ come essere nella carrozza di un treno che procede veloce. Le forme, fuori dal finestrino, sembrano correre in un susseguirsi inarrestabile. Pare di essere fermi, seduti comodamente, mentre tutto, fuori di noi, si muove rapidamente. Di tanto in tanto, il treno si ferma e allora possiamo osservare con più attenzione quello che accade fuori dal finestrino.

La sensazione che il tempo scorra e con esso tutte le cose sembra convincere molti. Ma è davvero in questo modo? Cosa accade se la mente si ferma? Tutto sembra arrestarsi con essa. La mente è quel treno che corre veloce. Di tanto in tanto si arresta, e così il paesaggio diventa più nitido. Non passa molto, però, che la sua corsa folle riprende verso una destinazione del tutto sconosciuta. Cosa ci sarà alla fine della corsa? Questa è la domanda che raramente ci si pone. L’arrestarsi temporaneo alle stazioni ci permette di riprendere fiato, ma solo per rendere l’illusione di quel che verrà apparentemente ancora più affascinante. Il movimento è inseparabile dal tempo. Quando non c’è più tempo, cosa rimane?

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Siamo abituati a considerare il tempo come vita, e la dimensione del tempo che si arresta come morte. Da un certo punto di vista è così. Quando il tempo si ferma qualcosa muore. Abbiamo l’impressione di morire perché la mente non può sopravvivere fuori del tempo.
Così, dovremmo chiederci: che cosa muore?
Ogni aspetto del nostro vivere sociale si fonda sul correre frenetico all’inseguimento di chissà quale cosa. Una continua lotta contro il tempo. Buffo, vero? Il tempo è la mente e noi corriamo contro il tempo… Forse da qui nasce l’angoscia. L’angoscia di combattere contro qualcosa che non si conosce e che si sa di non poter sconfiggere… Come certi incubi notturni.

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Vi siete accorti di come si cade in quello stato chiamato “noia” quando ci sembra non ci sia niente da fare? La nostra mente, che è continuamente operosa, si affanna di continuo alla ricerca di stimoli, eccitazioni di qualunque genere. Ma, noi, abbiamo realmente bisogno di tutto questo trambusto? Vi siete accorti di come siamo noi a creare i problemi? Ci sono dei fatti che accadono, questa è una cosa, poi ci sono i problemi che noi mettiamo sopra i fatti, e questa è altra cosa.

Siamo pieni di preoccupazioni e paure. Anche questo è un fatto. Vorrei porvi una domanda: cosa fareste se non doveste lottare sempre contro qualcosa? Contro il dolore, le difficoltà che incontrate, la malattia…

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La mente umana è un formidabile strumento, forse il più complesso tra quelli che costituiscono la vita dell’uomo. Stiamo cercando di vedere se è ancora quell’organo al servizio dell’intero organismo, come dovrebbe essere o se siamo noi ad essere diventati suoi strumenti.

Ci stiamo interessando di vedere cosa accade in noi quando proviamo dolore, rabbia, amore, invidia, e quant’altro ci trascina nel vortice dell’esistenza. Dobbiamo vedere dentro di noi direttamente, se siamo noi gli artefici di quello che ci accade oppure no. Formulo la domanda in altro modo : “Sono realmente soddisfatto di come stanno andando le cose nella mia vita, oppure sento un disagio in fondo a me stesso?”

Vi siete accorti di come siamo noi a perpetuare il dolore? Forse no. Non è così semplice. Naturalmente non stiamo negando le circostanze che portano dolore nella nostra vita. Stiamo solo dicendo che quelle circostanze sono dei fatti. Fatti ai quali dobbiamo dare risposta con l’azione. Stiamo dicendo che se al fatto oppongo il mio desiderio o la mia aspettativa, la mia rassegnazione o la mia paura, cosa sto facendo? Non sto forse muovendomi nel passato o nel futuro? Non sto forse opponendo al fatto la struttura psicologica che mi caratterizza? Ma non è questa stessa struttura che si oppone a lasciare andare quel fardello di dolore ? Riesco a vedere tutto ciò oppure sto ancora credendo che la causa del mio disagio proviene dall’esterno ?

Esiste un modo per liberarmi dalla schiavitù di questa condizionata struttura psicologica? Cosa accade se, davanti ad un fatto, qualunque esso sia, agite prontamente, con mente concentrata e tranquilla, senza separarvi dal fatto stesso, offrendo il meglio di voi alla situazione fino al punto da non sapere nemmeno più chi siete? Appare il dolore? Appare la negazione? Appare il desiderio? Infine, appare la paura? Vi dico di no. C’è il fatto e ci siete voi. Non aggiungete altro. L’altro che aggiungete, qualunque cosa sia, è di troppo. Tra voi e il fatto non ci deve essere nulla.

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Quando veniamo al mondo, la prima esperienza che facciamo è quella della sofferenza. Dobbiamo imparare in fretta a respirare, veniamo in contatto con la luce, i suoni, il freddo e il caldo…….abbiamo bisogno di strillare per fortificare le corde vocali, muscoli e ossa devono allungarsi e tante altre cose che costituiscono la crescita. Poi vi è il dolore dell’incomprensione, le prime esperienze e via di seguito. Questo vale per tutti, poi ci sono le caratteristiche ereditarie, le malattie, l’ambiente familiare, i rapporti, le prime sconfitte e delusioni. Un elenco immenso di difficoltà che creano dolore. Senza voler considerare l’ambiente e le circostanze della nostra nascita, anche la storia dell’intera umanità pesa sulle nostre spalle….insomma, mi pare evidente di come un “corpo di dolore” si costituisca all’interno della nostra struttura psicologica. Senza che ve ne accorgiate questo “corpo di dolore” vi trascinerà verso il basso in tutte le cose che farete. Nei rapporti sentimentali, in quelli con i figli, gli amici, nel lavoro e anche nello svago. In questo modo risponderete sempre alle circostanze, influenzati da quel “corpo di dolore” che è in voi.

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Forse, per vederci più chiaro, dovremmo prendere più spazio. Come possiamo darci più spazio? Invece di concentrarci sui problemi che crediamo di avere, dovremmo cercare chi genera i problemi.Per darci più spazio intendo: prendere distanza dai pensieri che si manifestano, prendere distanza dai desideri che sorgono. Questo non significa non avere pensieri o desideri, solo prenderne distanza. Prendere distanza è vedere più chiara la faccenda.

Le opinioni che abbiamo su questo e quello condizionano il nostro modo di agire.

Seguendo le nostre inclinazioni che si basano su convinzioni, speranze, e il dolore nascosto da qualche parte in noi, prendiamo decisioni e agiamo. Ma sarebbe più opportuno dire: reagiamo. Noi siamo gli esecutori, ma il mandante chi è? Il desiderio, il pensiero, la sensazione, tutto fa capo a quel fantasma che chiamiamo ego. Questo è il mandante. Ma il mandante è buono o è cattivo ? Nessuno dei due. Il mandante è semplicemente disorientato dal continuo movimento della mente .

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Le idee che ci facciamo su ogni cosa ci impediscono di vedere e di ascoltare la cosa in sé, così com’è.

Vedete come etichettiamo tutto! Siamo talmente condizionati dalle etichette, che non scorgiamo più il prodotto che ci viene servito. Non vi accorgete che cambiando l’etichetta vi stanno fregando un’altra volta. Vi servono qualcosa di vecchio con l’etichetta di ciò che è nuovo.

Vengono usate parole nuove per servirvi “roba” scaduta da tempo. Togliete l’etichetta che avete messo addosso a vostra moglie, a vostro marito o ai vostri figli e guardate il fatto reale, la persona che vi sta vicino.

Scoprirete una cosa straordinaria! Proprio quando perdete una persona cara vi accorgete quanto era in realtà preziosa per voi.

Cos’è accaduto? Avete gettato quell’etichetta e vi è rimasto quello che era la persona per voi. Ecco il segreto di Pulcinella… A nessuno piace essere etichettato, e se lo avete fatto per anni con il marito, la moglie, i figli, i genitori, allora state certi che prima o poi quella persona si ribellerà e vi abbandonerà. Questo non significa che non vi ama più, ma solo che era stanco di portare quell’etichetta. Togliete i pregiudizi che avete cristallizzato sulle cose e sulle persone e vedrete come l’ordinario diventa straordinario. Credete sia facile? Credete sia difficile? No. Provate. Fate. Non pensate. Non giustificate. Fate. Togliete quell’etichetta e amate la persona che vi sta davanti, senza passato, senza futuro, senza nulla che si interponga tra voi e ciò che amate.

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Quante volte vi sarà capitato di sentire una voce dentro la vostra testa dire: “Ah! Quella cosa la conosco! Quella cosa la so! “ Ma sappiamo solo qualcosa di quello che è stato, qualcosa di quel che avete ascoltato, non di ciò che sta lì davanti a voi… “Cosa c’è di nuovo sotto il sole? Nulla!,” dice Quelet, profeta del Vecchio Testamento. “Tutto ciò che ho visto sotto il sole è solamente vanità.” Forse Quelet asseriva il vero, ma è anche vero che nel qui ed ora, nell’attimo presente, ogni cosa è splendente e pura così com’è. Perché? Perché non c’è mente, non c’è tempo, non c’è spazio delimitato dalla coscienza.

Se non c’è tempo, se non c’è spazio delimitato dalla coscienza, dove potrà mai insinuarsi il male?

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La ragione che ci spinge verso la schiavitù, verso l’impasse del bene e del male, è che a questa struttura psicologica non piace il presente.

Dobbiamo chiederci il perché di questo. Non ci piace la nostra vita.

La nostra vita è la vita, questo è un fatto, non è quello che crediamo essere.A noi esseri umani piace il futuro. Ad esso affidiamo ogni nostra speranza. E se siamo depressi invece, ci rifugiano nel passato, nei ricordi di quello che è stato. Perché questa mente, così abile, così terribilmente fertile ed evoluta, non è in grado di arrestare la sua corsa? Vi siete accorti cosa accade quando la notte non riuscite a prendere sonno ? Le voci nella testa si susseguono senza fine e il corpo reagisce a questi stimoli. Se state pensando a qualcosa di terribile, il corpo inizia a sudare, i muscoli si tendono, tutto il corpo reagisce, rispondendo fedelmente alla richiesta della mente. E’ così che si soffre d’insonnia: non si riesce a staccare la spina che alimenta la mente. Pure, quando ci capita di fare realmente qualcosa, quando l’azione è senza calcolo, senza scuse, quando scaturisce da qualcosa che sentite essere più profondo del pensiero, allora ditemi, non vi sentite forse felici ed entusiasti? Certo è così. E’ così per tutti.

Quando non è così si da vita

Qsoepunpasonis ddtoai cnaoollln’pe asè.s cEeor’ seqì.u, sail cdoàs vai ctah ea din utons fsailcsao i ml coodrpo od ei vlaiv mereen ftoen, dpaetroc hséu iv rai cporrodpir, isou nlleel slap edriraenzzieo,n seu i

A mio avviso non c’è alcuna verità nascosta o svelata, ci sono solo superstizioni che servono a tenere ben salda la sedia del potere.

Voi sostenete quel potere. Come?

Nutrendo fiducia in quello che gli altri vi dicono credendo senza sperimentare, affidando la vostra vita ad un futuro che proviene dal passato. Lo sostenete perché non avete fiducia in voi stessi, non credete in quel che siete e in quel che fate.

Lo sostenete perché non credete. Avete bisogno di un oggetto a cui fare riferimento, in cui sperare, di cui ricordarvi.

Credere è invece senza oggetto, è il mirabile flusso di energia che tutto avvolge e nel quale siamo immersi. Figli e padri non respirano forse la stessa aria? Non ci è stato detto che spartiscono lo stesso pane ? Eppure, si ha sempre paura di qualcosa… e lo spirito rimane solo un concetto astratto.

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Quando ci sediamo incrociando le gambe ed assumendo la posizione simile a quella tenuta dal Buddha, facciamo la stessa cosa che ha fatto Lui : Lasciamo andare la paura a se stessa, lasciamo andare la brama a se stessa, lasciamo andare la vanità a se stessa, lasciamo andare l’avidità a se stessa, lasciamo andare il desiderio a se stesso. Di cosa abbiamo bisogno quando ci sediamo nei nostri ritiri?

Di niente.

E perché non si ha bisogno di niente?

A questa risposta dovrete arrivare da soli.

Grazie.

Maestro zen Taido Kengaku Pinciara

la fonte http://www.komyoji.eu/home.htm

Tumore e cancro

001-103

photo Ricardo Batista

Zona tumore e zona cancro

di Valdo Vaccaro – 31/01/2009 – http://valdovaccaro.blogspot.com/

Viviamo in un mondo di imbrogli e di mistificazioni

Come sempre accade, le parole hanno importanza fondamentale.
Chiamare una cosa in un modo piuttosto che nell’altro, fa una enorme differenza.
Chiamare un porcellino, porco e maiale, lo precipita senza remissioni nel primo macello del circondario, come accade da noi. Chiamarlo amico inseparabile dell’uomo e della famiglia, come succede in Medioriente, dove caracolla per i giardini, familiarizza con cane e gatto e scimmiette, si accovaccia simpaticamente sulle panchine, corre incontro affettuoso ai bambini ed al padrone, lo salva dai maltrattamenti e gli restituisce la dignità che si merita.

La sofisticazione del non distinguere tra una cosa e l’altra.
Togliere il potere della parola alla gente significa toglierle la libertà, parola di Confucio.

Chiamare vitamine naturali e vitamine sintetiche, col nome unico di vitamine.
Definire i minerali inorganici ed inassimilabili (vedi minerali delle acque dure, del suolo, di tutti i cibi cotti) allo stesso modo dei minerali organicati della frutta e delle verdure crude.
Paragonare carboidrati industriali e lavorati, ovvero zuccheri e dolciumi, con zuccheri naturali della frutta al naturale.
Chiamare proteine o addirittura proteine nobili, le proteine vietate di carne-latte-pesce, e proteine inesistenti o di scarto quelle che pure esistono nelle angurie e nei meloni, e in tutta la frutta del mondo, specie nelle carote e nei tuberi, sono tutte opere di mistificazione logica e linguistica.
Esiste infatti un baratro di differenza tra  ciascun termine elencato e il suo termine simile ma opposto.
Chiamare latte, tutti i tipi di latte, dimenticando che ogni tipo di animale mammifero ha il suo latte con le sue specifiche funzioni naturali e le sue caratteristiche diversissime, è ulteriore bestemmia terminologica.
Considerare poi l’umanità come normale consumatrice di latte a vita, come una razza che sfida le leggi naturali dello svezzamento, prolungando il medesimo dai 2 anni canonici agli 80 o ai 120 per chi ci arriva, è una ulteriore perla attribuibile agli Azzeccagarbugli delle stalle, dei macelli e dei caseifici.
Togli il potere della parola alla gente equivale togliere la libertà, perché la costringi a seguire i tuoi ragionamenti e i tuoi concetti, diceva giustamente un tizio di nome Confucio, vissuto 2500 anni fa ai tempi del nostro Pitagora.

Hai mai sentito un medico parlare di vitamina naturale o di minerale organicato?

Non sentirai infatti mai un medico dire che ti mancano vitamine naturali A o B o C, potrebbe andare incontro a radiazione dall’albo. Ti dirà che ti mancano vitamine, senza alcun aggettivo.
Non è che lo faccia per semplificare le cose. Lo fa, ovvero lo deve fare, per imbrogliare le cose.
Non lo sentirai mai dire ti mancano minerali organicati.
Non lo sentirai mai dire ti manca acqua zuccherina biologica.
Non sentirai mai un dietologo imbroglione dirti, adotta una dieta low-naturalcarb (una dieta a bassi carboidrati naturali) ma semplicemente una dieta low-carb, dove il termine carboidrato è unico ed onnicomprensivo.
Rigorosamente una parola soltanto:  porco, vitamina, minerale, proteina, latte, zucchero.
Qualcuno penserà che sono un parolaio e che la tiro troppo per le lunghe.
Cosa c’entra poi tutto questo col cancro? C’entra eccome. Lo vedremo subito.

La putredine reale, ovvero il cancro esclusivo dei carnivori dal sangue blu

Per la Scienza Igienistica, che è scienza e non tecnica come la Medicina, le parole tumore e cancro hanno un ben preciso e distinto significato.
Nei tempi andati, i medici, non osavano staccarsi troppo dalla scienza igienistica, non confondevano le acque come quelli di oggi, e si parlava di  tumore benigno e  tumore maligno.
La parola cancro non era ancora spuntata all’orizzonte.
Nei secoli scorsi poi, ad ammalarsi di cancro erano solo i re e i dignitari di corte, ovvero quelli che avevano il  privilegio esclusivo di mangiare la carne dei propri cavalli e dei propri armenti.
I contadini poveri, i servi della gleba, ma anche gli artigiani, e i piccoli commercianti del periodo feudale, si accontentavano dei prodotti della terra e degli alberi, e magari integravano il tutto con qualche ovetto nel periodo invernale, o con qualche pollo a Pasqua e Natale, sempre a patto che i padroni di sangue blu, i valvassori e i valvassini, e poi i baroni e i conti, glielo concedessero.
Mangiare carne faceva ammalare di cancro già allora, visto che i contadini erano sani e pimpanti, con le diete basso-proteiche naturali della modesta vita campagnola di allora, mentre i regnanti finivano uno dopo l’altro preda della cosiddetta putredine, un male nel quale il sangue e i tessuti imputridivano.
Non era un caso se i consumatori esclusivi di carne  diventavano alla fine vittime esclusive e privilegiate della putredine, al punto che tale malattia venne chiamata  Putredine reale, ovvero cancro.

La differenza tra tumore e cancro è come quella tra un trullo di Alberobello e il Monte Bianco

Tornando ai giorni nostri, la differenza tra un tumore e un cancro equivale alla differenza che esiste tra un trullo di Alberobello e il Monte Bianco, o tra un rigagnolo di campagna e il Po.
Questo gli igienisti naturali lo sanno bene.
Il tumore (sempre benigno, se non è degenerato e se non colpisce certi organi delicatissimi) non deve spaventare. E’ un sintomo di altra malattia chiamata intossicazione avanzata, o chiamata ossidazione avanzata (da radicali liberi). E’ un sintomo come la febbre, come il mal di testa, come il raffreddore, come il grasso in più della gente sovrappeso.
Se hai la febbre, essa arriva perché il problema sta nell’intestino, o nel sangue carico di leucociti, perché ogni volta che mangi il veleno carne scatta la leucocitosi. Stessa cosa per il mal di testa.
Se hai il grasso, non devi intervenire sul grasso, ma sul meccanismo che ti fa accumulare l’adipe.
Il tumore localizzato dunque non è malattia, ma salute alterata, ovvero benettia.

Esso è un sintomo. Una costruzione logica e illuminata del sistema immunitario. Una barriera difensiva. Una ultima ratio. Un punto prescelto dalla CIA interna per concentrare determinati veleni che andando in circolo farebbero insopportabili danni.

Serve una nuova cultura, totalmente diversa da quella medioevale della medicina

Il corpo non va mai contro se stesso.
Il corpo tende a guarire, non a peggiorare, a condizione però che si cambi stile di vita e che si interrompa il circolo vizioso di avvelenamento.
La situazione è diversa solo quando si è in stato di cachessia, di putrefazione avanzata del sistema, dove le cellule non ricevono più nutrimento e non si ripuliscono più.
La malattia che causa tumori e talvolta cancri, ha un nome preciso, ed è avvelenamento, degenerazione cellulare.
Fregarsi le mani, se ti ritrovi con un tumore? Certamente che no.
Meglio stare sempre in salute.
Disperarsi? Certamente che no.
Dirsi semmai: Che culo, ragazzi, mi è andata bene. Faccio in tempo a cambiare radicalmente vita e a recuperare.
Ma per fare questo tipo di ragionamento serve  cultura. La cultura giusta.
Non certo la cultura medicale del terrore e dell’intervento a tutti i costi, tipica della medicina di questi ultimi anni.

I pericoli insiti nel toccare chirurgicamente e chemioterapicamente un tumore.
Una bomba innocua se lasciata in pace. Una bomba da disinnescare con mille attenzioni.

Il tumore benigno è come una bomba.
Tranquilla e innocente finché nessuno la tocca e la sbatte violentemente.
L’unica cosa saggia da fare è lasciarla al suo posto, oppure disinnescarla con metodo scientifico.
Anche perché toccare chirurgicamente o chemioterapicamente un tumore, significa mandare in circolo i veleni in esso depositato, e creare le basi per altri punti critici, mediante quel fenomeno, purtroppo inarrestabile e letale che si chiama metastasi.
La scienza igienistica ha da tempo descritto per filo e per segno il tumore difensivo, in sei passi precisi, chiamati enervazione (indebolimento), toxemia (intossicazione), infiammazione della parte prescelta dal sistema, ulcerazione, indurimento.

Il passo numero sette, meglio non compierlo

Il passo numero sette meglio non compierlo, e si chiama fungazione, o diramazione del problema in altri punti.
E’ quel passo che, poco importa come interveniamo, porta alla morte rapida, in quanto il sistema immunitario ha capito che non c’è più nulla da fare se non abbreviare i tempi (salvo che, con droghe e medicine estreme, ovvero con l’accanimento terapeutico e con operazioni utili solo a far lievitare il conto del ricovero, non si tenga in vita il soggetto più a lungo del necessario, in condizioni  di terribile sofferenza).
Questi dettagli si trovano anche, per chi lo volesse, sul mio volume  L’Alimentazione Naturale dalla A alla Z, già ordinabile su Internet sul sito macrolibrarsi.it

L’efficacissima alternativa salutistico-naturale delle cliniche sheltoniane (Ex ANHS)

La tecnica medica purtroppo, non vuole saperne di fare questi ragionamenti.
O forse non è troppo motivata a farlo.
Le cliniche igienistiche-naturali americane (Cinque, Sabatino, Goldhamer, Cridland, Fuhrman), ma anche quelle australiane (Alec Burton), quelle europee di tipo bircheriano (Svizzera) ed ehretiano (Germania), e diverse altre che pure esistono nei diversi paesi, stanno facendo miracoli senza farmaci e senza bisturi.
Non a caso, gli artisti di Hollywood sono regolari clienti di questi rifugi terapeutici.
Qui non solo ti guariscono e risolvono i tuoi problemi, non solo ti disinnescano le mine interne, ma fanno la cosa più importante, che è quella di educarti alla salute e non alla malattia.
Non a caso i ricchi d’America vanno in queste cliniche, e non negli ospedali dei comuni mortali.
Non a caso gli stessi medici ospedalieri, quando hanno dei problemi seri, mettono la coda tra le gambe, e mogi-mogi ricorrono alle cure dei tanto sputtanati igienisti-naturali.
Miracoli li ha fatti e li sta facendo pure Carmelo Scaffidi a Bergamo, avendo salvato se stesso e i suoi familiari innanzitutto, e avendo raccolto una mole interessante di guarigioni da tumore, sempre senza ricorrere a farmaci e bisturi, in ottemperanza alle precise regole dell’igienismo sheltoniano.
Ma, attenzione, i miracoli non vengono realizzati dagli igienisti, bensì dal corpo umano ben diretto da chi ha capito come esso funziona.
Da chi segue davvero i concetti del grande Ippocrate, secondo cui A) La Natura è la Sovrana Medicatrice dei Mali, e B)  Primus non nocere.

Come operano i disinnescatori di mine e di ordigni chiamati malattie incurabili e tumori?
Cosa fanno di così speciale?
Se hai cachessia e cancro conclamato ti rimandano subito a casa.

Cosa fanno in queste cliniche di particolare?
In queste cliniche ci sono i disinnescatori di bombe tossiche chiamate malattie e chiamate tumori.
Non si disinnescano i cancri.
Trattasi di ordigni troppo arrugginiti che perdono già veleno e creano bombette tutto intorno.
Se uno è arrivato al cancro lo invitano cortesemente a tornare a casa, perché il digiuno terapeutico praticato da queste parti aiuta il canceroso a morire prima e più veloce, risparmiandogli pure atroci sofferenze.
Gli farebbe dunque bene.
Non si tratterebbe di eutanasia nel modo più assoluto, ma di semplice scorciatoia naturale e indolore verso l’ultimo respiro.
Solo che i titolari di quelle cliniche non amano peggiorare i propri straordinari record, le statistiche di guarigione che servono da referenza per altri clienti.
Loro puntano a guarire, non a far morire, sia pure in modi decenti.
In questi casi, il medico igienista dirà sottovoce due parole ai famigliari, insegnando loro a mettere il poveretto a digiuno, e a dargli tutte le cure amorevoli che servono ad accompagnarlo serenamente verso il trapasso.

Immediato digiuno ad acqua distillata per tutte le neoformazioni tumorali.
Una purificazione completa che risolve e ripulisce non solo il tumore ma tutte le irregolarità presenti.

Se uno invece ha qualsiasi tipo di neoformazione tumorale, viene messo immediatamente a digiuno e a riposo fisiologico. Niente cibo, niente giornali, niente televisione, niente preoccupazioni.

Riposo assoluto e tanta acqua distillata.
Si va in regime di chetosi e di grasso-cannibalizzazione controllate.
Ed anche in regime di eliminazione di tutte le scorie e dei prodotti inquinanti accumulati nell’organismo nel corso della vita.
Trattasi di una purificazione completa e priva di rischi, che risolve non solo il tumore ma tutte le 30 mila malattie elencate nel carnet della medicina ufficiale, visto che il corpo umano è un tutt’uno, non certo un’assieme disassemblato di organi e di cellule.
Viene pure eliminato gradualmente il tumore.

Herbert Shelton, memorabile campione mondiale storico dei digiuni assistiti

Il campione mondiale di questi digiuni assistiti fu proprio il dr Herbert Shelton, i cui record di guarigione stanno incisi nella memoria degli americani, nei suoi 50 libri best-seller, e nei successi strepitosi dei suoi allievi odierni.
Nella prima seduta di 4-7 giorni il tumore grosso come una noce, diventa una piccola nocciolina.
Una seconda seduta simile e anche la nocciolina scompare del tutto per non tornare mai più, a condizione però di diventare virtuosi, e di mangiare e vivere in rapporto alle precise esigenze del nostro corpo umano-fruttariano.
Il digiuno ad acqua distillata non è altro che una autoguarigione controllata e pilotata sapientemente da un esperto igienista.
Il suo compito è di aiutare il paziente a superare gli inevitabili momenti di difficoltà e di leggero fastidio che accompagnano la fuoriuscita dei veleni.
Quindi la eliminazione dei tumori , di tutti i tumori, è un fatto normale e di routine.
Il successo è garantito.

Non concorrenza all’acqua di rose ma furibonda competizione con la Medicina Ufficiale

Non ci si aspetti però dai medici comuni la conferma o peggio ancora l’approvazione.
La categoria che essi odiano e contrastano di più è proprio quella degli igienisti.
Trattasi non di concorrenza all’acqua di rose, ma piuttosto di furibonda competizione storica.
Una specie di lotta per la sopravvivenza. Muori tu o muoio io.
Se la gente comune si mette a fare queste scelte di tipo salutistico naturale, loro chiudono bottega e se ne vanno tutti a casa, oppure si rivolgono umilmente ai centri igienistici chiedendo di potersi aggregare al carro vincente degli ex-nemici.
Sarebbe come chiedere a una prostituta di indicarti il posto in cui si trovano delle ragazze che lo fanno gratis per divertimento.
Se ne guarderà bene dal rivelartelo, salvo che non sia scema o autolesionista.
Il paragone suona un po’ offensivo, ma rende molto bene l’idea.

La logica intelligente e auto-difensiva del corpo umano

Tieni presente che il corpo umano, molto virtuosamente, tenta sempre le vie più logiche per rimediare alle nostre indiscrezioni alimentari e comportamentali.
Mangiamo e trangugiamo veleni, cibi che non sono cibi ma anti-cibi, cibi che non dovrebbero mai essere guardati, considerati, comprati, maneggiati, portati alla bocca?

Bene, l’infinita ed inesauribile saggezza del corpo fa affluire tali veleni nei punti più consoni e meno pericolosi, e preferibilmente tra le cellule grasse del corpo.
Escrescenze locali e innocui indurimenti, a volte non sono altro che mini-ricettacoli di tossine che vanno e vengono, appaiono e scompaiono a seconda di come ci comportiamo, a seconda del nostra tasso di inquinamento interno.
Queste non sono favole, ma realtà scientifiche osservate più volte dagli stessi medici, i quali riescono a capacitarsene solo quando tirano via i paraocchi che l’Ordine Medico gli ha da sempre imposto, quell’antico paraocchi di derivazione medievale per cui il male è una entità bizzarra e maligna che arriva misteriosamente da lontano, e che deve essere bombardata ed estirpata come si fa con un mostruoso invasore.

I danni delle rimozioni chirurgiche sommati ai danni delle analisi preventive

Un tumore, eliminato brutalmente per via chirurgica o per via chemioterapica, comporta  una pericolosa modifica degli equilibri intorno alla zona tumorale.
Infatti quei veleni che prima dell’estirpazione affluivano al tumore, ora non trovano più la precedente valvola di sfogo, la precedente fossetta biologica,  per cui corrono il rischio di riversarsi in altri punti, causando nuovi tumori.

Un importante test in Norvegia rivela i pericoli degli esami mammografici

Il pericolo viene segnalato da un recente test svolto in Norvegia e durato 6 anni, tra il 2002 e il 2008, dove, ironia della sorte, pare che siano gli stessi esami mammografici a causare l’insorgenza di tumori.
L’igienismo naturale già lo sapeva.
Già predicava da decenni  che le analisi, le visite, gli screening, fanno male fisicamente e psicologicamente, non solo per danni specifici dei raggi, ma anche per lo stress che essi producono inevitabilmente.
In questo  esperimento norvegese, appena pubblicato sugli Annali di Medicina Interna, si sono raffrontati 2 gruppi di donne, campione A, sottoposto a regolare screening  mammografico annuale per 6 anni e, campione B,  mai sottoposto a screening.
Ebbene, alla fine dell’esperimento, il gruppo A sottoposto a ripetuti test ha presentato percentuali molto più alte di tumore al seno, rispetto al gruppo B non mammografato.

Interpretazione dei risultati. Sospetti inquietanti e molte incertezze.
I tumori che regrediscono e svaniscono. I tumori generati dalla mammografia stessa.
Ogni donna decida in piena libertà e senza criminali pressioni se sottoporsi o no ad esami.

A prima vista sembrerebbero avere ragione i patiti delle mammografie, quelli che spaventano le donne in continuazione con pressanti inviti a farsi controllare regolarmente, quasi che fossero degli esseri difettosi e pronti a cadere nelle grinfie del male ad ogni piè sospinto.
Una vera e assurda atrocità mediatica, priva di motivazioni logiche e scientifiche.
Una demenziale e corrotta abitudine della medicina mondiale odierna.
Per i patiti della mammografia, gli strumenti e gli analisti avrebbero dunque lavorato bene e scoperto più cancri nelle donne regolarmente esaminate.
Ma gli autori della ricerca la pensano in modo diverso.

Sospettano infatti, con dati e ragionamenti alla mano, che alcuni ricettacoli rivelati dalle ripetute mammografie nei primi test, non continuerebbero e non si riconfermerebbero alla fine dei 6 anni, in quanto potrebbero essere regrediti spontaneamente, come accade più volte coi tumori, con sbalordimento generale dei medici.
E c’è pure il sospetto, non dichiarato perché mancano le prove, che ripetute mammografie possano avvelenare le donne sottoposte a ripetuti test e favorire in loro l’insorgenza di tumori.
Alla fine si può dire che le incertezze sul beneficio dell’esame mammografico sono sempre state tante.
E questo esperimento prova che esistono tuttora molti fatti sconosciuti ed oscuri riguardanti gli esami al seno.
Meglio dunque che ogni donna decida in piena libertà e autonomia i pro ed i contro del farsi esaminare, è la conclusione dei medici norvegesi.

Gli stratagemmi e le falsità statistiche dell’oncologia.
L’inguaribile trionfalismo della medicina.

Leggo un documento di Marcello Pamo dell’1/1206, che appare su www.Disinformazione.it.
Col titolo di  Guerra al cancro? Ecco le balle dell’oncologia.
Quella di sottolineare pomposamente i grandissimi risultati ottenuti dalla scienza nella guarigione e nella cura del cancro, è diventato sport preferito dei medici in Italia e nel mondo.
Ma in Italia più che altrove, viste le tradizioni di alto lignaggio medico che vanta il nostro paese (pensa un po’ alle università di Padova, Pavia. Pisa, Bologna, Udine, Roma, fucine di grandi cardiologi, collegate a grossi ed efficienti  centri ospedalieri.
Il cancro è ormai sconfitto, e la sopravvivenza è già sul 50%, annunciano trionfalmente i medici.
Già osserviamo che, se il 50%  sopravvive, significa comunque che l’altro 50% muore.
Una specie di lancio della monetina.
E poi, chi mai ci dice che il 100% morirebbe se non trattato coi metodi distruttivi della medicina?

I diagnosticati-non-operati sopravvivono in media 11 anni, mentere i diagnosticati-operati solo 3.
La Medicina insegna a scrivere male e a fare i calcoli ancora peggio.

In America, i dati citati dal dr Robert Mendelsohn attestano che i diagnosticati di cancro, poi non operati, hanno una sopravvivenza media di 11 anni, mentre i diagnosticati poi operati vivono solo 3 anni.
Significa che qualcuno vive 8 anni qualcuno 4 e qualcuno pochi mesi soltanto.
Ma, tornando al 50%, ci accorgiamo che i medici sono bravi a tagliare e suturare, ma non sempre sono bravi con carta e penna.
La loro calligrafia è notoriamente incomprensibile (la non-chiarezza sta nel loro dna), ma, quando si mettono a fare dei calcoli coi numeretti sono ancora peggio.
Oppure sono invece troppo bravi, nel senso che sono allenati a cambiare le carte in tavola.
Come quando fanno le statistiche sulle vaccinazioni,  al fine di dimostrare l’indimostrabile, con falsità e bugie tra l’atroce e il carnevalesco.

Il 50% di sopravvivenza degli operati più che una burla è un insulto alla logica e alla trasparenza

I dati Istat sulla mortalità-tumori in Italia nel 2002 parlano di 162.201 persone morte, mentre 250.000 sono quelle diagnosticate cancerogene, per cui i sopravissuti sono 88000, cioè il 35,2% e non il 50.
Ma, il 50%, è una media aritmetica di diversi tipi di tumore.

Il cancro al testicolo (solo 2000 casi/anno) si risolve con l’asportazione del medesimo e il maschio, così eunuchizzato, sopravvive nell’87% dei casi.
Ebbene, quelli col cancro al polmone, statisticamente molto più significativo con 40.000 casi/anno, rivela una sopravvivenza media del 10-12%, per cui 10 sopravvivono e 90 muoiono, come dichiarato dal dr Francesco Bottaccioli, membro dell’Accademia delle Scienze di New York e docente di psico-oncologia all’università La Sapienza di Roma.
Ecco allora che il 35,2% non vale più.

Alla fine, si salva il 5 o forse il 10%, non per merito dell’operazione, ma nonostante l’operazione.
Si salvano quelli con la scorza più forte, quelli che sarebbero sopravvissuti pure senza cure.

Ma non è finita lì.
Gli oncologi includono nelle statistiche (già di per sé erronee) anche neo-formazioni che non sono affatto tumori, inquinando ulteriormente l’affidabilità dei dati, come accade per i polipi del colon-retto o per le formazioni displastiche del seno.
Si gonfiano dunque a proprio tornaconto i numeri, inserendo patologie che non c’entrano nulla col cancro.
E poi, in aggiunta, si escludono i tanti malati che dopo la chemio muoiono entro i primi giorni, in quanto etichettati come  Decessi prematuri, non causati cioè dai medici ma da una situazione precaria del paziente già in sede pre-operatoria.
E’ bene inoltre sapere che le terapie oncologiche usate dalle statistiche hanno una durata di 5 anni.
Quindi, se una persona muore entro 5 anni, diventa caso negativo.
Se invece muore il 5° anno più un giorno, magari grazie ad accanimenti terapeutici, non entra più nel computo, e diviene un guarito totale.
Perché mai si fanno circolare questi dati assurdi del 50%, che in realtà diventano 35%, e poi 25%, e che alla fine sono sì e no il 5% o al massimo il 10%.
In pratica si salvano i soggetti a scorza più forte, quelli che, anche senza operazione e senza cure, sarebbero comunque sopravvissuti.
Ignoranza, malafede, interessi, baronie, cattedre da lasciare a qualcuno?
A ognuno le proprie considerazioni personali.

Due su tre almeno finiscono malamente al cimitero, firmato Ospedale Maggiore e Università di Torino.
Un fallimento totale della cosiddetta  Guerra contro il Cancro.

L’Ospedale Maggiore e l’Università di Torino dichiarano che  Circa 2/3 delle persone affette da tumore ed operate vanno incontro a esito letale.
Significa che 2 su 3, seguendo la prassi medica ortodossa, finiscono anzitempo al cimitero.
Nel 1990, i morti per tumore trattato erano 147.869, ma nel 1991 erano 162.201.
Dove arriveremo?
La Guerra al Cancro, dichiarata da Richard Nixon, è stata una disfatta totale.
John Christian Bailer III, insigne professore di Epidemiologia e Biostatica alla Mc Gill University, ha dimostrato, con dati NCI (National Cancer Institute) alla mano, che nel 1962 morivano 277.000 persone/anno, e che nel 1982 ne motivano 434.000.
Trent’anni di guerra e di fallimento continuo.

Urge un drastico cambiamento culturale

Serve dunque un drastico cambio culturale e metodologico.
Decenni di indottrinamento hanno portato la società moderna a usare pillole per ogni evenienza, a fidarsi totalmente degli esperti in camice bianco.
Hai mal di testa? Pillola.
Hai febbre? Pillola.
Hai dolore? Pillola.
Hai tumore? Chemio e bisturi.
Se è vero che ogni malattia, anche la più terribile, insegna costruttivamente qualcosa, come dicono le grandi culture millenarie del passato, come faremo ad apprendere le leggi che il Gran Dottore Malattia (ovvero il gran Medico Benettia) è in grado di darci?
Come faremo a imparare qualcosa se distruggiamo ogni cosa col napalm e le radiazioni?

Non c’è nessuno da sconfiggere. Serve ri-direzionare le batterie antiaeree, puntandole contro la propria ignoranza e la propria vergognosa presunzione.
Le malattie sono amiche e non si combattono. Questo è l’ABC della Vera Medicina che voi tradite.

Il tanto vituperato igienismo, cari medici, insegna una cosa basilare, e cioè che le malattie non sono dei nemici, e pertanto non si combattono e non si sconfiggono, ma si coadiuvano e si rispettano, si trasformano in preziose alleate per il ripristino della salute.
Queste non sono frignazze da due soldi bucati. Questo è l’A-B-C della Vera Medicina che un padre come Ippocrate vi ha inutilmente insegnato, e che voi continuate indegnamente a tradire.
Il discorso vale anche per il tumore, amico prezioso che ci salva  in corner, nell’emergenza.
Vale, al limite, persino per il cancro, che porta alla tomba veloce prima di far patire atroci sofferenze.
Ma voi andate contro questo con accanimenti terapeutici, anche perché ogni soggetto non operato, per il vostro sistema irresponsabile e venale, è una sconfitta professionale e uno sberleffo alla venalità medico-farmaceutica.  In America, non dimentichiamo, ogni caso di tumore/cancro trattato e operato significa 50.000 US$ dalle assicurazioni. Tanto ossigeno e tanto carburante per gli ospedali.

La formidabile lezione igienistica di Florence Nightingale

Quella di Florence  Nightingale, apparsa sul testo Notes on Nursing (Londra 1860), è una memorabile sfida, tutta femminile, alla teoria demenziale dei germi introdotta in ambiente medico dall’impostore francese Luigi Pasteur.
Le malattie non sono organizzate in categorie come cani e gatti.
Non è forse il continuo vivere sbagliato che porta la gente ad ammalarsi?
Non sono forse fattori come l’aria pura e la pulizia da un lato, e l’aria viziata e la sporcizia interna-esterna a determinare lo stare bene o lo stare male delle persone?
Non sono forse le malattie delle reazioni naturali alle condizioni assurde in cui noi stessi ci mettiamo?
Mi è stato insegnato, sia da scienziati superbi che da donne ignoranti, a temere la febbre, la scarlattina e le varie infezioni.
Ma la vera assistente sanitaria ignora le infezioni, non ne ha paura, ed eventualmente le previene.
Stanze pulite, finestre aperte ed assistenza amorevole ai pazienti. Questo è da richiedere a una buona nurse.

Un trattamento saggio e umano è la migliore cura contro le infezioni e le malattie di ogni tipo.
La dottrina delle malattie specifiche è il grande rifugio delle menti fragili e deboli della medicina.
Non esistono malattie specifiche.
Ci sono solo condizioni adatte a rendere la gente malata.
Più che una teoria intelligente sulla origine delle malattie, le parole della Nightingale sono quanto di meglio sia mai stato pronunciato negli ultimi 200 anni in ambiente medico, e meriterebbero di essere scolpite sui muri di ingresso di tutti gli ospedali e di tutte le aziende sanitarie, come avveniva con la scritta  Conosci Te Stesso dei templi greci.
Questa magnifica donna-medico inglese, sicuramente la più famosa assistente sanitaria della storia, sfidò la presunzione dei colleghi maschi e la teoria pasteuriana sui germi, 17 anni prima che il chimico Pasteur attribuisse a se stesso la scoperta dei germi (imbrogliando indegnamente il vero scienziato Bèchamp).
La sua lezione è più che mai valida, come tutte valide sono le idee di Pitagora, dopo 2500 anni.
Le verità non conoscono declino e tramonto. Non conoscono mode e maniere. Sono fatti eterni.

Il melanoma e la cura Nacci

Mi arriva la testimonianza probante ed accorata di Ervino Abbà, pubblicata su  Il Piccolo di ieri, e relativa al suo melanoma, diagnosticato nel 2003 dal Policlinico di Modena e dall’Ospedale di Padova.
Il dr Nacci, di Alba, con molta disponibilità ed onestà, mi ha sottoposto a una cura fitoterapica associata ad adeguato regime alimentare.
Dopo alcuni anni di cure Nacci, le mie analisi non hanno più rivelato alcuna traccia di melanoma.
Solo che il dr Nacci è stato sospeso dall’Ordine dei Medici che gli contesta i metodi di cura, ed anche il fatto di aver creato un suo sito Internet senza previa autorizzazione.
Il dr Nacci è stato pure duramente criticato dall’Ordine dei Medici di Trieste
La grave decisione dell’Ordine toglie la libertà, sancita dall’art. 32 dalla Costituzione Italiana, di poter scegliere la cura che ognuno ritiene più appropriata.
Infatti, nonostante gli ottimi risultati finora ottenuti, potrei essere costretto d’ora in avanti a ricorrere a cure mediche chemioterapiche non prive di effetti negativi.
Tra i tanti conoscenti scomparsi a seguito di cura chemio, cito solo quelli più a me vicini.
Mia moglie, Marialuisa Bevilacqua, in cura per anni presso l’Istituto Tumori di Milano, con spesa chemioterapica di 25 milioni di lire non mutuata nel 1989, e decesso dopo appena 8 mesi di cura.
E mia nipote che, dopo cura per tumore all’esofago,è stata sottoposta a chemioterapia preventiva, scomparendo 15 mesi dopo per metastasi, a 43 anni.

Commento al messaggio di Ervino Abbà.
Colpire uno per spaventarne cento.

Non conosco i dettagli della cura Nocci, né a livello di cura fitoterapica né a livello di cura dietologica, e quindi non posso esprimermi su questo.
Do invece credito totale alla buona fede e al coraggio di Ervino Abbà, che cita tutto quanto gli è successo personalmente e in famiglia.
Ha fatto non bene ma benissimo a non sottoporsi al napalm della chemioterapia.
Gli stessi medici sanno che si tratta di un metodo mega-distruttivo e di una ultima ratio.
E’ una pratica assurda che dovrebbe essere stroncata per legge.

Il problema è che l’Ordine sta rintanato nel suo fortino, forte dei suoi addentellati coi governi, coi ministeri della salute e della giustizia, con le industrie farmaceutiche e il ministero dell’economia, coi sindacati e i partiti.
Le cure Nacci sono viste dall’Ordine come il fumo negli occhi.
Non è che l’Ordine, cattivo e feroce, ce l’abbia con la persona di Nacci.
L’Ordine è un apparato burocratico che, come il principe di Machiavelli, non deve perdere il potere.
Colpire uno per colpirne cento e mille. Colpire uno per spaventare ed ammonire tutti gli altri.

La gente è terrorizzata dalle malattie.
Ogni canale televisivo è zeppo di specialisti che pretendono di medicalizzare ulteriormente.
Nessuno che insegni la salute. Terminati  Il Potere del Cuoco e  Gusto, si passa non certo casualmente al gastroenterologo, al cardiologo e al cancerologo.
Da una parte ti ammalo, e dall’altra ti napalmizzo, ti opero e ti trapianto.

Una cosa però la voglio dire ad Abbà.
Ed è che deve abbandonare l’idea di essere ammalato e pronto a riammalarsi.
Questa è la mentalità perdente dello sconfitto e del terrorizzato inculcatagli proprio da quei metodi e da quei sistemi che lui sta giustamente combattendo.
Se è vero (e glielo auguro) che la cura lo ha veramente guarito, significa che non si deve preoccupare.
Il corpo ha tendenza virtuosa a stare in salute.
A condizione però che non continui a commettere i vecchi errori e le passate sbadataggini alimentari e comportamentali che portarono il suo corpo ad ammalarsi.

La soluzione dei problemi esiste, ma non si deve dire a voce alta.
Al massimo si deve sussurrare, ovattata e per pochi adepti, nei salotti-bene.

La dieta antiossidante, anticostipante, antimuco, antiacidificante, antiputrefattiva, antifermentativa, antiurica, anti-leucocitosica,  anticancro per eccellenza, è la dieta crudista vegana.
Lo sanno ormai tutti, inclusi i cancerologi, inclusi gli scienziati di ogni branca del sapere, non solo il prof Umberto Veronesi, guarda caso ex Ministro della Sanità e Presidente della Lega Europea Anti-Cancro.
Ma queste cose non bisogna dirle.
Se tutti diventano virtuosi ed igienisti, se tutti ricorrono a stratagemmi semplici e naturali come il digiuno a banalissima acqua distillata, dove andremo mai a finire?
Dove finiranno le tonnellate di farmaci, le sale chirurgiche e radiologiche, le frotte di medici istruiti perfettamente per il taglio, l’asportazione e il trapianto?
Dove li metteremo i 25000 propagandisti medici che percorrono le città italiane come dei segugi, ad inseguire ogni medico ed ogni terapeuta privato o della mutua?
E cosa faranno gli alberghi che ospitano le migliaia di convenzioni mediche annue?
E come faremo a dimagrire il business trainante ed esplosivo delle onoranze funebri?

Chiedesi tam-tam di stile afro-equatoriale, o le nuvolette indiane stile Sioux

Data la delicatezza e la fondamentale importanza degli argomenti trattati, chiedo a tutti gli amici vicini e lontani che mi seguono, di fotocopiare, stampare, ritrasmettere e diffondere via email, il presente documento, naturalmente dopo averlo letto, capito e condiviso.
Documento da inviarsi soprattutto ai medici.

L’etica e la salutistica riguardano tutti.
Chiunque abbia un corpo da difendere e un’anima da salvaguardare.
Non facciamo la guerra alle categorie.
Chiediamo umilmente perdono a chi si sentisse offeso per qualche parola di troppo o per qualche termine troppo colorito.
Andiamo piuttosto al sodo della questione.
Non vogliamo e non auguriamo la rovina economica ed il fallimento a nessuno.
Una società più logica e intelligente, più libera da dogmatismi e imposizioni, più ricca di valori e priva di sprechi, troverà modo anche di riciclare le attività obsolete, sbagliate e senza vie di uscita.
Anche i macellai hanno dei figli da far crescere.
Anche i medici devono pensare alla salute propria e dei loro bambini.

* – Direzione Tecnica AVA-Roma  (Associazione Vegetariana Animalista)
– Direzione Tecnica ABIN-Bergamo (Associazione Bergamasca Igiene Naturale)

il libro “Alimentazione naturale” del Dott. Valdo Vaccaro si trova nelle migliori librerie o qui su macrolibrarsi.it

La semplicità

La semplicità (André Comte-Sponville)

tratto da La meditazione come via – http://www.lameditazionecomevia.it

Abbiamo continuato a leggere alcuni brani tratti dal libro di André Comte-Sponville Piccolo trattato delle grandi virtù, dal capitolo sulla semplicità:
“La semplicità […] è innanzitutto una virtù morale, addirittura spirituale. Trasparenza dello sguardo, purezza di cuore, sincerità del parlare, rettitudine dell’animo o del comportamento… […] Semplicità […] non è sincerità […].
—————–

Per esempio, osserva Fénelon, «si vedono molte persone che sono sincere senza essere semplici: non dicono nulla che non ritengano vero, vogliono passare soltanto per ciò che sono, ma temono continuamente di passare per ciò che non sono; sono sempre a studiarsi, a compassare tutte le loro parole e tutti i loro pensieri, e a ripassare tutto ciò che hanno fatto nel timore di aver fatto o detto troppo». Insomma, si preoccupano troppo di sé, foss’anche per buone ragioni, e questo è il contrario della semplicità. […] «Chi volesse essere semplice», scrive Fénelon, «si allontanerebbe dalla semplicità». Non si deve ostentare nulla, nemmeno la semplicità. […] Non […] che la semplicità si riduca alla sincerità, all’assenza di ipocrisia o di menzogna.

Essa è piuttosto l’assenza di calcolo, di artificio, di accomodamento. «Queste persone sono sincere», continua Fénelon, «ma non sono semplici; non sono affatto a loro agio con gli altri, e gli altri non sono affatto a loro agio con loro; non si trova in esse niente di facile, niente di libero, niente di ingenuo, niente di naturale; si preferirebbero persone meno regolari e più imperfette, che fossero meno composte.

Ecco l’inclinazione degli uomini; e quella di Dio non è diversa: vuole anime che non si occupino afatto di loro stesse, e non siano sempre come davanti allo specchio a ritoccarsi». La semplicità è spontanea, coincidenza immediata con se stessi (anche con quello che di sé si ignora), improvvisazione gioiosa, disinteresse, distacco, incuranza di dimostrare, di prevalere, di sembrare… Di qui quell’impressione di libertà, di leggerezza, di beata ingenuità. «La semplicità», scrive Fénelon, «è una rettitudine d’animo che taglia via ogni orpello inutile da sé e dalle proprie azioni. […] È libera nella sua corsa, perché non si ferma mai per ritoccarsi ad arte». È noncurante, ma non senza cura: si occupa del reale, non di sé. È il contrario dell’amor proprio. Ancora Fénelon: «Essendo interiormente disamorati di sé grazie all’asportazione di tutti gli orpelli volontari, si agisce più naturalmente. […]

Questa vera semplicità […] ha un gusto di candore e di verità che si fa sentire, un nonsoché di ingenuo, di dolce, d’innocente, di allegro, di gradevole che affascina quando lo si guarda da vicino e a lungo con occhi puri».
La semplicità è oblio di sé, ecco perché è una virtù: […] il contrario del narcisismo, della presunzione, del sussiego. […] L’Io è soltanto l’insieme delle illusioni che si fa su se stesso: il narcisismo non è l’effetto dell’Io, ma il suo principio. […] La semplicità lo dissolve.

[…] Modestia senza semplicità è falsa modestia. Sincerità senza semplicità è esibizionismo o calcolo. La semplicità è la virtù delle virtù: ciascuna è se stessa soltanto a condizione d’essersi liberata della preoccupazione di sembrare, […] soltanto a condizione […] di essere priva di affettazione, priva di artificio […]. Ogni virtù, senza semplicità, è dunque corrotta, […] come piena di sé. […] La semplicità è la verità delle virtù, e la scusa dei difetti. È la grazia dei santi, e il fascino dei peccatori.

[…] La semplicità è oblio di sé […]: è quiete contro inquietudine, gioia contro riflessione, amore contro amor proprio, verità contro presunzione… L’Io permane in essa, sì, ma come alleggerito, purificato, liberato […]. Da tempo, addirittura, ha rinunciato a cercare la sua salvezza, non si cura più della sua perdita. […] Il semplice […] non s’interessa abbastanza a sé per giudicarsi. […] Tira dritto per la sua strada, il cuore leggero, l’anima in pace, senza meta, senza nostalgia, senza impazienza. Il mondo è il suo regno, e gli basta. Il presente è la sua eternità, e lo colma. Non deve dimostrare niente, poiché non vuole sembrare niente. Non deve cercare alcunché, perché ha tutto a portata di mano”.

Come consumare di meno e vivere meglio, in armonia con l’ambiente
Tanti consigli per la vita quotidiana (casa,acquisti, viaggi,alimentazione) per applicare i principi di rispetto dell’ambiente, di semplicità di vita, di minor consumo… Sviluppo sostenibile e commercio equo sono le nuove frontiere per un’umanità consapevole….

Troppo cemento, troppe automobili, troppo cibo, troppi rifiuti, troppi prodotti usa e getta non creano un mondo migliore. La «semplicità volontaria» è una semplicità di vita scelta consapevolmente da milioni di persone in tutto il mondo, vuoi dire consumare in modo equilibrato, rispettando l’ambiente e accrescendo l’autonomia personale. Questo libro spiega come fare, giorno dopo giorno.
Lo trovi su Macrolibrarsi

Vivere creativamente nella società dei consumi
Questo è un libro che tratta della semplicità, non dell’indigenza e della povertà, nè della parsimonia e della negazione di sé, ma del recupero di una vera prosperità in un mondo alle prese con una abbondanza nella quale “affamiamo” lo spirito e impoveriamo la vita.

È un libro che riguarda i vantaggi di una vita meno confusa e meno stressante di quella che molti di noi stanno vivendo in paesi sovrappopolati, consumistici e con ritmi maniacali di esistenza produzione e consumo.

È un libro che non ha niente a che fare con la vita di sopravvivenza, ma ha a che fare con l’avere meno e gioire di più, godere del tempo per perseguire progetti creativi, gioire del tempo per un buon cibo, godere del tempo soltanto per essere.

È inoltre un libro che pensa al futuro della nostra casa, la Terra.
Fino al ‘900, la Terra consisteva in un mondo di oceani e masse terrestri pieno di ogni genere di vita, bello, in parte selvaggio e denso di ogni ricchezza, ma i nostri nipoti ne erediteranno una assai diversa, con meno di un quinto delle sue foreste originali ancora intatte, con la maggior parte della risorse idriche disponibili già impegnate o compromesse, con la maggior parte delle zone umide e delle scogliere o distrutte o degradate.

Prima o poi uno stile di vita più frugale sarà non soltanto desiderabile, ma diverrà indispensabile.

Lo trovi su Macrolibrarsi

Meditazione – Come meditare

meditation

La meditazione è solo una tecnica per raggiungere lo stato dell’estasi, lo stato di ebbrezza divina. E’ una tecnica semplice, ma la mente la rende molto complicata. La mente deve renderla molto complicata e difficile, in quanto le due realtà non possono coesistere. La meditazione è la morte della mente; naturalmente, la mente si oppone ad ogni sforzo teso verso la meditazione. L’osservazione è la chiave della meditazione. Osserva la tua mente. Non fare nulla. Limitati a osservare qualsiasi cosa faccia la mente. Non disturbarla, non prevenirla, non reprimerla; non fare assolutamente niente in prima persona. Limitati a essere un osservatore. E il miracolo dell’osservare, è meditazione.

Allorché ti limiti a osservare, pian piano la mente si svuota di pensieri. Ma non ti addormenti, al contrario divieni più sveglio, più consapevole. E con lo svuotarsi della mente, la tua energia diviene una fiamma di risveglio. Allorché la mente è assolutamente assente – se n’è andata del tutto, e non la riesci più a trovare da nessuna parte – per la prima volta, diventi consapevole di te stesso, perché la stessa energia che era assorbita dalla mente, non trovandola più, si ribalta su se stessa.

Grazie all’osservazione, la mente e i pensieri scompaiono. E il momento più estatico, si ha quando ti ritrovi pienamente all’erta, senza che esista in te un singolo pensiero… ma solo il cielo silente del tuo essere interiore.

Questo è il momento in cui l’energia si volge all’interno: questa inversione è improvvisa, è repentina! E quando l’energia si volge all’interno, porta con sé una gioia infinita. Quando la meditazione ritorna alla propria sorgente, esplode in una gioia immensa. Questa gioia, nel suo stadio supremo, è illuminazione. (OSHO)

Meditation – consigliato!

Come meditare – In lingua inglese

Come fare le prostrazioni

Cosa è l’Amore

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<CHE COSA INTENDIAMO PER «AMORE»?>

(Testo tratto dal libro ‘Da Cuore a Cuore’, Ubaldini Editore)

(di Mario Thanavaro)

[Santacittarama, marzo 1995]

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Che cosa intendiamo per «amore»?

Questa parola è stata usata per esprimere l’intera gamma delle emozioni umane che scaturiscono dal desiderio, dall’attrazione, dall’affetto, dall’interesse per un altro essere. Un’ampia gamma di esperienze viene espressa con un’unica parola, e per questo è talvolta difficile avere una comprensione chiara e precisa del significato della parola amore.

Penso sia utile parlare dell’amore a due livelli di esperienza.

A livello umano, con amore intendiamo un desiderio, il volere per noi quella persona o quella cosa, e pensiamo che questa sia la massima espressione dell’amore umano. Ci piace qualcuno e diciamo immediatamente «ti amo», intendendo esprimere il profondo apprezzamento o il desiderio per la cosa che amiamo e che vogliamo per noi.

Dobbiamo riconoscere che, a livello umano, muoviamo da un senso di profonda separatezza. Questo modo di sentire deriva dal fatto che percepiamo noi stessi come esseri separati da ciò che percepiamo con i sensi. L’atto di separazione all’interno della coscienza suscita il bisogno dell’altro, il bisogno di unirci a ciò che viene percepito come esistenza separata dalla nostra.

In termini funzionali, il senso di separatezza è una realtà che richiede una notevole qualità di energia per la nostra sopravvivenza. A questo livello relativo abbiamo bisogno delle cose che consideriamo desiderabili. Quando sentiamo fame abbiamo bisogno di mangiare, possiamo esprimere scelte e preferenze riguardo al cibo che vorremmo, e anche queste preferenze sono indicate con la parola amore. «Amo il pesce con le patate fritte», «amo molto gli spaghetti al sugo».

Su questo stesso livello istintuale guardiamo alle persone e alle cose con l’idea di volerle per noi, per usarle, consumarle e soddisfare così il nostro desiderio istintuale.

Se riflettiamo alla forte spinta del corpo fisico alla procreazione, vediamo come l’impulso e il desiderio sessuale occupino molto spazio mentale. In tale spazio sentiamo ed esprimiamo il bisogno di unirci a ciò che viene desiderato, che in genere è un altro essere umano.
Questo desiderio di unione viene spesso vissuto a livello molto istintuale, molto fisico, e cioè a livello sessuale. Anche qui interviene la parola amore, infatti il rapporto sessuale viene indicato come «fare l’amore». Ma dev’esserci qualcosa in più del semplice desiderio, della passione o della concupiscenza, perché nel cuore si generi l’espressione autentica e il significato profondo dell’amore.

Molte volte manchiamo di esplorare i nostri desideri e sentimenti, e in questo modo ci impediamo di andare al di là del livello istintuale. La vera espressione dell’amore si ha quando perdiamo il senso di separatezza nell’atto di incontrare, di avvicinarci e di unirci a qualcuno o a qualcosa. L’amore è infatti quell’esperienza di fusione e unità che deriva dalla comprensione della nostra natura fondamentale, che è essere parte del tutto.

Per poter raggiungere questo livello dobbiamo andare al di là della natura istintuale. Questo significa, essenzialmente, raggiungere una migliore comprensione del fondamento dell’esistenza umana, per diventare esseri completamente umani.

Nel corso della vita, è probabile che abbiamo sperimentato alcuni livelli d’amore all’interno della gamma di esperienze che ci permettono di maturare, e abbiamo certamente imparato a collegarci a tale esperienza senza essere influenzati dall’apparenza delle cose. Quindi, gran parte della padronanza necessaria a vivere la nostra esistenza è connessa con la parola amore e il suo vero significato.

Per questa ragione, in molte tradizioni e insegnamenti spirituali ci viene detto di amare noi stessi. Solo chi ama veramente se stesso può amare gli altri, solo chi è veramente integro e unito in se stesso può portare armonia e amorevolezza per aiutare gli altri a crescere in questi valori.

Per amare noi stessi dobbiamo superare ogni senso di colpa, ogni risentimento, ogni sentimento di avversione o di odio.

Dobbiamo riconoscere l’importanza della qualità della purezza, cioè riscoprire il potere delle intenzioni. È all’interno delle intenzioni che gettiamo il seme che condurrà all’esito delle nostre azioni. Se le nostre intenzioni sono ancora nel campo della modalità dualistica di percezione, sono contaminate dalla mancata comprensione della realtà delle cose. Guardare alle nostre intenzioni ci permette quindi di capire il movimento che sorge dalla mente. Ovviamente, per riuscirci dobbiamo sviluppare una maggiore consapevolezza. Dobbiamo arrivare a conoscere la mente nel suo aspetto relativo e assoluto.

L’aspetto relativo della mente è il movimento prodotto dai pensieri fondati su un legame karmico di causa ed effetto. L’aspetto assoluto della mente si rivela, invece, quando andiamo al di là delle apparenze, quando andiamo al di là del continuo chiacchiericcio dei pensieri. Per questo la meditazione ci incoraggia ad approdare a un punto fermo, in modo da avere un’esperienza diretta della chiarezza e della vastità della mente e del silenzio. Questa chiarezza e questo spazio sono una manifestazione della purezza della conoscenza del qui e ora.

La fiducia in tale esperienza ci permette di fonderci completamente con l’esperienza dell’amore universale. Per coloro che vogliono percorrere questo sentiero la porta del cuore è aperta, ma è possibile entrare in questa dimensione solo se risolviamo i nostri conflitti interiori. Per fare un passo avanti è necessaria una grande onesta e integrità.

Anzitutto dobbiamo riconoscere tutte le aree di conflitto interiore. Dobbiamo risolvere le tensioni interiori che proiettiamo all’esterno sulle persone e le situazioni. Smettere di prendercela con gli altri e di incolparci per ciò che forse abbiamo sbagliato in passato fa parte del processo di guarigione della ferita interna.

Prenderci cura di noi stessi richiede attenzione e tenerezza. Ciò non significa essere addolorati per se stessi o abbandonarsi alle emozioni. Significa essere più presenti e responsabili per ciò che sentiamo e per il modo in cui esprimiamo i nostri sentimenti. Riportare tutto al centro, riportare tutto a fuoco permette alla mente di unificarsi e di scoprire una grande energia. Questa energia è un fuoco ardente che purifica la mente e il corpo. Dobbiamo mettere tutto in questo fuoco. Così, con grande devozione e umiltà, entriamo in contatto con lo spazio interiore del nostro essere, muovendoci verso di esso con una forte passione per perderci in esso. Quello che diamo è incondizionato, perché siamo totalmente impegnati nel processo di purificazione e di abbandono di noi stessi.

Sappiamo quanto sia difficile perdonare. Sappiamo anche quanto a volte sia difficile dare e ricevere. Perdonare, dare e ricevere sono parte del processo di riconciliazione di noi stessi, perché senza riconciliazione non può esservi alcuna base per vivere insieme in comunione totale. Ciò che sto cercando di dire è che ogni espressione d’amore deve essere totalmente purificata in noi stessi attraverso la scoperta della vera natura del nostro cuore. Se non ci impegniamo in questa direzione non faremo che continuare a guardarci in giro cercando di gratificare la pancia e i sensi con esperienze d’amore, ma perderemo di vista l’aspetto essenziale e non saremo mai appagati.

Se guardiamo alla nostra vita in questo modo potremo portare al livello della coscienza qualsiasi blocco e difficoltà che stiamo vivendo o abbiamo vissuto in passato. Tutti vogliamo essere amati. Tutti soffriamo per la mancanza d’amore nel mondo. Forse per questa ragione usiamo tanto la parola «amore» nella letteratura, nelle canzoni e nei discorsi. Non facciamo che affermare quanto abbiamo bisogno di questa esperienza.

Le nostre diverse aspirazioni filtrano attraverso i molteplici livellidel nostro essere, condizionati dal grado della nostra consapevolezza, e per poter esprimere questo amore che desideriamo così ardentemente dobbiamo collegarci alla fonte dell’amore. È nel momento del rilassamento interiore, nel momento della serenità e della gioia che acquisiamo una nuova prospettiva del mondo e ovviamente di noi stessi, dato che il mondo coincide con noi e con il modo in cui ci percepiamo. In questo modo possiamo approfondire l’esperienza dell’amore, perché è l’apertura del cuore e della mente che ci permette di ricevere quello che è già qui da sempre.

Se vogliamo parlare di una pratica, se vogliamo realmente valutare come indurre tale risveglio o come iniziare questo processo di trasformazione interiore, dobbiamo riconoscere che, fino a quando il desiderio rimane espressione di una prospettiva dualistica di noi stessi e del mondo, tale desiderio velerà la realtà facendocela percepire come molto, molto lontana da noi. Intrappolati nella falsa percezione di noi stessi e del mondo, corriamo di qua e di là cercando di appagare la nostra fame. Valutate quanta sofferenza derivi da questa corsa affannosa. Il movimento prodotto dal desiderio ardente e dall’impulso ad afferrare è il movimento dei desideri insoddisfatti, in cui il desiderio è la tensione tra noi e ciò che percepiamo come diverso da noi, o persino opposto a noi. Così non può esservi pace.

Passiamo la maggior parte del tempo in uno stato di agitazione, correndo da un luogo all’altro alla ricerca di esperienze, ma sappiamo che solo arrivare a una spiaggia dove distenderci a riposare, solo uno stato di riposo permette alla mente di riguadagnare una prospettiva autentica. Da questo punto potremo vedere per la prima volta il movimento delle cose, come un viaggiatore che si fermi per un istante e che per la prima volta veda la strada che stanno percorrendo altri viaggiatori, che non aveva mai notato prima perché era egli stesso un viaggiatore.

Fermarsi è un passo importante nella pratica della meditazione. Concentrando la mente, ad esempio sul respiro, possiamo osservare il movimento e il riposo. Inspirando osserviamo il movimento dell’aria che entra nel corpo e una pausa prima dell’inizio dell’espirazione. Questo identico ciclo è presente in tutte le esperienze umane e in ogni movimento dell’universo. Un movimento e una pausa. Comprendere l’unità di questi due momenti è comprendere la funzione dell’amore nell’universo. Alcune tradizioni religiose dicono che la creazione deriva dall’immobilità e che è un atto d’amore. L’amore è quindi il movimento che deriva dall’immobilità, che nasce da una libertà interna che può solo dare totalmente, incondizionatamente. Questo dare senza pensare di ricevere qualcosa in cambio è un’espressione della nostra vera natura, e quindi un’espressione d’amore. Per questa ragione veniamo esortati a essere come una madre, pronta in ogni momento a dare la vita per il bene del suo unico figlio.

La capacità di sacrificare noi stessi in ogni momento richiede molta attenzione verso ciò che amiamo di più. Per questo non dovremmo cedere la nostra virtù per soddisfare i nostri desideri. Proteggere la nostra virtù è proteggere quel figlio. Proteggere la virtù significa assumersi la responsabilità del nostro ruolo di esseri umani nella famiglia umana. Non fare il male agli altri e a se stessi è fondamentale per poter crescere ed essere la vera espressione di  quell’amore che abbiamo cercato tanto a lungo, e infine per accettarela nostra stessa morte che ci permetterà di guardare indietro alla vita trascorsa e riconoscere che quello che ci era stato affidato era un dono meraviglioso, un dono d’amore.

Guardare alla vita come un dono prezioso da custodire, curare, proteggere e lasciar andare ci permetterà di andare incontro alla morte con cuore aperto. Così, vivere e morire saranno ancora una volta espressione di quel ciclo che trova nel loro compimento la risposta all’umana ricerca d’amore.
articolo tratto da Lista Sadhana – Yahoo – Guido Da Todi

Bibliografia consigliata:
1] ‘Da Cuore a Cuore’, Ubaldini EditoreMario Thanavaro
2] “La via dell’Amore“, Oscar Mondadori – Dalai Lama
3] “Il risveglio del cuore“, Libreria editrice psiche – Osho
4] “L’educazione del cuore“, Oscar Mondadori – Kahlil Gibran

Obiettivo felicità

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Obiettivo felicità
Nell’era della globalizzazione il modo migliore per farsi i propri interessi è interessarsi agli altri. Perché l’altruismo ci farà bene.
Intervista di Piero Verni
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Guerre religiose, terrorismo internazionale, scontro tra civiltà, globalizzazione, espansione della superpotenza cinese. Il Dalai Lama, leader in esilio del popolo tibetano, per la sua particolare posizione di capo politico e spirituale si trova in questo periodo al centro di molte delle grandi questioni internazionali. In questa intervista spiega la sua posizione, la sua ricetta e le sue speranze per il 2004.

Afghanistan, Iraq, terrorismo; legittimità della guerra preventiva ed esportazione della democrazia con le armi. Qual è l’opinione del Dalai Lama su questi temi così caldi?
“Il terrorismo è un problema gravissimo, il principale problema di questi giorni. E certo dobbiamo trovare dei metodi per contrastarlo. Ma reagire alla violenza con altra violenza non mi pare una buona soluzione. È difficile che da una simile scelta possano derivare degli effetti positivi.
Quando parliamo di terrorismo dobbiamo anche comprendere cosa c’è alla base di scelte così estreme. A me pare che per lo più vi siano degli atteggiamenti di paura, di ostilità preconcetta, di disadattamento, le cui cause possono essere molteplici. Ma quali che siano, reagire a tutto ciò con un’altra violenza non credo possa portare a una soluzione effettiva del problema. Anzi, il più delle volte innesca una spirale del terrore che non è di alcun beneficio. Ovviamente mi rendo conto che solo l’amore e la compassione non sono sufficienti, ma bisogna impostare un lavoro serio per far fronte al terrorismo. Ma dovremmo cominciare a cambiare prospettiva e mettere al centro delle nostre azioni l’idea del dialogo, della non violenza, della riconciliazione. Non bastano nemmeno le dimostrazioni, le proteste, ma si deve fare qualche cosa di concreto ed effettivo che dia corpo a queste idee”.

Vale a dire?
“Impegnarsi per mettere in pratica queste idee nei nostri comportamenti quotidiani, far diventare noi stessi, le nostre azioni, un’alternativa credibile. Essere un esempio concreto del fatto che esiste una via d’uscita che non sia la guerra o gli attentati. Non si può continuare in questa spirale di violenze contrapposte: è indispensabile creare un clima di fiducia reciproca e fare ogni sforzo per riuscire a risolvere i grandi problemi politici ed economici che sono sull’agenda della politica internazionale in una dimensione pacifica, di reciproco rispetto e tolleranza. Così, forse, riusciremo a superare i sentimenti di collera e di odio che purtroppo oggi si manifestano con questa allarmante frequenza”.

È quella “Politica della Gentilezza” di cui lei parla da molti anni?
“Che ci piaccia o meno abitiamo tutti sullo stesso pianeta e facciamo tutti parte della medesima famiglia umana. Europei o asiatici, americani o africani, ricchi o poveri, uomini o donne, credenti o non credenti. In ultima analisi ognuno di noi è un essere umano come tutti gli altri. E tutti noi, tutti gli esseri umani, desideriamo essere felici e non provare dolore. E tutti possediamo l’identico diritto a questa felicità, a questa assenza di dolore. Fino a pochi decenni or sono, esistevano delle nazioni che potevano vivere in parziale o totale isolamento. Oggi non esistono più. Sotto ogni aspetto, politico, economico, culturale, ecologico. Quello che avviene in una determinata parte del mondo, magari remota e poco accessibile, si ripercuote subito in tutto il pianeta. Le informazioni viaggiano alla velocità della luce, radio, televisioni, mass-media, Internet le trasmettono in un baleno ovunque… È il villaggio globale o, se preferisce, la teoria dell’interdipendenza buddista: tutto quello che noi facciamo interagisce con gli altri e tutto quello che fanno gli altri interagisce con noi. Quindi in questa situazione di interdipendenza il modo più conveniente di fare i nostri interessi è di avere presenti anche quegli degli altri. In questo contesto ritengo che si debba fare ricorso alla compassione, all’altruismo, all’amore che sono i migliori strumenti per operare nel mondo e per il mondo la “Politica della Gentilezza”.

Lei parla di egoismo ed altruismo come chiavi per capire e affrontare il presente, compresa la grande politica internazionale. Non è un po’ semplicistico?
“L’egoismo è una delle malattie peggiori dei nostri tempi. Ci rende il cuore piccolo e crea le condizioni per una vita peggiore per noi e per gli altri. Questo non lo dovremmo dimenticare mai. La compassione, l’altruismo, il buon cuore non sono unicamente nobili sentimenti di cui trae vantaggio il nostro prossimo. Sono stati mentali, condizioni mentali di cui beneficiamo anche noi stessi. Una persona altruista e compassionevole è in genere una donna o un uomo più felice, più sereno. Del resto è la stessa scienza a sostenerlo, non solo i lama del Tibet. In questi ultimi anni ho avuto modo di parlare con molti scienziati e tutti mi hanno detto che coloro che vivono un’esistenza basata su tali sentimenti sono di solito anche individui più sani da un punto di vista fisico perché le tensioni prodotte da un eccesso di competitività, che a sua volta si basa su di una prospettiva egotica, sono dannose sia per il corpo sia per la mente”.

Torniamo al terrorismo: spesso è di matrice religiosa…
“Il buddismo, il cristianesimo, l’Islam, tutte le vie spirituali hanno il medesimo fine: essere uno strumento a disposizione degli esseri umani per raggiungere la felicità, la pace interiore e l’armonia. Quando invece, in nome di un’ideale religioso, si persegue l’odio, l’intolleranza, si perseguita il diverso, colui che non la pensa come te, credo che non ci sia più alcuna traccia di spiritualità in queste idee e di religioso sia rimasto solo il nome. Quando agiscono in questo modo, un modo che non ha alcun punto di contatto con l’autentica spiritualità, allora le religioni sono veramente, come diceva Karl Marx, una sorta di oppio dei popoli…”.

Fa un po’ specie sentire il Dalai Lama che cita Marx…
“Un conto è il marxismo e un conto sono le differenti forme di comunismo che si sono realizzate concretamente. Certo, alcune teorizzazioni del marxismo come la concezione del partito unico e della dittatura del proletariato mi trovano contrario in quanto sono un convinto assertore della democrazia e dei diritti civili. Così come sono in completo disaccordo con l’uso della violenza intesa come strumento per portare avanti la lotta di classe. Però vi è un aspetto del marxismo a cui, come dire, mi sento piuttosto vicino: l’aspirazione a una certa uguaglianza degli esseri umani, l’idea che tutti dovrebbero avere almeno una condizione economica dignitosa, che esista un livello di povertà e indigenza sotto il quale non si dovrebbe mai scendere. E l’idea che, per realizzare tutto questo, chi ha molto dovrebbe sacrificare parte delle sue ricchezze per dare a chi non ha nulla. Trovo che vi sia qualcosa di etico in questa attitudine. Qualcosa di etico che ha delle consonanze profonde con il buddismo Mahayana e con il mio personale modo di sentire. Ovviamente questa eticità viene calpestata se, in suo nome, si compiono violenze e privazioni delle libertà e dei diritti umani dei popoli e delle persone, se in suo nome si uccide, si tortura, si opprime, come purtroppo è avvenuto in molte occasioni in cui i partiti comunisti sono andati al potere”.

Che cosa pensa della politica dell’amministrazione Bush che ritiene, in accordo con l’ideologia neo-conservatrice, che la superpotenza Usa debba svolgere un ruolo guida nel mondo?
“Parlando in generale dobbiamo ammettere che oggi gli Stati Uniti sono l’unica superpotenza rimasta e quindi hanno delle maggiori responsabilità. Certamente l’America non è uno Stato dittatoriale. Ha un governo eletto democraticamente e da sempre la democrazia fa parte dello stile di vita degli americani, quindi credo che l’America abbia una grande responsabilità da questo punto di vista. Certo non sempre i governi americani compiono le scelte migliori ma questo fa parte della dimensione democratica. C’è anche la libertà di sbagliare (ride)”.

Qual è la sua opinione sul fenomeno della globalizzazione, che tante critiche sta suscitando nel mondo, specialmente nel Terzo mondo?
“Se con il termine globalizzazione intendiamo che questo pianeta è divenuto più piccolo e, ad esempio, ci vestiamo tutti nello stesso modo e tante cose sono divenute universali, beh, non mi sembra che in questo ci sia niente di tragico o particolarmente sbagliato. Ma quando globalizzazione significa che dei poteri economici forti si espandono a danno delle economie dei paesi più piccoli e meno potenti, allora la trovo assolutamente sbagliata e pericolosa. Il dominio di pochi gruppi economici è un vero errore. Credo che ogni nazione, ogni individuo dovrebbe avere la possibilità di sviluppare liberamente la propria economia. Quindi, questo secondo tipo di globalizzazione, dovrebbe essere contrastata perché, anziché diminuirlo, accresce sempre più il divario tra ricchi e poveri. È una situazione malsana. Perfino all’interno di una stessa nazione a volte accade una cosa del genere. I grandi gruppi strangolano quelli piccoli. Quando le differenze economiche crescono oltre misura, siamo davanti non solo a un qualcosa di sbagliato dal punto di vista morale, ma anche a una situazione che a livello sociale sarà prima o poi fonte di ogni sorta di problemi. Anche nella vita economica, come in quella interiore, dovrebbero esserci equilibrio ed armonia”.

In Europa sembra montare un senso di allarme, perfino di paura, nei confronti del crescente potere – soprattutto economico – della Cina. Lei ritiene giustificati questi timori?
“La Cina è la nazione più popolosa del mondo. Mi sembra che, insieme ai notevoli cambiamenti economici che sono avvenuti nell’ultimo decennio all’interno della Repubblica Popolare Cinese, oggi nella società civile di quel paese cresca una domanda di maggiori libertà. E credo che anche la stessa leadership cinese, molto consapevolmente, voglia andare verso quella direzione… E questo mi sembra uno sviluppo positivo. Ritengo che anche loro sappiano bene che per un regime autoritario non c’è futuro, però hanno paura che dei cambiamenti troppo repentini possano determinare una situazione di caos, di disordine come nella ex Unione Sovietica. O, peggio ancora, che si possa giungere a un vero e proprio bagno di sangue. Quindi penso che un approccio cauto al cambiamento sia giusto, comprensibile”.

A proposito di incontro tra Asia ed Europa, un altro fenomeno evidente è la diffusione in Occidente del buddismo. Quali differenze e quali analogie vede tra buddismo e cristianesimo?
“La maggior differenza tra buddismo e cristianesimo risiede nella concezione di un Dio creatore, assolutamente fondamentale nel cristianesimo. Tutto l’orizzonte di questa religione si fonda sul concetto di un Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Il concetto di Dio, e dell’obbedienza dell’uomo a Dio, permea l’intera struttura spirituale del cristianesimo. Invece il buddismo pone l’accento sulla sofferenza insita nella condizione umana e sui mezzi per poterla prima alleviare e infine superare definitivamente tramite l’Illuminazione interiore. Potremmo dire che il concetto di Illuminazione sta alla base della concezione buddista così come quello di Dio sta alla base del cristianesimo. Sembrerebbe quindi che non si potrebbero immaginare due vie spirituali più distanti. Eppure, se andiamo oltre questa constatazione di massima, vediamo che invece vi sono anche moltissime analogie, profonde similitudini…”.

Per esempio?
“L’idea cristiana dell’amore universale è per molti versi assolutamente simile alla compassione buddhista. In un certo senso la figura di Gesù che scende sulla Terra assumendo un corpo di uomo e si sacrifica per l’umanità affrontando, proprio in quanto essere umano, tutti i dolori e le sofferenze peculiari di questa condizione non può non considerarsi come una rappresentazione dell’ideale del bodhisattva che rinuncia all’Illuminazione per vivere nel mondo per il beneficio dell’umanità. I bodhisattva infatti si reincarnano come uomini e in quanto tali sono sottoposti a tutte le limitazioni della condizione umana”.

Quali sono le speranze del Dalai Lama per il 2004?
“Riguardano principalmente tre ambiti. Il primo è quello di promuovere i valori umani, il secondo l’ armonia religiosa e in questi due ambiti sono molto ottimista. Il terzo è la questione tibetana e anche per questa, nel lungo periodo, sono ottimista. Nell’immediato però, le cose non vanno per niente bene, si potrebbe perfino perdere ogni speranza. Ma se guardiamo le cose da una prospettiva più ampia, proprio per quello che le ho appena detto della Cina, mi sembra di poter vedere che le cose potranno cambiare e imboccare finalmente la giusta direzione”.

Fonte  http://www.followingdalailama.it

Bibliografia
Dalai Lama, Howard C. Cutler – (2009) – L’arte della felicità
Dalai Lama – (2007) – La via dell’Amore
Dalai Lama – (2003) –  La vita, l’Amore e la Felicità

Autostima e Amore

0804

Tratto da:

José Vicente Bonet.
AVERSI A CUORE.
Sulla stima e l’amicizia con se stessi.

Titolo originale: <Sé amigo de ti mismo. Manual de Autoestima>

Traduzione dallo spagnolo di MARIA GRAZIA DAL PORTO E LIDIA FONTANA.
Edizione italiana a cura di Giovanni Ruggeri

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Cap. 2

Le “A” dell’autostima
1. Caratteristiche dell’autostima

1. APPREZZAMENTO genuino di sé in quanto persona, indipendentemente dalla propria attività o dai propri beni, così da considerarsi simili – pur nella differenza – a qualsiasi altro essere umano. E’ un apprezzamento che include tutto il positivo presente in se stessi: talenti, abilità, qualità fisiche, mentali e spirituali… Colui che si apprezza, gioisce stupito per le proprie qualità manifeste, e sa, qualora se lo proponga seriamente, di poterne sviluppare altre ancora latenti. Gioisce dei propri successi senza presunzione, né vanteria, indizi, generalmente, di sentimenti di inferiorità. “Tutti abbiamo dentro noi stessi una Buona Novella! La Buona Novella è che davvero non sappiamo quale possa essere la nostra grandezza, quanto possiamo amare, quanto possiamo ottenere, quanto grandi siano le nostre possibilità. Non si può rendere una Buona Novella migliore di questa” (Anne Frank)

2. ACCETTAZIONE tollerante e speranzosa dei propri limiti, debolezze, errori e insuccessi. Chi accetta se stesso, si riconosce essere umano fallibile, come tutti gli altri, e non si meraviglia, né si angoscia troppo, per il fatto di sbagliare con maggiore, o minor frequenza. Riconosce seriamente gli aspetti spiacevoli della propria personalità, assume la responsabilità di tutte le proprie azioni, senza sentirsi in colpa più del dovuto per gli sbagli commessi. Sa per esperienza che “l’orrore dell’errore è un errore peggiore”. Non lo spaventano i propri limiti e difetti, e preferisce compiere con successo ciò che fa, ma non affonda quando perde.

“Aspira a fare le cose bene, non alla perfezione. Non rinunciare mai al diritto di sbagliarti, ché altrimenti perderai la capacità di imparare cose nuove e di avanzare nella vita. Ricorda che sotto le ansie di perfezione si nasconde sempre la paura. Affronta le tue paure e concedi a te stesso il diritto di essere umano: paradossalmente, potrai fare di te una persona molto più feconda e felice” (D. Burns)

3. AFFETTO: una disposizione positiva e amichevole, comprensiva e benevola verso se stessi, così da sentirsi in pace, non in guerra, con i propri pensieri e sentimenti (anche se sgradevoli), con la propria immaginazione e il proprio corpo (quali che sino le sue rughe – letterali, o metaforiche – e difetti). Si è capaci di gioire della solitudine senza disdegnare la compagnia; ” ci si trova bene con se stessi, nella propria pelle” (L. Racionero).

“Dovremmo imparare a guardare noi stessi con la stessa tenerezza con cui ci guarderemmo se fossimo nostro padre”
(J.L. Martìn Descalzo)

4. ATTENZIONE e cura amorevole dei propri bisogni, fisici e psichici,  intellettuali e spirituali (ovviamente, non ci riferiamo qui a quei bisogni superflui, creati artificialmente da una pubblicità aggressiva ed ingannevole). La persona che ha stima di sé preferisce la vita alla morte, il piacere al dolore, la gioia alla sofferenza. Non cerca il dolore per il dolore, protegge la propria integrità fisica e psichica, non si espone a pericoli inutili. E tuttavia è capace di accettare anche la sofferenza, e, se occorre, la morte, per una persona, o una causa con la quale si senta profondamente identificata. Così, ad esempio, una madre che ha stima di sé dona con gioia uno dei propri reni per farlo trapiantare ad un figlio che ne ha bisogno.

Queste quattro caratteristiche – le prime quattro “A” dell’autostima – presuppongono un buon livello di conoscenza di sé, e specialmente di autocoscienza, cioè di consapevolezza del proprio mondo interiore, conseguibile mediante l’amichevole ascolto di se stessi e l’attenzione costante a tutte le voci che sorgono da dentro. Già Socrate ci avvertiva che una vita inconsapevole non vale la pena di essere vissuta…

Quando parliamo di autostima, parliamo allora di AFFERMAZIONE di quell’essere umano fallibile, irripetibile, preziosissimo, che merita tutto il nostro rispetto e la nostra considerazione, ossia di quel “se” che ciascuno è; naturalmente, un “sé-in-relazione-con-gli-altri”, ché altrimenti non ci sarebbe individualità autentica. Non si tratta qui di narcisismo, poiché la persona che si stima davvero, nella propria globalità individuale e sociale, vive aperta e attenta all’altro, riconoscendone l’esistenza e affermandolo. Sa che non ci può essere affermazione duratura di sé senza solidarietà; accetta il fatto evidente dell’interdipendenza umana e si rende conto che non può, né le interessa, vivere isolata e indipendente dagli altri.

“Come le mele maturano con il sole, così anche noi uomini maturiamo in presenza dell’altro, collaborando con lui”
(G. Torrente Ballester)

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Autostima e Amore
Tiberio Faraci –
Ricomincia da Te

Il perdono è la chiave della felicita

Il perdono porta alla comprensione che il passato e concluso per sempre, e restituisce intatte le proprie possibilita di affermazione. Le cause del conflitto spesso si trovano dentro di noi, nel nostro cuore, risolverle ci permette di affrontare il presente e il futuro con energie del tutto nuove.Perdonare con responsabilita ci restituisce pienamente il nostro potere.

E proprio questo il momento per lasciare andare tutto quello che non ha funzionato nella tua vita. E ricominciare da subito. Quello che afferma il perdono e che il passato e passato.

“NON PUO ESSERCI FORMA DI SOFFERENZA CHE NON NASCONDA UN PENSIERO DI NON PERDONO.
NÉ PUO ESSERCI FORMA DI DOLORE CHE IL PERDONO NON POSSA GUARIRE”
(Un Corso in Miracoli)

Le tue paure vengono dal passato perché e li che abitano, perché ti ostini a volerle ospitare cosi spesso? Non sei costretto a sentire obblighi o doveri di cortesia verso di loro. Rimandale indietro da dove sono venute con un bel messaggio per il mittente: «Niente ho piu a che vedere con voi, che siete solo le mie paure del passato».

E’ proprio questo il momento per lasciare andare tutto quello che non ha funzionato nella tua vita. E ricominciare da subito. Quello che afferma il perdono e che il passato e passato.

Il perdono porta alla comprensione che il passato e concluso per sempre, e restituisce intatte le proprie possibilita di affermazione. Le cause del conflitto spesso si trovano dentro di noi, nel nostro cuore, risolverle ci permette di affrontare il presente e il futuro con energie del tutto nuove.Perdonare con responsabilita ci restituisce pienamente il nostro potere.

Dopo aver letto “Ricomincia da te” e aver integrato l’importanza assoluta del tema del Perdono, sarai pronto ad aprire davvero la tua vita al tuo prossimo futuro felice…

* Qualcosa che non sa trasformarsi non accetta di continuare a vivere
* Il Perdono e la chiave della felicita
* Tutto quello che non puoi cambiare e avvenuto nel passato
* Il perdono e inevitabile
* Che delusione… nell’offerta non era compreso il sogno
* Alla base del perdono cosa c’e?
* I sensi di colpa, gli efficaci sabotatori della nostra vita
* Io sono innocente, tu sei innocente
* Dove riconcipisci il tuo futuro e ricominci a crederci diventa facile perdonare
* Un’altra illusione che puoi mantenere quanto vuoi tu: il non perdono
* La vita che hai scelto e obbligatoriamente un percorso ad ostacoli?
* Le tecniche del perdono uno: che cosa ti preoccupa di piu in questo momento?
* Le tecniche del perdono due: come ti sentiresti se nelle tue mani avessi una lettera del tuo nemico?
* Le tecniche del perdono tre: non e importante il male che hai fatto, ma il modo con cui hai cercato di rimediare
* Non c’e nulla che non vada in te
* Se perdoni diventi potente
* Accorgiti di te, incontrati, perdonati, non partirai mai piu solo da qui.

Tiberio Faraci – Nasce in Toscana nel 1955 e opera in Svizzera dal 1978. Ideatore del sistema ” Ricomincia da Te”, riceve nei centri di Lugano e Milano. Da sempre si occupa di crescita personale e di attivita di spessore filantropico; infatti ha sommato esperienze pluridecennali in associazioni diverse, attente all’ascolto di persone in difficolta. Rebirther Professionale riconosciuto A.R.T.I. (Association of Rebirthers and Trainers International), Tiberio Faraci é Trainer in crescita personale e Life Coach e Tutor presso la European School Superiore di Rebirthing. Membro dell’ Associazione di Psicologia Prenatale, ha lavorato al fianco dei piú importanti nomi della crescita personale.

Lo trovi su  Macrolibrarsi

Il sentiero di Siddharta

siddharta

“Rifletteva Siddharta nel suo lento cammino. Stabilì che non era più un giovinetto, ma era diventato un uomo. Stabilì che una cosa l’aveva abbandonato, così come il serpente viene abbandonato dalla sua vecchia pelle, che una cosa non era più presente in lui, che l’aveva accompagnato durante tutta la sua giovinezza, e gli era appartenuta: il desiderio di avere maestri e di conoscere dottrine. L’ultimo maestro che gli era apparso sulla strada, il sommo e sapientissimo maestro, il più santo di tutti, il Buddha, anche questo egli l’aveva abbandonato, aveva dovuto separarsi da lui, non aveva potuto accogliere la sua dottrina.

Sempre più lento andava il pensieroso e si chiedeva frattanto: <<Ma che è dunque ciò che avevi voluto apprendere dalle dottrine e dai maestri, e che essi, pur avendoti rivelato tante cose, non sono riusciti a insegnarti?>>. Ed egli trovò: <<L’Io era ciò di cui volevo apprendere il senso e l’essenza. L’Io era, ciò di cui volevo liberarmi, ciò che volevo superare. Ma non potevo superarlo, potevo solo ingannarlo, potevo soltanto fuggire o nascondermi davanti a lui. In verità, nessuna cosa al mondo ha tanto occupato i miei pensieri come questo mio Io, questo enigma ch’io vivo, d’essere uno, distinto e separato da tutti gli altri, d’essere Siddharta! E su nessuna cosa al mondo so tanto poco quanto su di me, Siddharta!>>

Colpito da questo pensiero s’arrestò improvvisamente nel suo lentocammino meditativo, e tosto da questo pensiero ne balzò fuori un altro, che suonava: <<Che io non sappia nulla di me, che Siddharta mi sia rimasto così estraneo e sconosciuto, questo dipende da una causa fondamentale, una sola: io avevo paura di me, prendevo la fuga davanti a me stesso! L’ Atman cercavo, Brahma cercavo, e volevo smembrare e scortecciare il mio Io, per trovare nella sua sconosciuta profondità il nocciolo di tutte le corteccie, l’Atman, la vita, il divino, l’assoluto. Ma proprio io, intanto, andavo perduto a me stesso>>.

Siddharta schiuse gli occhi e si guardò intorno, un sorriso gli illuminò il volto, e un profondo sentimento, come di risveglio da lunghi sogni, lo percorse fino alla punta dei piedi. E appena si rimise in cammino, correva in fretta, come un uomo che sa quel che ha da fare.

<<Oh!>> pensava respirando profondamente <<ora Siddharta non me lo voglio lasciare scappare! Basta! Basta cominciare il mio pensiero e la mia vita con l’Atman e col dolore del mondo! Basta! Uccidermi e smembrarmi, per scoprire il segreto dietro le rovine! Non sarà più il Yoga-Veda a istruirmi, né l’Atharva-Veda, né gli asceti, né alcuna dottrina. Dal mio stesso Io voglio andare a scuola, voglio conoscermi, voglio svelare quel mistero che ha nome Siddharta.>>

Si guardò attorno come se vedesse per la prima volta il mondo. Bello era il mondo, variopinto misterioso era il mondo! Qui era azzurro, là giallo, più oltre verde, il cielo pareva fluire lentamente come i fiumi, immobili stavano il bosco e la montagna, tutto bello, tutto enigmatico e magico, e in mezzo v’era lui, Siddharta, il risvegliato, sulla strada che conduce a se stesso. Tutto ciò, tutto questo giallo e azzurro, fiume e bosco penetrava per la prima volta attraverso la vista in Siddharta, non era più l’incantesimo di Mara, non era più il velo di Maya, non era più insensata e accidentale molteplicità del mondo delle apparenze, spregevole agli occhi del Brahmino, che, tutto dedito ai suoi profondi pensieri, scarta la molteplicità e solo dell’unità va in cerca. L’azzurro era azzurro, il fiume era fiume, e anche se nell’azzurro e nel fiume vivevano nascosti come in Siddharta l’uno e il divino, tale era appunto la natura e il senso del divino, d’esser qui giallo, là azzurro, là cielo, là bvosco e qui Siddharta. Il senso e l’essenza delle cose erano in qualche cosa oltre e dietro loro, ma anche nelle cose stesse, in tutto.

<<Come sono stato sordo e ottuso!>> pensava, e camminava intanto rapidamente. <<Qand’uno legge uno scritto di cui vuol conoscere il senso, non ne disprezza i segni e le lettere, né li chiama illusione, accidente e corteccia senza valore, bensì li decifra, li studia e li ama, lettera per lettera. Io invece, io che volevo leggere il libro del mondo e il libro del mio proprio Io, ho disprezzato i segni e le lettere, a favore di un significato congetturato in precedenza, ho chiamato illusione il mondo delle apparenze, ho chiamato il mio occhio e la mia lingua fenomeni accidentali e senza valore. No, tutto questo è finito, ora son desto, mi sono risvegliato alla realtà e oggi nasco per la prima volta.”

(da Siddharta di Hemann Hesse)
herman-hesse
Il libro Siddharta – qui
Il racconto Siddharta in formato audio MP3 – qui

Cessazione del pensiero

001-57

Era un dotto, molto versato inletteratuni antica e amava citare gli antichi, per dare un tocco finale ai suoi propri pensieri. Veniva fatto di chiedersi se avesse realmente pensieri indipendenti dai libri. Naturalmente, non c’è pensiero indipendente; ogni pensiero è dipendente, condizionato. Il pensiero è la verbalizzazione delle influenze. Pensare è essere dipendenti; il pensiero non può mai essere libero.

Ma quell’uomo era tutto preso dalla cultura; era gravido di sapere e lo portava con orgoglio. Cominciò a parlare direttamente in sanscrito e fu molto sorpreso e in certo qual modo scandalizzato nello scoprire che il sanscrito non era capito. Non riusciva a crederlo. «Ciò che dite nelle vostre conferenze mostra che o avete letto estesamente in sanscrito o avete studiato le traduzioni di alcuni tra i grandi maestri» egli disse. Quando dovette constatare che non era così e che non c’erano state letture di opere religiose, filosofiche o psicologiche, si mostrò apertamente incredulo.

È strano quanta importanza diamo alla parola stampata, ai cosiddetti libri sacri. I dotti, come i profani, sono grammofoni; continuano a ripetere, per quanto spesso i dischi possano essere cambiati. Sta loro a cuore il sapere e non la sperimentazione. Il sapere è un ostacolo alla sperimentazione. Ma il sapere è un porto sicuro, il rifugio di una minoranza; e poi che gli ignoranti sono impressionati dal sapere, il sapiente è rispettato e onorato. Il sapere è come un vizio, come il vizio dell’alcool; il sapere non porta la comprensione. Il sapere può essere insegnato, ma non la saggezza; ci deve essere liberazione dal sapere per l’avvento della saggezza. Il sapere non è la moneta di acquisto della saggezza; ma l’uomo che è entrato nel rifugio del sapere non se ne avventura fuori, perché la parola nutre il suo pensiero ed egli trae godimento dal pensare. Il pensiero è un impedimento alla sperimentazione; e non c’è saggezza senza sperimentazione. Il sapere, l’idea, il credo sbarrano la via alla saggezza.

Una mente occupata non è libera, spontanea, e soltanto nella spontaneità può esserci la scoperta. Una mente occupata è chiusa in se stessa; è inavvicinabile, non vulnerabile e in ciò sta la sua sicurezza. Il pensiero, per la sua stessa struttura, è autoisolante; non può essere fatto vulnerabile. Il pensiero non può essere spontaneo, non può mai essere libero. Il pensiero è la continuazione del passato, e ciò che continua non può essere libero. C’è libertà soltanto nella terminazione. Una mente occupata crea ciò su cui lavora. Può produrre il carro a buoi o l’aeroplano a reazione.

Possiamo credere di essere stupidi e pensandolo siamo stupidi. Possiamo pensare di essere Dio e siamo la nostra stessa concezione: «lo sono Ciò che è». «Ma, certo, è meglio occuparsi delle cose di Dio che non di quelle mondane, non vi pare?» Noi siamo ciò che pensiamo; ma è la comprensione del processo del pensiero che è importante e non ciò che noi pensiamo. Che noi pensiamo a Dio, o a un bicchiere di vino, non è importante; ognuno ha il suo effetto particolare, ma in entrambi i casi il pensiero è occupato dalle sue stesse proiezioni. Idee, ideali, fini e così via, sono tutti proiezioni o estensioni del pensiero. Occuparsi delle proprie proiezioni, a qualunque livello, è adorare l’io.

Il Se Stesso, con la S maiuscola, è ancora una proiezione del pensiero. Quale che sia il pensiero di cui ci si occupa, quello è; e ciò che è non è altro che pensiero. Ecco perché è importante comprendere il processo del pensiero. Il pensiero è la risposta alla sfida, no? Senza sfida, non c’è pensiero. Il processo della sfida e della reazione alla sfida è l’esperienza; e l’esperienza verbalizzata è pensiero. L’esperienza è non soltanto del passato, ma anche del passato in congiunzione col presente; è il conscio e insieme il nascosto. Questo residuo dell’esperienza è la memoria, l’influenza; e la risposta della memoria, del passato, è il pensiero.
«Ma questo è tutto ciò che riguarda il pensiero? Non ci sono profondità maggiori per il pensiero che non le semplici risposte della memoria?» Il pensiero può porsi, e si pone, a livelli differenti, lo stupido e il profondo, il nobile e l’indegno; ma è sempre pensiero, non vi pare? Il Dio del pensiero è ancora della mente, della parola. Il pensiero di Dio non è Dio, è semplicemente la risposta della memoria.

La memoria dura a lungo e così può apparire profonda; ma per la sua stessa struttura non può mai essere profonda. La memoria può essere nascosta, non immediatamente visibile, ma ciò non la rende profonda. Il pensiero non può mai essere profondo, o qualcosa più di ciò che è. Il pensiero può dare a se stesso un più alto valore, ma rimane pensiero.

Quando la mente è occupata con le sue proprie proiezioni, non è andata al di là del pensiero, ha assunto soltanto una nuova parte, una posa nuova; sotto quel mantello è ancora pensiero. «Ma come si può andare al di là del pensiero?» Non è questo il punto, non vi pare? Non si può andare al di là del pensiero, perché l”’agente”, l’autore dello sforzo, è il risultato del pensiero. Nella scoperta del processo del pensiero, che è conoscenza dell’io, la verità di ciò che è pone fine al processo del pensiero. La verità di ciò che è non si trova in nessun libro, antico o moderno. Quella che si trova è la parola, non la verità. «Allora come trovare la verità?»

Non si può trovarla. Lo sforzo di trovare la verità porta in essere un fine proiettato dall’io; e questo fine non è la verità. Un risultato non è la verità; il risultato è la continuazione del pensiero, esteso o proiettato. Solo quando il pensiero ha fine c’è la verità. Non c’è fine del pensiero attraverso !’imposizione, la disciplina, o attraverso qualunque forma di resistenza. Ascoltare la storia di ciò che è genera la sua propria liberazione. È la verità che libera, non lo sforzo di essere liberi.

Cessazione del pensiero – PP. 168-169-170 (“La mia strada è la tua strada” – Krishnamurti)

Libro consigliato da pomodorozen

ISBN: 9788804586548

Prezzo € 9,00
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“Ciascuno cambi se stesso per cambiare il mondo.”

Così Jiddu Krishnamurti, una fra le voci più significative dell’India moderna, sintetizzava l’essenza dei suoi insegnamenti: un accorato appello alla conquista della libertà interiore, alla limpida presa di coscienza della propria spiritualità.

Questo primo volume delle sue Meditazioni sul vivere contiene riflessioni sull’amore, la solitudine, la gelosia, il lavoro, la politica, il rapporto fra individuo e società, il potere, le ideologie.

Pensieri basati su concetti semplici e immediati , che fotografano con profonda saggezza i più svariati aspetti dell’esistenza umana e rappresentano un momento di incontro tra l’antica saggezza indiana e un atteggiamento più spregiudicato e moderno.

Meditazioni che sono il frutto di uno sguardo penetrante, capace di scrutare nei recessi più profondi dell’uomo contemporaneo.

Equanimità

001-40foto by Marciano – http://olhares.aeiou.pt/amorfos_silencios_foto2686239.html

Articolo di Christina Feldman
Discorso tenuto a Roma il 28 gennaio 2006.

L’equanimità viene talvolta descritta come una spaziosa tranquillità della mente, una calma radiosa o un equilibrio interiore. Tuttavia questo saldo equilibro non è qualcosa di lontano o distante dalla vita, ma si sviluppa all’interno della nostra disponibilit à e capacità di andare incontro a tutti i momenti della vita con eguale rispetto, compassione e sensibilità.

Per incontrare tutti i momenti della nostra vita con eguale rispetto dobbiamo rinunciare a essere favorevoli o contrari a qualcosa, rinunciare al rigetto e al perseguimento, alla ricerca e al rifiuto.  Nella tradizione tibetana l’equanimità viene descritta come qualcosa ugualmente vicina a tutte le cose, come un precursore della compassione, uno dei suoi aspetti essenziali.
Per sapere cosa significa rimanere tranquilli e aperti in mezzo alla sofferenza, dobbiamo in qualche modo rinunciare alle nostre idee su cosa sia giusto o sbagliato, su ciò che si dovrebbe o non si dovrebbe fare, in modo da poter ascoltare senza timore dolore e sofferenza.

Sembra che per ascoltare con attenzione la storia di un’altra persona o la storia della vita, dobbiamo in certa misura calmare la nostra stessa storia. Si dice anche che l’equanimità preceda la retta azione e la retta parola.

Ci rendiamo conto che le risposte che fanno realmente la differenza in questo mondo raramente nascono dall’agitazione, dalla paura o dal desiderio.
Le reazioni realmente differenti in questo mondo nascono dalla tranquillità e dall’equilibrio. Non credo che sia utile pensare sempre all’equanimità come a una condizione o un luogo poiché non è qualcosa che raggiungiamo e in cui poi ci ritiriamo.

L’equanimità è in realtà un continuo viaggio. La nostra vita non rimane congelata nel tempo per cui niente cambia più; l’equanimità deve rimanere fluida come la nostra vita, come un modo di andare incontro alla nostra esistenza mutevole, al nostro corpo e alla mente cangianti e a tutti gli eventi che ci capitano.

È facile convincerci che questo tipo di tranquillità interiore e di equilibrio siano irraggiungibili. Potremmo pensare che sia troppo difficile, se non impossibile, rimanere equilibrati e fermi nel bel mezzo di tutti i momenti estremi della vita. Ma io credo che ci basta solo un breve momento di riflessione per sapere quanto sia ben più duro essere continuamente persi nei due estremi di amore e odio, felicità e disperazione, dell’essere favorevoli o contrari a qualcosa.

Equanimità, almeno in inglese, non è una parola che viene usata molto spesso. Raramente incontriamo qualcuno e gli diciamo: Ho avuto una giornata profondamente equanime.. Ci sono altre parole nel nostro vocabolario che usiamo molto più spesso:
Mi piace molto questo, mi piace molto quest’altro. Non vedo l’ora che arrivi domani, oppure ne ho paura.. Se vogliamo drammatizzare, diciamo: .Ho veramente bisogno di questo o sono assolutamente contrario a quest.altro.. Se incontrate un amico che non avete visto da tempo e vi chiede come state, spesso la sua domanda apre la porta a un fiume di racconti di tutti gli eventi che ci sono accaduti.

Diciamo: .Ho avuto un periodo tremendo ., oppure .La vita è stata entusiasmante!., .Mi sono innamorato . oppure .Sono stato veramente triste.. Se dicessimo: .Non è accaduto nulla e la mia mente e il cuore sono rimastiimpassibili. L’equilibrio e l’equanimità sono stati la mia casa. Ci sembrerebbe di presentarci come delle persone noiose e tristi che verranno trascurate o ignorate.

Un modo di concepire la nostra vita è quella di vederla come un interminabile flusso di eventi, in cui un fatto segue a un altro. La nostra vita è simile a un grande fiume che nasce come una piccola sorgente che giunge in superficie e che s’ingrossa sempre di più. E nel corso del fiume ci saranno punti in cui l’acqua è quieta e punti in cui ci sono delle rapide. Vi saranno zone in cui l’acqua scorre lenta che però potranno trasformarsi in cascate.

Come non potremmo decidere di fermare il fiume così non possiamo pensare di fermare il sorgere e passare degli eventi nella nostra vita. Non possiamo scegliere di avere solo i periodi di calma e probabilmente non siamo nemmeno sicuri di volerlo. Non potremmo nemmeno scegliere di rimanere sempre in acque agitate. Nel corso della nostra vita avremo tutti la nostra razione di lodi e rimproveri, approvazione e disapprovazione, guadagno e perdita, momenti di piacere e di dolore. In questa tradizione, per descrivere gli eventi nel corso della vita, si parla degli otto dharma mondani. In generale vi sono gli estremi di felicità e dolore, gli estremi di disperazione e speranza, di desiderio e avversione.

Se pensiamo a tutti gli accadimenti di una singola vita, quelli che il Buddha chiama le diecimila gioie e dolori, molti di questi eventi sembrano quasi essere stati creati per farci perdere l’equilibrio. Non penso che possiamo nemmeno immaginare di raggiungere un punto della nostra vita in cui avremmo una corazza o una difesa che ci tenga a distanza dal mondo degli eventi. Non penso che si possa immaginare di raggiungere un punto della nostra vita in cui diremmo: .Ora è tutto sotto controllo. Non sarò mai più sorpreso dal cambiamento. e che in qualche modo l’ordine e la prevedibilità siano stati raggiunti.

La sola cosa su cui possiamo realmente contare in questa vita è che niente ci apparterrà veramente, niente rimarrà e niente sarà immutato. Questo lo vedo spesso nell’insegnamento quando faccio un discorso di Dharma e poi ricevo alcuni commenti entusiastici e altri assolutamente tiepidi o critici.

Certamente possiamo ottenere approvazione in questa vita e quindi trascorrere momenti o addirittura ore compiacendoci con noi stessi, dicendoci quanto siamo meravigliosi, mentre solo alcune ore più tardi possiamo vergognarci se qualcuno ci disapprova. La nostra bella meditazione, il nostro grande amore, lo stato di salute, la nostra gioventù, tutte queste cose possono andare perdute e talvolta si trasformano in qualcosa di meno gradito.

Anche il piacere può trasformarsi rapidamente in dolore. Una donna che abita in una cittadina vicina, mi disse che dopo lo tsunami in cui era morto il figlio, aveva ricevuto una sua cartolina in cui le scriveva: .Sono in paradiso, questo è il periodo migliore della mia vita.. I cambiamenti tra piacere e dolore non sono sempre così distruttivi.

Possiamo gustare il canto degli uccelli e poi arriva sulla strada il camion dei rifiuti. Un momento possiamo essere occupati da una piacevole fantasia e il momento dopo trovarci in un incubo di ossessioni. Possiamo anche notare che il dolore talvolta si trasforma in gioia. Possiamo essere persi in qualche tremendo spazio limitato, ne possiamo uscire e ritrovarci all.improvviso profondamente toccati dalla vista del sole al di sopra degli alberi.

Il dolore del corpo che pensiamo sia interminabile, d’un tratto si trasforma in un grande senso di benessere. Penso che ripetutamente nella vita sperimentiamo come il senso di equilibrio appare così fragile, così precario e nonostante ciò continuiamo a respirare, il nostro cuore batte ancora e rimaniamo presenti nella nostra vita. Talvolta penso che ci chiediamo come i nostri cuori possano assorbire questo continuo flusso di eventi senza andare in pezzi. Ci chiediamo come poter trovare l’equanimità che ci permetta di andare incontro a tutti questi eventi con eguale rispetto. Ci chiediamo anche quanto profondamente possiamo capire che tutti i nostri sforzi di controllare l’incontrollabile siano vani e facciano solo soffrire.

Per la verità, l’equanimità richiede la saggezza di un Buddha. Non sono solo gli eventi esteriori della vita a richiederci di trovare questa calma radicale, ma anche gli eventi interni delle nostre emozioni e stati mentali.

Un paio d’anni fa mi trovavo in America durante le ultime elezioni presidenziali. Ero con alcuni amici a guardare i primi risultati in televisione. Era così interessante vedere come la serata era cominciata con un po. di speranza, che poi si era gradualmente trasformata in disperazione, poi era riemersa ancora un po. di speranza, mentre eravamo in attesa dei risultati dell’Ohio, per essere poi definitivamente distrutta ancora. Ma la cosa evidente era che in tutto il paese vi erano tante persone che guardavano lo stesso evento e sperimentavano gli stessi alti e bassi in momenti completamente opposti. Quindi la mia speranza significava la disperazione di qualcun altro e quelle che per me erano cattive notizie erano buone per qualcun altro. Talvolta ci chiediamo: .Equanimità significa che non avremo più emozioni o sensazioni?.. Penso di no. Vorrei leggervi qualcosa che forse alcuni di voi già conoscono.

Se riuscite a restare tranquillamente seduti dopo delle cattive notizie, se in un momento di difficoltà finanziarie rimanete perfettamente calmi, se vedete i vostri vicini fare un viaggio in paesi esotici senza una fitta di gelosia, se riuscite a mangiare con soddisfazione qualsiasi cosa vi si metta nel piatto, se riuscite ad amare incondizionatamente quelli che vi circondano, se potete addormentarvi dopo una giornata impegnativa senza prendere una bevanda alcolica o una pillola, se potere essere sempre contenti dovunque vi troviate,  siete probabilmente un cane.

L’equanimità non è l’assenza di sensazioni bensì la presenza di equilibrio nel mondo delle sensazioni. Vediamo ora qual è l’elemento di saggezza dell’equanimità. La prima pietra angolare dell’equanimità è la nostra disponibilità e capacità di abbracciare la realtà dell’impermanenza e la nostra capacità di farlo dipende dalla nostra disponibilità.
Possiamo comprendere veramente che in ogni cosa che sorge vi è la storia della sua scomparsa e della sua morte, con i suoi momenti di fama e disgrazia, di amore e odio, di guadagno e perdita. Nessuno di questi si può afferrare in quanto fanno tutti egualmente parte del tessuto dell.impermanenza. Lo sappiamo e tuttavia è lì che abbiamo l’amnesia più grande. Sempre è un pensiero che abbiamo spesso. Vogliamo che qualcosa duri per sempre oppure temiamo che sia per sempre. Se non abbracciamo l’impermanenza ci perdiamo nell’avversione e nella resistenza o ci perdiamo nello sforzo di trattenere e mantenere eventi che stanno già passando. In entrambi i casi siamo egualmente persi nella dimenticanza del cambiamento.

Quando cadiamo nei due estremi di cercare di mantenere qualcosa o di liberarcene, sacrifichiamo la nostra capacità di essere egualmente vicini a tutte le cose e di andare incontro a tutti i momenti con lo stesso rispetto. Alcuni anni fa all’Insight Meditation Center, il centro negli Stati Uniti dove insegno, c’era una serie di piatti di tutte le forme e colori e delle tazze scheggiate con delle scritte sopra per cui lo staff aveva deciso di sostituirli con dei semplici piatti bianchi. Questa semplice scelta dette l’avvvio a una serie di commenti da parte dei meditanti: .Come posso rinunciare alla mia tazza preferita?  oppure Come posso iniziare il ritiro così turbato?.. E ricordiamoci che si tratta di un centro di Dharma in cui si danno continuamente insegnamenti sull’impermanenza.

Penso che non sempre ci rendiamo conto di quanto il nostro sentirci equilibrati e calmi dipenda dal fatto che le grandi e piccole cose della nostra vita rimangono immutabili. Ce ne rendiamo conto solo quando cambiano.

E poi ci rendiamo conto di come questo filo dell’attaccamento percorra tutta la nostra vita. Non ci mancano le opportunità per contemplare l’impermanenza. Basta aprire i nostri cuori alla verità di un singolo giorno, di una singola seduta, di una singola ora, e vedere quante nascite e morti, inizi e fini. Allora ci chiederemo che cosa in realtà ci stia insegnando tutto questo. Una lezione è che anche questo passerà e comprendere ciò costituisce una delle pietre angolari dell’equanimità.

La seconda pietra angolare dell’equanimità è la comprensione della natura della nostra intossicazione. Se qualcuno ci offrisse una tessera a vita per le più alte montagne russe del mondo, all’inizio, anche in base al nostro temperamento, potremmo pensare che si tratti di un bel regalo. Nei primi giorni potreste provare l’eccitazione e il divertimento della corsa anche con grande intensità. Ma provate a immaginare di doverlo fare, giorno dopo giorno, per il resto della vita.

Immaginate tutta la vostra vita a Disneyland! Penso che dopo un pò di tempo l’eccitazione comincerebbe a logorarsi. Ma in qualche modo sembra che noi non perdiamo l’intossicazione di percorrere come fossero montagne russe gli eventi della nostra vita, sia internamente che esternamente.

Con questo tipo di intossicazione l’equanimità scompare. Allora penso che sia utile chiederci che cosa ci conduce a questa intossicazione di intensità, cosa ci spinge ad attraversare la vita alla ricerca di esperienze eccitanti sempre nuove, che cosa nutrono in noi gli estremi di amore e odio, guadagno e perdita.

Credo che ci voglia solo un pò di consapevolezza per vedere che il nostro senso dell’io, il nostro senso di chi siamo, è anch’esso un evento che sorge e passa in innumerevoli forme differenti in una singola giornata.

Pensate, ad esempio, a quanti diversi stati dell’io avete sperimentato oggi: la noia, l’eccitazione, la fame, l’interesse, la monotonia, l’irrequietezza. Pensate a quanti stati dell’io avete sperimentato nella vostra vita: la felicità, la tristezza, l’andare da qualche parte, il non andare da nessuna parte, essere giovane, essere vecchio, essere ansiosi ed eccitati.

Lo stato dell’io sorge e passa sempre ed è collegato a tutti gli altri stati che sorgono e passano. Il nostro senso dell’io è un evento unito a tutti gli eventi delle emozioni e dei pensieri, e fa parte del mondo degli eventi esterni. Talvolta vediamo che lo stato dell’io è influenzato da un fatto esterno. Ora che siete seduti qui nella sala e siete molto calmi, questo è uno stato molto calmo dell’io. Poi all’improvviso la persona accanto a voi comincia a tossire e starnutire e immediatamente vedete la reazione ansiosa e avversiva dell’io in risposta a questo evento.

Talvolta gli avvenimenti esterni della nostra vita prendono il sapore e colore dello stato interiore dell’io.  Se vi è uno stato di tristezza o impazienza dell’io, d’un tratto ogni cosa del mondo diventa potenzialmente irritante e tanti di questi eventi sembrano sorgere dal nulla. La domanda da farci è: chi saremmo al di fuori di questi eventi dell’io? Chi saremmo senza definire un evento? La fonte della nostra intossicazione è il bisogno di avere un evento per essere qualcuno, in quanto il pensiero di non essere nessuno ci è così inconsueto e inquietante che vi opponiamo una forte resistenza.

In realtà non c’è fine agli eventi della vita che ci danno la possibilità di essere qualcuno. Essere equanimi è la risposta alla domanda di chi saremmo senza un evento che ci definisca.

c’è una splendida poesia nella tradizione Zen che dice:

10.000 fiori in primavera
la luna in autunno
una fresca brezza in estate
e la neve in inverno.

Se la vostra mente non è annebbiata da pensieri inutili, questa è la stagione più bella della vostra vita. Le cose inutili sono le nostre posizioni a favore o contro qualcosa, gli attaccamenti e le avversioni, le paure e le aspettative. Le cose inutili sono le definizioni mutevoli dell’io, senza le quali la nostra equanimità sarebbe ricca e profonda.

La terza pietra angolare della saggezza, che fa parte dell’equanimità, è la comprensione profonda del rapporto con le sensazioni (vedaná), che sono il secondo fondamento della consapevolezza. Vale a dire riconoscere il piacevole come piacevole, lo spiacevole come spiacevole e il neutro come neutro.

Quando non siamo consapevoli delle nostre sensazioni muoviamo il primo passo verso l’intossicazione, verso lo squilibrio. Per coltivare l’equanimità è necessario praticare quando non siamo equanimi, vale a dire in quella gamma di sensazioni che sorgono. Nella vita ci sono molte sensazioni piacevoli, quali suoni, pensieri, gusti e contatti, ma forse non ce ne sono abbastanza rispetto ai nostri desideri. L’equanimità non richiede che noi resistiamo al piacevole, che è la radice della gioia, della gentilezza amorevole e dell’apprezzamento.

Ma il piacevole è anche il luogo in cui il desiderio intenso può costruire la sua dimora, vale a dire quando accompagniamo il piacevole con la mancanza, il bisogno, e quando ci perdiamo nell’evento del piacevole. È come fare una passeggiata in un giardino in cui c’è molto di piacevole, come gli alberi e l’erba.

Possiamo goderne, ma possiamo anche fare dei passi ulteriori. Possiamo dirci: .Non tornerò in quella sala buia., .Sposterò il mio cuscino all.esterno., .La prossima volta che verrò porterò con me il mio libro sugli uccelli in mododa poterli identificare tutti., .Forse porterò la merenda..

Tutto ciò che abbiamo elaborato sul desiderio, quando ci dimentichiamo del cambiamento e dell’intossicazione, è che abbiamo trasformato il piacevole in un progetto o in un evento che vogliamo rendere .nostro.. Nella vita vi sono più sensazioni spiacevoli di quelle che vorremmo, ma le nostre avversioni non ci proteggono dallo spiacevole e noi tendiamo a trasformare lo spiacevole in un evento o in un progetto. Forse abbiamo voglia di uscire anche se piove e ci diciamo che la prossima volta faremo un ritiro in Spagna. C’è anche molto nella vita che è neutro, né piacevole né spiacevole. Il neutro è l’evento più difficile cui l’io possa appigliarsi, perché nella condizione neutra sembra che non accada nulla e pertanto la nostra risposta consueta a tutto ciò è di dirci che è noioso. La vita va naturalmente avanti, invitando la nostra presenza sensibile e pronta, ma ciò che scopriamo è il sentirci incapaci di riposare in uno spazio senza eventi, per cui entriamo rapidamente nel moto del desiderio, in modo da far accadere qualcosa.

Imparare a lasciare andare il desiderio, l’avversione e lo spazio fra i due significa cominciare a coltivare l’equanimità, vale a dire trovare quella calma radiosa che illumina e abbraccia tutte le cose, conoscere veramente e profondamente che in questo momento non manca nulla.

Ciò che si libera nel lasciar andare è la nostra capacità di incontrare tutti i momenti della vita con la stessa attenzione. Trovare l’equilibrio è una pratica, e per farlo abbiamo bisogno di provare interesse per i momenti in cui lo perdiamo. Il sentiero dell’equanimità non è separato dal mondo della sofferenza e del caos, in quanto vi fonda le sue radici. In tutti i momenti in cui troviamo il coraggio e la fermezza in mezzo al cambiamento e alla sofferenza, impariamo che possiamo abbracciare questo mondo di eventi senza esserne sopraffatti e senza provare amarezza o paura.

La pratica dell’equanimità è assolutamente centrale nel cammino della compassione.
È una profonda e imperturbabile calma interiore.

Patricia Feldman

Felicità radicale

001-25

(di Ajahn Sucitto)

[per libera distribuzione]

(Tradotto da Letizia Baglioni)

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Pur avendo insegnato per quarantacinque anni, il Buddha affermava che c’era tutta una serie di cose che aveva compreso ma non insegnato. E perché non le aveva insegnate? Perché saperle non era indispensabile ai fini della comprensione cui attribuiva il massimo valore: ossia, che il modo in cui l’individuo ordinario sperimenta la propria vita contiene un elemento di non-soddisfacibilità, e che questa insoddisfazione può essere eliminata. In breve, che l’essere umano è in grado di sperimentare un sostenuto sentimento di benessere, o di felicità, indipendente dalle circostanze.

Al Buddha non interessava fondare una nuova religione o radunare un vasto seguito di discepoli, quanto piuttosto aiutare chi lo desiderasse a conseguire il semplice obbiettivo del benessere. Nessuno ha bisogno di essere ‘convertito’ a questa causa, perché, a ben pensarci, è quello che già cerchiamo attraverso ogni sorta di progetti spirituali e materiali. In effetti, il Buddha esortava a non seguire i suoi consigli senza prima sottoporli al vaglio dell’esperienza personale. Solo attraverso la ricerca e il costituirsi di proprie autonome certezze è possibile realizzare quella verità che può assicurarci una felicità indipendente. Limitarsi a credere – o a non credere – ciecamente, significa dipendere da un sistema di assunti circa ciò che dovremmo o potremmo essere, circa la natura del mondo o ciò che speriamo (o temiamo) ci accada al momento della morte.

A ben riflettere, si può dire che gran parte della nostra realtà sia fatta di supposizioni. Supponiamo di abitare un corpo fisico che abbandoneremo al momento della morte; ma in realtà, dove sono ‘io’ in questo corpo? Se sezionate un corpo, non ci trovate dentro nessuno! Né questo ‘individuo interiore’ è in grado di vedere il corpo dall’interno, sebbene si sperimenti di volta in volta come soggetto che genera pensieri e stati d’animo o come oggetto che riceve tutta una serie di impressioni sensoriali. Intrappolato in questa posizione, l’‘individuo interiore’ è tuttavia incapace di garantire che questo costante flusso in entrata e in uscita sia gradevole, interessante o perfino gestibile. E questo è una grossa fonte di tensione, bisogno e frustrazione.

Ciò che un Buddha sa è che questo singolare ‘io’ non potrà mai essere soddisfatto: anche un’impressione piacevole tende alla lunga a diventare noiosa. Difatti l’esperienza del piacere nel suo complesso si basa su l’una o l’altra di due modalità percettive transitorie: quella secondo cui ‘io’ vengo attratto e mi unisco a ciò che è piacevole, o quella secondo cui ‘io’ sono separato da ciò che è spiacevole. Tuttavia, quando la coscienza si unisce a un oggetto piacevole è privata dello spazio che le consente di goderne: da cui il bisogno di avere più piacere. Gran parte del nostro cosiddetto piacer si intreccia all’anticipazione del piacere futuro o al ricordo del piacere passato. D’altro canto, le cose spiacevoli continuano a succederci, malgrado i nostri sforzi per proteggerci; e lo sforzo di conservare sicurezza e benessere diventa di per sé un dispiacere. La felicità duratura non sembra derivare dal conseguire il piacere ed evitare il dispiacere; e dunque, è mai possibile trovare la felicità in qualcosa che il senso dell’‘io’, con i suoi bisogni e giudizi,esperisce?

Si potrebbe obbiettare che un simile ragionamento porta al pessimismo. Dato che noi raramente o mai facciamo esperienza di qualcosa liberi dal senso dell’‘io’, una drastica liquidazione della ‘mia’ dimensione esperienziale non può che suonare deprimente. Ma il Buddha insegna a trovare la felicità in questa vita, con un corpo, sentimenti, pensieri – liberi però dal senso dell’io. Fondamentalmente ciò si realizza attraverso uno stile di vita e un tirocinio volto a equilibrare e rafforzare la mente. L’esperienza del Buddha fu che non c’è bisogno di distruggere l’‘io’: così come un miraggio svanisce quando vengono meno le condizioni che lo producono, allo stesso modo il senso dell’io – che ha la stessa concretezza di un miraggio – si dissipa quando le condizioni che lo sostengono non vengono più generate. È una sorta di profondo rilassamento, di riposo – il Buddha lo definiva ‘fermarsi’ – che dona alla mente la quiete di uno specchio d’acqua e al tempo stesso una straordinaria sensibilità.

Ciò richiede una profonda trasformazione delle nostre abitudini, e forse molti anni di pratica. Cosa ci dice che tutto questo sia vero o possibile? Provate per qualche giorno: la pratica offre un saggio delle qualità della meta. Anche se non abbiamo raggiunto quella profonda liberazione di cui parla il Buddha, se ci scopriamo a praticare con gioia possiamo confidare che il Sentiero corrisponda alle nostre aspirazioni.

La felicità della pratica, e della meta, si può riassumere in tre aspetti: la felicità delle buone azioni, la felicità della chiarezza e della quiete, la felicità della comprensione. Se agiamo con una mente pura, con onestà, non-violenza e amore, vivremo liberi dal rimorso. Avremo buoni amici e nutriremo fiducia e rispetto per noi stessi. Indipendentemente dalla buona o dalla cattiva sorte, avremo una fonte di felicità slegata dagli alti e bassi del mondo. In secondo luogo, se attraverso la meditazione impariamo a educare la mente alla concentrazione, alla quiete, a essere pienamente ricettiva sia a quanto avviene che alla coscienza entro cui avviene, il risultato sarà una felicità della medesima natura. Invece di essere trascinata di qua e di là, vuoi dall, vuoi dalla noia, vuoi dalla depressione, la mente gode di un proprio autonomo equilibrio. Ha una forza e una calma naturali che ci accompagnano nei cambiamenti della vita.

Ma la felicità più grande viene dalla comprensione. Con una mente più stabile, possiamo esaminare le cause interne del nostro bisogno e della nostra ansia. Una mente che è stata educata in termini di attenzione e di calma riconosce che le cause latenti di insoddisfazione hanno origine tutte da un ‘cercare di’. Tentare di rimediare al passato, cercare di anticipare il futuro, cercare di ottenere, cercare di eliminare, cercare di sapere quello che non sappiamo, e via dicendo. Questo “cercare” suscita il senso dell’io, e al tempo stesso ne condiziona l’espressione nel futuro. Con l’equilibrio e la fiducia che le altre forme di felicità ci consentono, diviene possibile “lasciar andare”, rilassarci e accostarci alla vita così com’è nel momento presente. Allora il senso di oppressione, il bisogno e il dubbio non hanno più ragione di essere.

A volte c’è un modo tutto buddhista di attaccarsi alla sofferenza, magari pensando che “tutto è sofferenza” o che la pratica sta andando bene se uno si scopre pieno di conflitti emotivi. Certo, non ci si può aspettare che l’introspezione riveli sempre un quadro di armonia, però a volte possiamo perfino dimenticarci di notare il nostro benessere, o considerarlo irrilevante: quel che conta è la sofferenza. Ma l’intuizione del Buddha fu che l’infelicità non è “quel che conta”, è un’aggiunta. Nella sua natura originaria, la mente è luminosa e non turbata. Noi lo dimentichiamo, e ci perdiamo nei sogni. Pieno di compassione, il Buddha ci invita a svegliarci, e ci offre i mezzi per andare a vedere di persona.

tratto da Lista Sadhana – Guido Da Todi

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Il primo elemento dell’Ottuplice Sentiero è la Retta Comprensione, che sorge dall’intuizione profonda delle prime tre Nobili Verità. Questa intuizione vi dà una perfetta comprensione del Dhamma, cioè la comprensione che ‘tutto ciò che è soggetto alla nascita è anche soggetto alla morte’. E’ semplicissimo! Non vi sarà difficile capire, razionalmente almeno, che ‘tutto ciò che è soggetto a nascere è anche soggetto a morire’, ma per molti di noi ci vuole parecchio tempo per capire ciò che queste parole vogliono veramente dire, in modo profondo, non solo attraverso una comprensione intellettuale.

L’intuizione è una conoscenza globale che non viene solo dalle idee, non ha a che fare con ‘io penso di sapere’ o ‘mi sembra una cosa ragionevole e sono d’accordo’, ‘mi piace questo modo di pensare’. Questo tipo di comprensione viene dall’intelletto, mentre la conoscenza intuitiva è molto più profonda. E’ una vera conoscenza, in cui non vi è posto per il dubbio.

Questa profonda comprensione nasce dalle precedenti nove intuizioni, per cui vi è una sequenza che porta alla Retta Comprensione delle cose, così come sono, e cioè: ‘Tutto ciò che è soggetto a nascere è anche soggetto a morire ed è non-sé’. Con la Retta Comprensione avete smesso di illudervi che esista un sé connesso alla condizione mortale. C’è ancora il corpo, ci sono ancora i sentimenti e i pensieri, ma essi sono semplicemente ciò che sono – non credete più di essere il vostro corpo, i vostri sentimenti o i vostri pensieri. L’importante è tenere ben presente che ‘le cose sono ciò che sono’. Non stiamo dicendo che le cose non sono niente o che non sono ciò che sono. Sono esattamente ciò che sono e niente di più. Ma quando siamo nell’ignoranza, quando non abbiamo ancora compreso queste verità, tendiamo a credere che le cose siano più di ciò che sono. Crediamo a tutto e ci creiamo un sacco di problemi sugli oggetti della nostra esperienza.

Gran parte dell’angoscia e della disperazione dell’umanità, nasce dalle complicazioni che ci creiamo e queste, a loro volta, nascono dall’ignoranza del momento presente. E’ triste vedere come la miseria e la disperazione dell’umanità siano basate su un’illusione; infatti anche la disperazione è priva di consistenza e di significato. Quando ve ne rendete conto, cominciate a provare una grande compassione per tutti gli esseri viventi. Come si può odiare o portare rancore o condannare qualcuno che è preso in una tale trappola d’ignoranza? Le persone sono portate a fare le cose che fanno dall’errata valutazione che danno alle cose stesse.

Man mano che procediamo con la meditazione, sperimentiamo una certa tranquillità e la mente si calma. Quando guardiamo qualcosa, per esempio un fiore, con mente tranquilla, lo vediamo esattamente come è. Quando non c’è attaccamento – niente da ottenere o niente di cui liberarsi – e se ciò che vediamo, udiamo o sperimentiamo con i sensi è bello, vuol dire che è veramente bello. Non stiamo criticando, confrontando, cercando di possedere; proviamo diletto e gioia nella bellezza intorno a noi, perché non abbiamo bisogno di manovrarla o impossessarcene. E’ esattamente e solo ciò che è.

La bellezza ci riporta con la mente alla purezza, alla verità, alla beatitudine ultima. Non dobbiamo vederla come una fascinazione che ci può ingannare. ‘Questi fiori sono qui solo per attirarmi con la loro bellezza e poi ingannarmi’; questo è un atteggiamento da meditatore arcigno! Quando guardiamo una persona del sesso opposto con cuore puro, ne apprezziamo la bellezza, senza il desiderio di venirne in contatto o di possederla. Possiamo godere della bellezza della gente, sia uomini che donne, quando non vi è un interesse egoistico o un desiderio. C’è solo onestà: le cose sono come sono.

E’ questo ciò che intendiamo per liberazione, o vimutti in pali. Siamo liberi dalle distorsioni che corrompono la bellezza intorno a noi, così come i nostri stessi corpi. Eppure può capitare che la mente sia così corrotta e negativa, così ossessionata, che non riesce più a veder le cose così come sono. Se non abbiamo la Retta Comprensione, vediamo tutto attraverso filtri e veli sempre più fitti.

La Retta Comprensione va sviluppata attraverso la riflessione, usando l’insegnamento del Buddha. Il Dhammacakkappavattana Sutta è già di per sé un interessante insegnamento da contemplare e da usare come base per la riflessione. Possiamo considerare anche altri sutta tratti dal Tipitaka, come quelli che espongono la dottrina dell’origine condizionata (paticcasamuppada). E’ un argomento molto interessante su cui riflettere! Se riuscite a contemplare questi insegnamenti, vedrete molto chiaramente la differenza tra il vero modo di essere delle cose nel Dhamma e il punto dove noi vi inseriamo la nostra illusione. Ecco perché dobbiamo stabilizzarci nella consapevolezza cosciente delle cose così come sono. Se c’è la conoscenza delle Quattro Nobili Verità c’è il Dhamma.

Con la Retta Comprensione tutto è visto come Dhamma; per esempio, siamo seduti qui… Questo è Dhamma. Non pensiamo a questo corpo e mente come ad un individuo con tutto il suo bagaglio di opinioni e idee, con i suoi pensieri e reazioni condizionate, basate sull’ignoranza. Riflettiamo invece su questo momento: ‘E’ come è. E’ Dhamma’. Portiamo la mente a comprendere che questo corpo fisico è semplicemente Dhamma. Non è un sé, non è personale.

E cerchiamo di vedere come Dhamma anche la sensibilità che ci viene dal corpo, invece di prenderla come una cosa personale: ‘Sono sensibile’ o ‘non sono sensibile’. ‘Non sei delicato nei miei riguardi’. ‘Chi è più sensibile?’… ‘Perché proviamo dolore? Perché Dio ha creato il dolore? Perché non ha creato soltanto il piacere? Perché c’è tanta miseria e sofferenza nel mondo? Non è giusto! La gente muore e ci dobbiamo separare da coloro che amiamo; è uno strazio terribile’.

Non vi è Dhamma in questo atteggiamento. E’ solo un punto di vista: ‘Povero me. Non mi piace. Non voglio che vada in questo modo. Voglio felicità, sicurezza, piacere e tutto il meglio di tutto. Non è giusto che io non ce l’abbia. Non è giusto che i miei genitori non siano stati degli arahant quando mi misero al mondo. Non è giusto che non eleggano mai un arahant come Primo Ministro! Se ci fosse veramente giustizia eleggerebbero un arahant come Primo Ministro!’

Enfatizzando questo senso di ‘non è giusto, non è corretto’ fino all’esagerazione, cerco semplicemente di farvi capire come noi ci aspettiamo che Dio crei tutto in funzione nostra e non pensi ad altro che a renderci felici e sicuri. E’ ciò che spesso la gente pensa, anche se non lo ammette apertamente. Ma quando riflettiamo, vediamo che ‘è come è. Il dolore è così e anche il piacere è così. La consapevolezza è così’.

Quando riflettiamo, contempliamo la nostra stessa condizione umana così com’è. Non la assumiamo più a livello personale né rimproveriamo gli altri perché le cose non vanno come noi vorremmo o ci piacerebbe che fossero. Sono come sono e noi siamo come siamo! Vi potreste chiedere perché non siamo allora tutti uguali, con la stessa rabbia, con la stessa avidità, con la stessa ignoranza, senza variazioni o differenze. Sebbene si possa riportare l’esperienza umana a poche situazioni basilari , ognuno di noi ha il proprio kamma con cui rapportarsi – le proprie ossessioni e tendenze, che sono sempre diverse in quantità e qualità da quelle degli altri.

Perché non possiamo essere tutti uguali, avere tutto come gli altri ed assomigliarci tutti? In un mondo siffatto, niente sarebbe scorretto, non ci sarebbero differenze, tutto sarebbe assolutamente perfetto e non ci sarebbero disparità di sorta. Ma quando riconosciamo il Dhamma, vediamo che, nel regno condizionato in cui siamo, neanche due cose possono essere identiche. Anzi, sono molto differenti, infinitamente variabili e cangianti, e più cerchiamo di renderle conformi alle nostre idee, più ne rimaniamo frustrati. Anche se cerchiamo di creare degli esseri e una società che si adattino all’idea che noi abbiamo di come dovrebbero andare le cose, finiremmo sempre per essere frustrati. Ma se riflettiamo, capiamo che ‘ogni cosa è così com’è’, che questo è il modo in cui le cose devono essere – e che possono essere solo così.

Questa non è una riflessione fatalista o negativa; non è l’attitudine di chi dice ‘questo è così com’è e non c’è niente da fare’. Al contrario, è un atteggiamento positivo, che accetta il fluire della vita per ciò che è. Possiamo accettare quello che capita, anche se non è ciò che avremmo desiderato, e trarre insegnamento dalla situazione.

Siamo esseri coscienti, intelligenti, con capacità di ricordare e possediamo un linguaggio; nei millenni passati abbiamo sviluppato il ragionamento, la logica e l’intelligenza discriminante. Quello che dobbiamo ora fare è pensare a come usare queste capacità per realizzare il Dhamma, piuttosto che prenderle come acquisizioni personali o addirittura farne dei problemi personali. C’è gente che, avendo sviluppato un’intelligenza discriminativa, finisce per volgerla contro di sé, diventando eccessivamente critici verso se stessi fino al punto di odiarsi. E questo perché le nostre facoltà di giudizio tendono a focalizzarsi sul lato negativo di ogni cosa. Tendiamo ad usare il giudizio discriminativo per vedere quanto questo sia diverso da quello. E quando lo applicate a voi stessi, come va a finire? Ne risulta una lunga lista di difetti e di sbagli che vi rendono completamente irrecuperabili!

Invece, quando sviluppiamo la Retta Comprensione, usiamo l’intelligenza per riflettere sulle cose e contemplarle. E usiamo anche la presenza mentale, sempre aperti al modo in cui ogni cosa è così com’è. Quando riflettiamo così, usiamo sia la saggezza che la consapevolezza. Cerchiamo quindi di adoperare la nostra capacità di giudizio con saggezza (vijja) invece che con ignoranza (avijja). Questo insegnamento sulle Quattro Nobili Verità è un aiuto affinché usiate la vostra intelligenza – l’abilità a contemplare, riflettere e pensare – in modo saggio, per non diventare auto-distruttivi, avidi o pieni di odio.

Estratto del fascicolo “Le quattro nobili verità” (del Venerabile Ajahn Sumedho)

Versione completa alla pagina http://santacittarama.altervista.org/4nv.htm

© Associazione Santacittarama, 1999. Tutti i diritti sono riservarti.

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Guardare in profondità e praticare la consapevolezza dell’amore ci aiuta a essere lucidi, a essere amorevoli, e quella lucidità e gentilezza amorevole ci servono da protezione, preservandoci da pericoli di ogni genere. Di solito siamo convinti che il pericolo venga fuori da noi, mentre gran parte del pericolo che ci troviamo ad affrontare viene dal nostro interno.

Spesso, se non abbiamo una visione chiara della situazione, la paura e gli equivoci in cui cadiamo ci possono trascinare in situazioni pericolose. Le afflizioni fondamentali (dette anche “I tre veleni”) sono illusione, rabbia e brama; possono essere guarite e trasformate dalla pratica della consapevolezza dell’amore. La consapevolezza dell’amore può aiutarci a fermare la sofferenza fin da subito e ci tiene lontani dalle fiamme dei veleni.

Sappiamo che la compassione deve essere pervasa di comprensione e di saggezza, prajna, perché se non si comprende, non è possibile alcuna comprensione profonda. Ecco perché la pratica della compassione inizia con la pratica dell’osservazione profonda, vipasshyana. Quando pratichiamo la consapevolezza, acquisiamo una comprensione più profonda della situazione; a partire dalla comprensione, la compassione fluisce spontanea. Prajna poi porta con se Mastri che è amore, gentilezza e compassione.

Se sei in conflitto con un’altra persona, la prima cosa che dovresti fare è cercare di capirla a fondo. Guardare in profondità ti farà vedere la sua sofferenza e allora non avrai più voglia di farle del male, di punirla o di farla soffrire, ma accetterai così com’è e cercherai di aiutarla. E’ così che la comprensione contribuisce a rendere possibile l’amore. A sua volta l’amore aiuta la comprensione ad approfondirsi: quando provi simpatia o affetto per qualcuno, sei in una posizione per capirlo o capirla. Se invece non hai alcuna empatia per quella persona, se non l’accetti, non avrai alcuna possibilità di capirla.

L’affetto e l’amore ci aiutano lungo il sentiero di prajna aumentano la nostra energia di comprensione. La comprensione e l’affetto sono interdipendenti fra loro: l’amore fatto di comprensione e la comprensione è fatta d’amore. La consapevolezza dell’amore ci può aiutare in moltissimi modi. Supponiamo che tu stia tornando a casa in auto, consapevole che a casa c’è tuo figlio ad attenderti: se pratichi la consapevolezza dell’amore, se pensi e tuo figlio che ti aspetta che tu arrivi a casa sano e salvo, sarai più presente e guiderai con più attenzione, in modo più sicuro.

Metti che ti venga in mente di bere qualcosa praticando la consapevolezza dell’amore pensi a tuo figlio e sai che fra pochi minuti dovrai metterti al volante. Anche se hai molta voglia di bere perché ti fa sentire bene,praticare la consapevolezza dell’amore ti aiuterà a scegliere di non farlo, in quel momento. E’ una buona pratica mettere una foto di tuo figlio o di qualcuno che ami sul cruscotto dell’auto che ti ricordi di praticare la consapevolezza dell’amore mentre sei al volante così guiderai con attenzione.

Puoi tenere con te una foto della persona che ami, nella cartella del lavoro o in un posto dove la puoi vedere spesso, un immagine che può anche raffigurare un buddha o un bodisattva, tua figlia, tuo figlio, il tuo coniuge o partner, perfino un animale domestico a cui sei affezionato.

Qualunque essere a cui vuoi bene può ispirarti ad essere più consapevole, a prenderti cura di te stesso, di te stessa. E prendendoti cura di te, ti prendi cura delle persone che ami. Questa è una pratica di consapevolezza dell’amore. Non occorre che tu sia una persona molto religiosa o che faccia una quantità di pratiche devozionali: basta che richiami nella mente le persone a cui vuoi bene.

Così richiamare alla mente la forma, la vista o il suono di una manifestazione di compassione può aiutarti a soffrire meno. Ogni volta che pensi a quella persona, ogni volta che prendi consapevolezza di quell’altra, ogni volta che con l’occhio della mente vedi quel luogo bellissimo, immediatamente nel tuo cuore nasce l’elemento della compassione e della comprensione.  La consapevolezza dell’amore è la pratica in grado di far sgorgare in noi il nettare della compassione e della comprensione. E che ci aiuta ad evitare ogni genere di pericolo. Quando si corre dietro al denaro, alla notorietà e al potere, quando si permette chela fiamma dell’avidità bruci dentro di se, si stà malissimo.

Se non si sa come praticare, anche il fuoco del desiderio sessuale inappropriato può bruciare e far soffrire. In che modo la consapevolezza della’more e della compassione aiutano a soffrire di meno? Prima di avere una relazione sessuale con qualcuno, pratica la consapevolezza: osserva in profondità la situazione dell’altro e la tua. Quell’atto distruggerà la vostra vita darà origine a un bel po’ di sofferenza per le persone che ami, per la tua famiglia, la consapevolezza e la presenza mentale portano comprensione e saggezza. E la saggezza da come risultato l’amore e la condotta saggia, quella comprensione che ti aiuta ad astenerti dal compiere azioni che portano sofferenza.

E’ così che la consapevolezza della compassione può impedirti di bruciarti alla fiamma del desiderio. Consapevolezza, presenza mentale e compassione rendono molto facile la pratica degli Addestramenti. Una volta che hai l’amore nel cuore non devi fare niente di più: puoi praticare gli Addestramenti alla perfezione e con molta facilità, senza alcuna lotta. Ogni volta che l’energia della consapevolezza ti nasce nel cuore, puoi essere libero dall’avidità. E’ una specie di miracolo,  non è una grande fatica.

La pratica dell’amore, la consapevolezza dell’amore, è bellissima; è davvero una porta universale. La compassione ci fa mettere in relazione con le altre persone e altri esseri nel migliore dei modi possibile. E’ per questo che la pratica mira a far scorrere il nettare della compassione: senza compassione ci inaridiremmo completamente, saremmo del tutto soli e isolati. La gente che non ha compassione è quella che di più soffre al mondo è terribilmente sola. Chi si comporta con crudeltà, chi non ha in sé amore e compassione soffre molto; ha bisogno di aiuto da parte nostra, non di punizione o di vendette. Se sei veramente intelligente, sai che generare sofferenza negli altri ti farà ricadere addosso solo altri pericoli e altre sofferenze.

Ogni violenza che facciamo a una persona è un atto di violenza che facciamo contro noi stessi. Se non capisci questa verità elementare, soffrirai sempre di più.

Quando hai subito torture, è molto difficile non provare rabbia nei confronti di chi ti ha fatto del male; a loro volta anche i reduci americani soffrono molto del fatto i aver ucciso o menomato tanta gente. Come aiutare sia chi ha subito violenza sia chi l’ha perpetrata con la consapevolezza e la compassione, la consapevolezza dell’amore.

Possiamo guardare con gli occhi dell’amore la persona che ci fa soffrire: ” questa persona che ho davanti, anche se ha fatto cose crudeli contro di me e contro gli altri, anche se ha perso il contatto con la propria umanità, è a sua volta una vittima della violenza della crudeltà. Praticherò per essere capace con gli occhi dell’amore e di aiutarla a entrare in contatto con la propria umanità”. La prima cosa che si nota quando si pratica la consapevolezza della compassione è che si smette di soffrire.

Quando hai in te abbastanza energia di compassione e di amore, il cuore ti diventa grande e puoi abbracciare ogni cosa, ogni persona, anche quelli che chiami nemici.

Quando sai osservare in profondità il nemico e riesci a vedere che è vittima di idee, concetti e informazioni sbagliate, di condizione di vita, culturali e sociali, allora riesci a restare calmo e a mantenere aperto il cuore e hai più possibilità di riuscire ad aiutarlo a mettersi in contatto con la propria umanità, con la propria innata natura di Buddha, e a trasformare i semi dell’odio e della violenza che ha dentro di sé.

(Il cuore del cosmoThich Nhat Hanh)

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foto Josè Canelas – olhares.com

La seconda verità del Buddha ci dice che la causa della nostra insoddisfazione è il desiderio, che si può anche descrivere come attaccamento, avidità o impulso ad afferrare. L’oggetto specifico non sembra importante: la buona tavola, un caro amico, un ideale spirituale, se ci attacchiamo proveremo insoddisfazione e soffriremo.

Da dove viene, vi chiederete, il desiderio? In primo luogo, ovviamente, dagli impulsi del corpo: il desiderio di sopravvivenza, il desiderio di cibo, vestiti, riparo, calore, divertimento, piacere. il desiderio è innato negli esseri umani. È innato anche negli animali. Perfino le piante, a modo loro, hanno desideri, in quanto si volgono verso il sole alla ricerca di luce e calore. L’altra fonte del desiderio è il condizionamento sociale, tutto il bagaglio di opinioni e valori che ci derivano da genitori, famiglia, amici, scuola, pubblicità, letture, e che ci condiziona a credere che certe cose siano buone e altre cattive.

Il desiderio più forte è quello basato sulle sensazioni piacevoli. La vita ci inonda letteralmente di piacere attraverso ciascuno dei nostri sensi. Prendiamo ad esempio il senso della vista: gli occhi sono qualcosa di gradito e piacevole. E anche la coscienza visiva è gradita e piacevole, come lo sono gli oggetti visivi, il contatto visivo, le sensazioni che derivano da ciò che vediamo, il riconoscimento visivo, il desiderio di cose da vedere, i pensieri che le riguardano, considerazioni varie, fantasie, e via dicendo. Sensazioni parimenti gradite e piacevoli sorgono dall’orecchio, dal naso, dalla lingua, dal corpo e dalla mente. Ogni giorno della vostra vita vi è data occasione di entrare in rapporto tramite i sensi con oggetti graditi e piacevoli. Eppure non siete felici.

Con la sua seconda verità, il Buddha ci chiede di riconoscere che l’attaccamento al piacere sensoriale mette a repentaglio la nostra felicità. Il Buddha paragonò il piacere sensoriale a un osso spolpato gettato a un cane affamato. Per quanto il cane continui a rosicchiarlo, l’osso non gli toglie la fame. Aben guardare, potreste accorgervi di non essere tanto diversi da quel cane. Per quanto piacere sensoriale riusciate a procurarvi, ne vorreste di più. Quante patatine sono sufficienti? Quanti quadretti di cioccolato? Quanti videogiochi bisogna provare, quanti romanzi bisogna leggere per soddisfare la voglia di esperienze del genere? Quanti rapporti sessuali ci vorrebbero per appagare una volta per tutte il desiderio sessuale? Quanti litri di alcol, quanta droga? C’è gente che ha l’abitudine di fare baldoria fino alle ore piccole finché non crolla. Ma ne ha avuto abbastanza? Si può sempre trovare un nuovo piacere non ancora sperimentato.

Il Buddha paragonò il piacere sensoriale a una spada affilata il cui taglio è ricoperto di miele. Pur di gustare il miele la gente si espone a grandi sofferenze. Non è difficile trovare esempi di persone che si fanno del male o restano uccise, perfino, nella ricerca del piacere. Qualche anno fa i giornali pubblicarono la storia di un operaio che stava riparando un tetto quando, guardando attraverso il lucernario, intravvede la padrona di casa che si aggira per la stanza senza niente addosso. Per vedere meglio, l’uomo si appoggia di peso al lucernario, che cede, e precipita al piano di sotto riportando ferite gravi.
Alcol, droghe, spedizioni rischiose, sport pericolosi, per non parlare del sesso irresponsabile, procurano grandi sofferenze a molte persone. Come non bastasse, i piaceri sensoriali non durano. Il piacere è effimero, come un sogno. Scivola via rapidamente senza lasciare nulla in mano, se non un pugno di sensazioni e ricordi. Come un oggetto preso a prestito, non lo si può tenere a tempo indefinito. Più ci si attacca al piacere, più fa male quando il tempo, il cambiamento o le circostanze inevitabilmente se lo portano via. Il desiderio nasce dalle sensazioni di piacere e dolore. Quando sorge il piacere, c’è il desiderio di trattenerlo e prolungarlo. Quando sorge il dolore, c’è il desiderio di respingerlo o sottrarsi. Per via dell’attaccamento alle sensazioni piacevoli e l’avversione per le sensazioni spiacevoli, si cercano continuamente esperienze che prolungano il piacevole e respingono lo spiacevole.

Una volta trovato qualcosa che risponde allo scopo, subentrano la preferenza e il pregiudizio. Questo stato mentale porta la gente a fissarsi. Nel tentativo di proteggere o trattenere quello che ha, è pronta a mentire, maltrattare e insolentire il prossimo, perfino a prendere le armi per difendere ciò che considera di sua proprietà. il desiderio procura anche sofferenza mentale. Sull’onda di sensazioni nate dal contatto con ciò che è piacevole (forme, odori, suoni, sapori, sensazioni tattili e idee), la gente pensa e razionalizza, teorizza, filosofeggia, specula e concettualizza. Arriva a formarsi opinioni sbagliate e credenze infondate. Riesumando dal passato sensazioni piacevoli, produce una nuova serie di pensieri bramosi, credenze e teorie.

Certe persone sono talmente ossessionate dai propri desideri da augurarsi di rinascere per poter godere ancora degli stessi piaceri. Altre, per via delle esperienze spiacevoli che hanno subito, desiderano di non rinascere: “Basta così”, dicono, “Una vita è sufficiente. Ne ho avuto abbastanza”. Alla base, il desiderio nasce dall’ignoranza, dall’ignorare che non c’è nulla di duraturo e che il desiderio crea disagio.

Quando i sensi entrano in contatto con qualcosa di piacevole, la mente ignorante manifesta l’intenzione di afferrarlo e trattenerlo. E avviene anche l’opposto. Quando i sensi entrano in contatto con qualcosa di spiacevole, la mente ignorante manifesta l’intenzione di sottrarsi ed evitarlo. Sull’onda di intenzioni del genere, la gente commette azioni inappropriate con il corpo, la parola e la mente, incurante delle conseguenze. Sull’onda del desiderio, distorce la realtà ed evita di assumersi in prima persona la responsabilità delle proprie azioni.

tratto da “La felicità in otto passi –  Henepola Gunaratana” lo trovi su IBS

Il pensiero

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Il pensiero è sempre una risposta esterna, non può mai rispondere nel profondo.

Il pensiero è sempre l’esterno; il pensiero è sempre un effetto e pensare è la riconciliazione degli effetti.
Il pensiero è sempre superficiale, sebbene possa porsi a livelli differenti.
Il pensiero non può mai penetrare il profondo, l’implicito. Il pensiero non può andare al di là di se stesso ed ogni tentativo di fare ciò è la sua propria frustrazione.

“Che cosa intendete per pensiero?”

Il pensiero è la risposta ad ogni sfida;  il pensiero non è agire, né fare.  Il pensiero è un esito, il risultato di un risultato; è il risultato della memoria.  La memoria è esperienza.  Il processo del pensare è il processo consapevole,  processo tanto palese quanto nascosto.  L’intero processo del pensiero è coscienza;  il livello superficiale e quello dormiente, il livello superiore e quello profondo sono tutti parte della memoria, dell’esperienza.

Il pensiero non è indipendente. Non c’è pensiero indipendente;  “l’indipendenza di pensiero”  è una contraddizione in termini.  Il pensiero, essendo un risultato, si oppone o concorda, confronta o adatta, condanna o giustifica, e pertanto non può mai essere libero.

Un risultato non può mai essere libero; può deformare, manipolare, vagare, spingersi ad una certa distanza, ma non può libebrarsi dei propri ormeggi.  Il pensiero è ancorato alla memoria e non può mai essere libero di scoprire la verità di un problema.

tratto da “La mia strada è la tua strada” – Krishnamurti

Precetti per una vita felice

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Dugpa Rimpoce: Precetti per una vita felice

1. Il sole di mezzogiorno, nella sua gioia, nella sua apoteosi, brilla per tutti. Distribuisce come un re le sue ricchezze. Mantieniti allo zenit della vita e sarai inesauribile per te e per gli altri.

2. Non e’ necessario avere una padronanza assoluta di se’ o una profonda conoscenza del cuore per dare agli altri. Il dono si trova sulla superficie delle labbra, nella curva di un gesto. E’ leggero da portare. Cresce nell’innocenza e nella luce.

3. Condividere significa moltiplicare la possibilita’ di essere felici.

4. La gioia non e’ una passione umana, violenta, che sorge in un breve istante e subito scompare. E’ la saggezza insita nell’essere umano, la luce del cuore, il suo scintillio nella vita di tutti i giorni.

5. Non rifiutare l’umorismo: disseta e impedisce che il corpo e il cuore appassiscano. Senza senso dell’umorismo la felicita’ non da’ frutti. E’ come un albero senza uccelli che guarda verso l’inverno. 6. Quando viene condivisa la gioia non e’ mai attenuata. Si rinnova costantemente nell’altro.

7. La gioia e’ una fonte di eterna giovinezza.

8. Se conservi la felicita’ solo per te, finira’ per soffocarti. Comunicala agli altri, a quelli che ami, a quelli che ti stanno vicino: la vedrai fiorire.

9. La vita si afferma con una gioia costante che riconcilia gli avversari e riavvicina gli amanti, gli amici, in una stessa liberta’. La gioia e’ uno stato di perfetta accettazione, di rinuncia a se stessi e di abbandono agli altri. Ci si trova improvvisamente pieni, al di la’ dei nostri limiti.

10. Volgi lo sguardo alla semplicita’ del mondo: il cielo, la luce del sole , gli alberi, i fiori, il sorriso dei bambini. Vuota te stesso, torna di nuovo leggero e puro come un cielo in montagna.

11. Devi liberarti dell’arroganza e della mancanza d’amore se vuoi essere felice. Non isolarti, non rafforzare il tuo egoismo, ma va’ incontro agli altri, a mani aperte.

12. La condivisione non divide. Al contrario, riunisce quello che e’ stato separato e diviso. Si esce da se’ per andare verso gli altri con benevolenza, soddisfazione, modestia. Ritrova questa umilta’ gioiosa, animata dal des iderio di servire gli altri. E’ te stesso che riceverai in cambio, la tua realta’ profonda, in accordo con la realta’ armoniosa dell’universo.

13. L’amore che si ferma alla superficie delle cose e’ condannato a deperire e a morire. E’ come l’albero senza radici, destinato all’ascia del taglia legna.

14. Trova piacere nella vita, e la vita si prendera’ cura di te.

15. Come potremmo dare quello che noi stessi non possediamo ? Impara ad amarti se vuoi veder risplendere l’universo negli occhi degli altri.

16. Non essere legato ai risultati, ma non limitare mai i desideri se vuoi conoscere la gioia.

17. Il donare e il ricevere vengono dal cuore, e la’ tornano in piena liberta’. La gioia e’ la’ dove tu sei. Non e’ mai esterna a te. C’e’ un solo luogo che e’ fonte insieme di salute, abbondanza e meraviglia: questo luogo e’dentro di te.

18. Impara ad amare quelli che non ti somigliano, che ti sembrano diversi e lontani dalla tua cultura e dalla tua storia. Sono gli altri specchi di te stesso. Senza di loro avresti un’immagine incompleta della felicita’. Non saresti davvero riconciliato con te stesso.

19. Evita le discussioni e i conflitti che oscurano il cuore: questi preparano il terreno alla sofferenza e alla solitudine.

20. Alimenta in te il desiderio di essere felice, superando le esitazioni e gli ostacoli. Non rifiutare la lotta contro te stesso. Se vuoi essere felice devi imparare a pacificare i tuoi capricci e le tue passioni.

21. Proprio nell’istante in cui il sole tramonta, la vita si accende all’interno. Non giudicare cosa sia felice o infelice, luminoso o oscuro. Devi mettere a tacere queste divisioni assurde e ritrovare l’unita’ del cuore, la pienezza gioiosa. Accendi dentro di te un sole che non si spegne.

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I Cinque Addestramenti alla Consapevolezza sono stati sviluppati al tempo del Buddha come fondamento di pratica dell’intera comunità di pratica, che includeva i monaci e i laici. La base degli addestramenti è la presenza mentale. Essi proteggono la nostra libertà e rendono bella la vita. Usati come linee guida per la nostra vita quotidiana sono la base per la felicità di individui, coppie, famiglie e società.

Il Primo Addestramento alla Consapevolezza

Consapevole della sofferenza causata dalla distruzione della vita, mi impegno a coltivare la compassione e a imparare modi per proteggere la vita di persone, animali, piante e minerali. Sono determinato/a a non uccidere, a non lasciare che altri uccidano e a non giustificare alcun atto di uccisione nel mondo, nei miei pensieri e nel mio modo di vivere.

Il Secondo Addestramento alla Consapevolezza

Consapevole della sofferenza causata dallo sfruttamento, dall’ingiustizia sociale, dal furto e dall’oppressione, mi impegno a coltivare la gentilezza amorevole e a imparare modi efficaci di lavorare per il benessere di persone, animali, piante e minerali. Mi impegno a praticare la generosità condividendo tempo, energie e risorse materiali con chi è davvero in stato di bisogno. Sono determinato/a a non rubare e a non appropriarmi di nulla che possa appartenere ad altri. Rispetterò la proprietà altrui ma impedirò che si tragga profitto dalla sofferenza umana o dalla sofferenza delle altre specie sulla Terra.

Il Terzo Addestramento alla Consapevolezza

Consapevole della sofferenza causata da una condotta sessuale scorretta, mi impegno a coltivare il senso di responsabilità e a imparare modi per proteggere la sicurezza e l’integrità di individui, coppie, famiglie e società. Sono determinato/a a non avere relazioni sessuali prive di amore e di impegno a lungo termine. Per proteggere la felicità mia e degli altri, sono determinato/a a rispettare gli impegni miei e degli altri. Farò tutto ciò che è in mio potere per proteggere i bambini dagli abusi sessuali e per proteggere coppie e famiglie da rotture dovute a una condotta sessuale scorretta.

Il Quarto Addestramento alla Consapevolezza

Consapevole della sofferenza causata dal parlare senza attenzione e dall’incapacità di ascoltare gli altri, mi impegno a coltivare la parola amorevole e l’ascolto profondo allo scopo di portare gioia e felicità agli altri e di alleviarne le sofferenze. Sapendo che le parole possono essere fonte di felicità o di sofferenza, mi impegno a cercare modi di parlare che rispecchino la verità, usando espressioni che ispirino fiducia in se stessi, gioia e speranza. Non diffonderò notizie di cui non sono certo/a e non criticherò o condannerò cose di cui non sono sicuro/a. Mi asterrò dal pronunciare parole che possano causare divisione o discordia o che possano portare alla rottura in famiglia e nella comunità. Farò ogni sforzo per riconciliare e risolvere qualsiasi conflitto, per quanto piccolo.

Il Quinto Addestramento alla Consapevolezza

Consapevole della sofferenza causata dal consumo disattento, mi impegno a coltivare una buona salute fisica e mentale per me stesso/a, la mia famiglia e la società, praticando la consapevolezza nel mangiare, nel bere e nei consumi in genere. Mi impegno a ingerire soltanto sostanze che proteggano la pace, il benessere e la gioia nel mio corpo, nella mia coscienza e nel corpo e nella coscienza collettivi della mia famiglia e della società. Sono determinato/a a non consumare alcol o altri intossicanti e a non fruire di sostanze o stimoli che contengano tossine, compresi certi programmi televisivi, riviste, libri, film e conversazioni. Sono consapevole che danneggiare il mio corpo e la mia coscienza con questi veleni significa tradire i miei antenati, i miei genitori, la mia società e le generazioni future. Farò il possibile per trasformare la violenza, la paura, la rabbia e la confusione in me stesso/a e nella società praticando una dieta per me stesso/a e per la società. Comprendo che una dieta appropriata è fondamentale per la trasformazione di me stesso/a e della società.

fonte: www.esserepace.org

Letture Utili – dal sito www.macrolibrarsi.it

Thich Nhat Hanh
Quando Bevi il Tè Stai Bevendo NuvoleUn percorso di trasformazione e consapevolezza
attraverso i discorsi di uno dei massimi insegnanti del Buddhismo impegnato
Francesco Lamendola
Ebooks – Fogli SparsiAppunti per un percorso di consapevolezza
Andrea Scarsi
Metafisica della Vita QuotidianaCome espandere la propria consapevolezza attraverso
la meditazione, la contemplazione, la concentrazione e la sperimentazione
Flavio Daniele
Le Tre Vie del TaoUn percorso tra arte marziale, scienza della mente e consapevolezza del corpo
Charles Genoud
Gesti di ConsapevolezzaL’esperienza radicale di essere nel proprio corpo
Siddhi (Dafna Moscati) e Tao (Marco Mazzotti)Il Fiore del Nirvana – DVD – Vecchia Edizione

Che cos’è l’Illuminazione – Raccontata attraverso
le interviste a dieci maestri Illuminati viventi – Un film-documentario
che indica il percorso verso la Consapevolezza e la Libertà dalla sofferenza

Jean-Pierre e Rachel Cartier
Thich Nhat HanhLa felicità della Piena Consapevolezza

La morte, parte della vita

portici_morro_alba1Per stare vicini a una persona morente, senza sentirci arrabbiati, delusi o impotenti, è importante sviluppare un diverso atteggiamento nei confronti della morte, la cosa più naturale che può capitare, come la nascita.

Andando a fare un giro in un terreno incolto, noteremo la rigogliosità della natura, noteremo anche piante e alberi morti, secchi, caduti, altri in putrefazione. Ma se andiamo a vedere nel dettaglio cosa c’è vicino, dentro, sotto, noteremo dell’altra vita che sta per nascere: piccole erbe, formiche
che scavano il legno, germogli, altri insetti che freneticamente si muovono, l’aria che si muove, le piccole gocce di rugiada…

In ogni cosa che finisce c’è l’inizio di qualcos’altro. La morte non è in opposizione alla vita, non c’è dualità in questo, come invece noi pensiamo. La morte è complementare alla nascita, almeno in questo mondo. Dove c’è la nascita c’è anche la morte, e la vita include tutto questo. La vita in
qualche modo è eterna, perché è il ciclo della nascita e della morte, tutti i cicli compongono ed appartengono alla vita. Come la nostra anima, che appartiene alla vita, non solo dalla nascita e fino alla morte.

– Mentre scrivo questa frase, il correttore del programma di scrittura mi suggerisce di usare anziché “fino alla morte” la frase “fino all’ultimo”: sembra che sia veramente insito nel mondo occidentale la paura della morte, anche solo nominarla può dare fastidio -.

Vediamo la morte come momento disperato, perché ci identifichiamo con il corpo, con gli oggetti e gli affetti che sono esterni a noi. Pensiamo che con la morte perdiamo tutto questo, ed  effettivamente è vero, ma la casa, l’auto, i parenti, il lavoro non siamo noi. Nella vita diamo molto peso alle cose materiali, ci identifichiamo con queste, e trascuriamo il valore della vita interiore. Per questo motivo la morte ci spaventa, pensiamo che sia una perdita totale, l’annullamento completo di noi.

Ed in parte è così, con la morte se ne va l’ego, ma noi non siamo solo il nostro ego, siamo molto di più, siamo quello che è stato con noi fin dal momento della nascita e che ci accompagnerà anche nella morte. Questo non è l’ego, perché quando nasciamo non abbiamo nessuna esperienza personale, eppure ci siamo, esistiamo e da subito diamo il nostro contributo alla vita.

Non è necessario avere “fede” per comprendere queste cose, non è necessario seguire una religione, basta fare un viaggio dentro di noi, per scoprire e sperimentare il nostro collegamento con l’anima, quella parte di noi che può sopravvivere in ogni circostanza, quella dimensione trascendentale che è
insita in noi stessi.

Nel ricordare che dobbiamo morire, ricordiamo anche che abbiamo una dimensione invisibile, non collegata al corpo, ricordiamo la nostra pura essenza, che va oltre i nomi e le forme. Ricordiamo che abbiamo la possibilità di scegliere in questa vita: possiamo decidere se vivere in conformità alle regole, all’educazione, alla socializzazione che ha formato il nostro ego, oppure vivere in collegamento diretto con la nostra anima, con quella parte più profonda che è venuta sulla terra per evolversi, per completare fino alla fine il suo compito.

Le persone che hanno avuto esperienze di premorte, sanno come ci si sente senza corpo: non è la fine del mondo, è l’inizio di qualche cosa di diverso, che non possiamo nemmeno immaginare se rimaniamo sempre ancorati alla nostra realtà.

Se ci dimentichiamo chi siamo veramente, affronteremo la morte con paura, rabbia e dolore, e penseremo che è la fine di tutto. Questo ci porta ad essere a disagio per tutta la vita, perché la morte prima o poi si avvicina a noi, attraverso la scomparsa di qualche persona cara, di qualche
famigliare o anche attraverso gravi perdite della vita, quali divorzi, fallimenti, perdita di beni, etc.

Sapere affrontare la morte con serenità aiuta moltissimo ad affrontare la vita con serenità, ogni attimo diventa quello buono per non lasciare niente in sospeso, di inconcluso, per terminare ogni giorno con una profonda pace.

Dobbiamo morire, perciò il nostro ego è destinato ad andarsene, come tutte le forme cui lo abbiamo associato, come le relazioni sociali con cui ci siamo identificati. Imparare a morire, a lasciare andare le cose, sapere che possono avere una fine, ci aiuta anche nella vita pratica quotidiana. Ogni piccola sconfitta può essere vista come una piccola morte, come la conclusione di un ciclo, all’interno del ciclo della nostra vita. Potremo pensare che sia penoso, perché sentiamo la perdita, il disorientamento dentro di noi, avere dei dubbi “chi siamo veramente”, senza quella determinata cosa.

Abbiamo la possibilità invece di affrontare ogni piccola perdita con la cognizione che è necessario accedere dalla nostra parte più profonda per poter rinascere. Dentro alla nostra anima c’è la vera forza della vita, c’è la pura essenza che non ha bisogno di identificarsi con la materia e le
emozioni, c’è la possibilità di rinascere, di ricominciare in ogni momento dall’inizio, ed attingere al potere di guarigione, che è in collegamento con tutto l’universo, e necessario nella nostra vita.

Se siamo vicini ad una persona morente, non ci dobbiamo sentire arrabbiati, delusi, impotenti. La morte non è un evento anomalo ed eccezionale, come ci fa credere la nostra società, è la cosa più naturale che possa capitare, come la nascita. Perciò stiamo vicini alle persone che muoiono con
naturalezza, accettando che un ciclo sia completato, lasciando da parte il dolore, richiamando la calma e la serenità: le anime, la nostra e quella del morente, sanno che non è la fine di tutto.

(di Nello Ceccon) – tratto da Lista Sadhana yahoo.it

dalai-lama

articolo per Interdipendenza nov. – dic. 2007 – Daniela Muggia

Le 8 Strofe che addestrano la mente alla compassione, di Geshe Langri Thangpa, uno dei testi meditativi che hanno fatto del Dalai Lama quello che è, viste con gli occhi dell’accompagnamento della sofferenza.

In occasione della visita italiana del Dalai Lama mi è stato chiesto di scrivere qualcosa che esulasse, ma non troppo, dal tema della mia rubrica abituale, riguardante il modo di affrontare la morte, il lutto, la diagnosi infausta.

Con un personaggio come il Dalai Lama è quasi una passeggiata, perché ogni suo gesto, ogni sua parola ci rimanda alla compassione, il valore che maggiormente ispira l’accompagnamento della fine di una vita.

Così ho pensato che sarebbe stata una buona idea raccontarvi del testo che per 35 anni ha ispirato quotidianamente la sua compassione, facendola crescere a un livello tale da soverchiare il concetto stesso di nemico e amico.

Le Otto strofe per addestrare la mente – questo il titolo del breve testo di cui parlo – è opera del maestro tibetano Geshe Langri Thangpa, ed è contenuto in un libro dello stesso Dalai Lama, Le chiavi della meditazione quotidiana, del quale ho curato l’edizione italiana e la traduzione per i tipi di Amrita, in uscita a fine novembre. Come è uso del Dalai Lama, al testo in questione fa seguito un eccellente suo commentario.

Il maestro kadampa Geshe Langri Thangpa, precisa il Dalai Lama, considerava la pratica dello spirito dell’Illuminazione come la cosa più importante della sua vita, e queste sue otto strofe hanno lo scopo dichiarato di addestrare la nostra mente a sviluppare quel tipo di saggia, equanime, altruistica, incommensurabile compassione che contraddistingue i buddha e i bodhisattva, ossia coloro che hanno raggiunto o si stanno avvicinando alla completa Illuminazione, coltivandone, appunto, lo spirito.

Per i buddhisti tibetani non vi è dubbio che il Dalai Lama sia un esempio straordinario di tale realizzazione, e, a giudicare dal plauso che l’Occidente gli riserva (premio Nobel per la Pace, Medaglia d’oro del Congresso americano…) malgrado gli ostacoli politici, sembra che buona parte del mondo sia d’accordissimo.

Proprio come chi ama il pallone vorrebbe conoscere tutti i segreti dell’addestramento calcistico che fece di Pelé il Pelè che tutti ricordano, mi è venuto in mente che chiunque ami la pace e abbia una percezione della portata della compassione del Dalai Lama potrebbe volere, con altrettanta impazienza, conoscere i segreti del suo addestramento mentale, grazie al quale è diventato quello che è.

Se vi aspettate una ricetta complicata, siete in errore: per 35 anni ha meditato ogni giorno su otto, piccole strofe, alla portata di ciascuno di noi; e naturalmente, le ha messe in pratica.

Rassicuratevi, non intendo riassumere in questa sede il commentario del Dalai Lama per non rovinarvi il piacere di andarvelo a leggere, e ancor meno propinarvene una mia versione, perché ubi major minor cessat.

Mi limiterò a percorrere questi versi insieme a voi, leggendoli attraverso la mia specifica lente, quella della sofferenza da accompagnare quando essa diventa acuta, come spesso accade alla fine della vita; ma con la convinzione profonda che, se riusciremo a contemplarli ogni giorno, in contatto con la morte o con la sofferenza, ne usciremo trasformati, più vivi, più veri, e forse ci avvicineremo un poco di più al modello compassionevole che il Dalai Lama rappresenta per il mondo.
1. Con la determinazione di compiere il massimo bene di tutti gli esseri senzienti, persino migliori della gemma che esaudisce tutti i desideri, ch’io possa in ogni tempo averli a cuore.

Crescere non per noi stessi, ma crescere per aiutare gli altri. Non vi è maggior sprone alla crescita personale che lo scoprire che più maturiamo più si affina la qualità dell’aiuto che possiamo offrire al prossimo: è un aiuto che pian piano si spoglia delle nostre proiezioni personali, perché parte dall’ascolto dell’altro. Non lo sminuisce più, credendo di sapere cos’è bene per lui, ma ne onora la saggezza anche quando è nascosta, sapendo che quella saggezza è la vera natura di chi abbiamo davanti… All’inizio, e per molto tempo, si procede a tentoni, e si dicono parole sbagliate, o si fanno cose sbagliate. Ma la cosa straordinaria è che se nutriamo in noi questa motivazione pura, “ch’io possa crescere per aiutarti meglio”, la quale implica il riconoscere che abbiamo ancora tanta strada davanti, l’altro la percepisce, sente più quello che abbiamo nel cuore che quello che diciamo, ci sa autentici, presenti accanto a lui con tutta la nostra fragilità. Riconosce il nostro amore anche quando amiamo maldestramente. Avviene ogni volta, nell’accompagnare un morente. È come se l’avvicinarsi della morte gli fornisse una marcia in più: dopo aver passato la vita, come la maggior parte di noi, a sentirsi non amato, scopre che esiste un altro amore maldestro, quello dell’accompagnatore; ma scopre anche che, per quanto maldestro sia, è amore. È come se spostasse l’attenzione dall’avverbio al sostantivo, e in retrospettiva può accadere che si renda conto d’essere stato amato, e tanto, dalle persone importanti della sua vita, sebbene non proprio nel modo in cui avrebbe voluto. In questa scoperta c’è un immenso sollievo, ne converrete. Nell’accompagnamento c’è come una doppia dinamica: l’altro mi permette di esercitare ed affinare il mio amore, e per questo è prezioso per me quanto la mitica gemma che realizza tutti i desideri. E il mio amore maldestro diventa prezioso per lui, perché gli dischiude una visione diversa dei rapporti conflittuali della sua vita, lontana dalle recriminazioni, dal vittimismo, dall’odio. Insomma, gli dischiude una via di quiete.

2. Ogni volta che sto con gli altri,  ch’io mi veda come il più umile fra tutti, e  dal profondo del cuore, ch’io consideri gli altri supremi.

Nell’accompagnamento di un malato non c’è posto per la condiscendenza e per il compatimento. Anzi, la compassione è l’opposto del compatimento: è il desiderare che l’altro possa conseguire nel momento della morte quella pace profonda che non gli è riuscito di conseguire in vita, è fare di tutto perché ci riesca davvero, ma senza l’arroganza di crederci sapienti rispetto alle vie – aspre o lisce, consone o no al nostro modo di vedere le cose – che la sua saggezza sceglierà di percorrere, e decidendo di tenergli la mano comunque. Con questa motivazione interiore, come ho detto, ci si accorge ben presto che si riceve più di quanto si dà. Può accadere di essere sopraffatti dalla gratitudine, per questo. Frank Ostasesky dice che bussare alla porta di un morente è come bussare alla porta del Maestro, e ha ragione. Qualcuno s’immagina, qui, che io stia parlando della morte di un grande saggio o di una santa donna, ma non è così: sto parlando della morte della vecchina bizzosa, del manager depresso, della casalinga aggressiva e soprattutto della morte dei bambini. In ogni incontro vi è l’occasione per entrambi di trascendere la mera apparenza del ruolo, della personalità, e di trasformare il dolore. Per esempio, non puoi stare accanto a un morente nascondendoti dietro una maschera, perché la farà cadere. Sei costretto ad essere te stesso: la morte non ha tempo per i fronzoli, rende tutto più urgente, e, paradossalmente, più vivo.
3. In ogni mia azione ch’io esamini la mente, e appena sorgono le illusioni che mettono in pericolo me e gli altri,  ch’io le affronti con fermezza e le allontani.

Nell’accompagnare chi è alla fine di una vita è più facile cadere nella tentazione delle proiezioni, del pensiero condizionato dalle esperienze precedenti, o dall’idea che io so e l’altro non sa, che io sono forte l’altro debole, che io sono intero e lui spezzato… Noi percepiamo, d’altronde, la realtà in modo distorto, come da dietro le spesse lenti colorate e deformanti dei nostri condizionamenti: un grande maestro dzogchen ha detto «il samsara è la mente volta all’esterno smarrita nelle sue proiezioni; il nirvana è la mente volta all’interno, a contemplare la sua vera natura». Le “illusioni” di cui parla il buddhismo sono essenzialmente questo: distorsioni percettive, condizionamenti di vario genere, insomma l’ignoranza di come le cose stanno davvero. Ed è da questo percepire distorto che ha inizio, ogni sofferenza, la quale paradossalmente produrrà ulteriori distorsioni percettive, e ulteriore sofferenza in un ciclo infinito, il samsara, appunto, dal quale si esce soltanto recidendo tali illusioni alla radice. Da esse nasce un rapporto non autentico con il reale, e dalle proiezioni nasce, nell’accompagnamento di un morente come nella vita, una relazione viziata dall’incomprensione. La proiezione è il contrario dell’ascolto empatico e profondo, lucido e aperto, su cui si regge ogni vero accompagnamento spirituale.

4. Quando vedo esseri dal carattere spiacevole, oppressi da violenti misfatti e afflizioni, che essi siano cari al mio cuore come se avessi trovato un tesoro prezioso e raro.

Beh, i morenti – come i viventi – non sono per niente facili. Non sempre, almeno. Sono, almeno all’inizio di un accompagnamento, un groviglio di sofferenze, faccende in sospeso, rapporti irrisolti, paure, attaccamento, disperazione… Ma se, per un attimo, memori della nostra aggressività (che è solo dietro l’angolo), cogliamo la loro aggressività come dolore soltanto, come sofferenza che ha da scoppiare in qualche modo, come una serie di distorsioni percettive con cui anche loro, come noi, devono fare i conti, veniamo investiti da una compassione coraggiosa, che ci permette di restare, di continuare ad amare invece di girare i tacchi.

5. Quando gli altri, per invidia, mi trattano male  con la calunnia, l’inganno e così via, ch’io mi assuma la sconfitta e offra loro la vittoria.

L’invidia per chi è vivo, per chi domani stringerà ancora al petto il suo bambino, vedrà un altro tramonto sul mare, un’altra alba sulla collina… Quante volte ho incontrato quest’altra sofferenza, in chi è vicino alla morte! E, nell’accompagnamento del lutto, a volte l’ho sentita presente nei genitori che hanno perso i figli, quando scoprono che io sono madre, e una madre felice. È come se dicessero “tu non puoi capire”, come se si chiudessero in un’eburnea e turrita aristocrazia del dolore, quasi arrogante, che disconosce la vostra parte di sofferenza; creano essi stessi, spinti dal dolore soltanto, questa separazione dagli altri; allora vi sembra impossibile raggiungerli. È a questo punto che avete voglia di mollarli, di abbassare le braccia. O, peggio, vi si insinua dentro un serpentino pensiero ancor più separativo, del tipo “con tutto quello che sto facendo per te”. Dare all’altro la vittoria, qui, è non sentirsi offesi, è consentirgli di manifestare anche questa sua sofferenza senza per ciò abbandonarlo; è ricordarsi la motivazione per cui lo si accompagna, che da un lato prevede accoglienza totale e dall’altro il tentativo di farlo uscire dalla sua torre, non perché essa ci fa soffrire, ma perché l’altro resta bloccato nella sua sofferenza.

Se reagiamo, allontanandoci per esempio con aria sdegnata, ci sembrerà di aver vinto (“arrangiati, stai nella tua bagna”, si dice in Piemonte). Ma in realtà avremo perso, perché il condizionamento di cui l’altro è prigioniero avrà dettato anche il nostro comportamento, non solo il suo. Diversamente dall’agire, il reagire non è un atto di libertà, è il prodotto di un condizionamento, come una molla che, premuta dall’esterno, scatta.

6. Quando qualcuno che ho aiutato e a cui ho fatto del bene con grandi speranze,  mi fa del male molto  giustamente, ch’io possa considerarlo come il mio supremo maestro.

Più le leggo, e più mi pare che queste strofe siano fatte apposta per chi accompagna la sofferenza… Ma forse è solo perché ciascuno di noi, per il solo fatto d’essere al mondo, è continuamente chiamato ad accompagnarla… se non fa orecchie da mercante.

Mia nonna, per esempio, non fu facile da accompagnare per niente. Aveva una forma perniciosa di demenza senile, e non lanciava male parole, lanciava coltelli. Quelli veri, da cucina. Io ero una ragazzina, ma quello fu il mio primo addestramento in materia: non confondere la nonna con la sua malattia. La nonna, quando era in sé, mi voleva davvero bene. La sua malattia invece no. Fu, in questo, una suprema maestra: è grazie a lei che oggi, quando mi capita di incontrare persone aggressive (nella vita quotidiana, intendo) ne soffro molto meno di altri. Vedo infatti soprattutto la loro sofferenza, e il mio rapporto con loro resta aperto.

7. In breve, ch’io possa offrire direttamente e indirettamente ogni bene e felicità a tutte le mie madri, e in segreto assumermi le loro azioni dannose e la loro sofferenza.

“Tutte le mie madri”, nella terminologia del Dharma, vuol dire “tutti gli esseri senzienti”; si ritiene cioè che, nelle pregresse esistenze, tutti possano esser stati per noi madri o padri o fratelli o sorelle o figli, e che siccome anche una fiera è premurosa con i suoi cuccioli, tutti quanti devono essere stati altrettanto premurosi con noi. Si mette in evidenza la nostra dipendenza dagli altri non solo per sopravvivere (senza gli altri non esisteremmo), ma anche per crescere dentro (senza l’altro non c’è altruismo). È una strofa a vocazione eroica, perché allora questi innumerevoli altri contano più di me, che sono una soltanto; e mi ricorda un medico indiano che incontrai tanti anni fa. Fermarsi in un ashram, in India, prevede che si presti un servizio in

cambio dell’ospitalità, e a me era toccato in sorte di aiutare il medico, in quel piccolo dispensario col tetto di paglia. Mi disse di lavare le piaghe infette dei bambini. Io dissi “ok, dove sono i guanti?” e lui sorrise con quei sorrisi che sono come quando si accende una luce nel buio, e mimò il gesto di infilarsi dei guanti inesistenti. Mi disse “gloves of love”, “guanti d’amore”. Perché non c’era altro. Era il dispensario più sguarnito del mondo, e forse il più ricco…

8. Che tutto ciò non sia mai oscurato dalle macchie dei concetti delle otto preoccupazioni mondane.   Ch’io possa, nel percepire tutti i fenomeni come illusori, privo di attaccamento, essere libero dalle catene del samsara.

Se ci si dedica ad accompagnare la sofferenza sospinti da aspettative (come quella d’essere considerati virtuosi) o da paure (per esempio quella di venire mal giudicati dalla società), non cresceremo e non accompagneremo.

Allo stesso modo, se crederemo l’altro davvero separato da noi, non cresceremo e non accompagneremo. Aspettative e paure sono il cemento che tiene insieme la grande distorsione percettiva, quella che ci fa credere d’esser dotati di un sé inerente e solido, magari anche permanente, sicché quando poi l’impermanenza si mostrerà con la malattia e la morte, verremo soverchiati dal terrore. Per forza! Ci saremo identificati (o avremo identificato l’altro) con ciò che muore, con ciò che non siamo: il corpo, la mente, il ruolo… dimentichi del fatto che la nostra vera natura è la vasta apertura di tutti i possibili, luminosa, cognitiva, dinamica, onnipervadente… e che è nella morte, che abbiamo la massima probabilità di trovarla.

Daniela Muggia

[Intervista a Daniela Muggia su Radio Radicale – La pratica del buddismo in Occidente
clicca qui per ascoltare l’intervita ]

Roberto kengaku Pinciara- Maestro Zen

Si sente parlare sempre più frequentemente, a riguardo dei tanti problemi, di questo governo, di questa sanità, di questa giustizia, di questa pubblica istruzione…ecc.
Ecco alcune mie riflessioni.

Troppo facile prendersela con il sistema.
Ogni sistema sociale ha la sua origine nella mente dell’uomo, nelle sue aspirazioni e nelle sue idee, che si basano si, sul profitto personale, ma anche sul tentativo di vivere meglio questa vita, renderla più confortevole, più longeva e sicura sia a noi che agli altri.
Non tutti i sentimenti e desideri umani sono malvagi, mi sembra.
Il punto è che poi, appunto, poi, cioè quando il sogno diventa realtà, quando il progetto si trasforma in realizzazione, la teoria in pratica, si deve necessariamente fare i conti con l’umano.
La vera minaccia del pianeta non sono le atomiche o le basi nucleari o gli esperimenti scientifici sul DNA, ma sta negli uomini che ci lavorano, che utilizzano queste cose e come le utilizzano.
Le cose in sé non sono mai malvagie, lo è spesso l’uomo che le utilizza.
L’essere umano trasforma le cose. A Dio l’onore di averle create, all’uomo il dono di saperle trasformare.
Lo stesso vale per le leggi sociali.
Certo che assistiamo a vere e proprie ingiustizie nel campo sanitario, politico, giuridico ecc.; ma le leggi sono fatte per tutti, per una società composta da individui, non possono tener conto dei singoli casi. Anche se, la verità sta proprio nei singoli casi.
Per questa ragione c’è necessità di uomini e donne preparati, educati a fare questo o quel lavoro. Sia nel campo sanitario, politico e spirituale.
Non solo dei tecnici, degli specialisti addetti ai lavori che il più delle volte conoscono solo la loro realtà e perdono il contatto con una realtà assai più immediata, ma persone con un forte sentimento umanitario, sociale e individuale.
Persone che abbiano fatto un percorso formativo sia di carattere sociale che spirituale.
Individui che possano capire la natura del problema e utilizzare la cura appropriata.
Proprio come un buon medico sa usare la medicina giusta per la malattia specifica.
Un mio maestro diceva:
“Il vero problema di questo secolo sta nel fatto che si vogliono curare le malattie di questo secolo con le medicine del secolo scorso…..vale a dire cercare di risolvere i problemi di questa società in continua espansione con i rimedi che andavano bene il secolo scorso.”
Con mie parole dico che una coscienza obsoleta e resa vecchia dalle tante frustrazioni della vita, e dal tempo, non può vedere le sempre nuove problematiche dei giovani che a giusta ragione sentono il desiderio di cavalcare questa loro epoca.
Perché questa epoca è di questi giovani, e questi giovani sono i figli della loro epoca.
La sola colpa a mio parere che si può fare a questo sistema, è che vuole intervenire su tutti e tutto, privando l’uomo della sua saggezza e sapiente discriminazione.
Certamente i vecchi dovrebbero farsi da parte e prepararsi a morire, perché così è il naturale corso della vita, ma evidentemente non accade, anzi è proprio l’opposto. Assistiamo a vecchi sclerotici che insozzano la società con i loro viscidi desideri di potere e così facendo sporcano tutto quello che toccano, e il guaio è che sono loro ai posti di comando.
Ma i giovani dove stanno ?
Chi è riuscito ad assopire (e spero solo assopire) il senso di libertà, di ribellione di avventura che da sempre ha caratterizzato lo spirito dei giovani ?
Chi ha ucciso l’ardore proprio del coraggio e dell’abnegazione che da sempre ha fatto la storia dell’uomo ?
Se nel corpo nuove cellule non spingono via le vecchie, il corpo invecchia e giunge la morte (non solo quella fisica che è naturale, ma quella dello spirito, dell’energia vitale, che è saggezza).
Allora, non verso il sistema va indirizzata la nostra attenzione, ma verso gli uomini, verso la pigrizia e la negligenza che fa andare in malora cose e attrezzature costosissime alla società, cioè a noi tutti.
Ora mi ritrovo ad avere quasi sessant’anni e parlando di queste cose mi rammento quando ne avevo solo ventuno di anni e cercavo il mio posto di lavoro ‘sicuro’.
Finii alla Breda di Saronno come operaio specializzato. Un giorno, trenta minuti prima del suono della sirena che annunciava la fine della giornata di lavoro, cioè alle 17, vidi molti miei colleghi, ma proprio i più anziani di fabbrica, nascondersi dietro le varie attrezzature in attesa della fine del lavoro.
Vengono chiamati ancora oggi ” gli imboscati” ricordo molto bene cosa mi passò nella testa: ” Ed io devo vivere quarant’anni della mia vita in questo posto per finire ad imboscarmi in questo modo?” .
Mi licenziai subito e andai a lavorare sulle navi passeggere e da carico.
Per quanto si viaggi su questo pianeta, gli uomini sono sempre gli stessi, portano in se i loro propri punti di vista, i loro condizionamenti, le loro proprie frustrazioni, le loro gioie e i loro dolori.
Anche lì, ho visto persone indurite dai tanti anni di lavoro saccheggiare e rompere valvole e materiale costoso che, solo con un po’ di buona volontà si poteva riparare.
Le persone non cambiano mai! Da sempre disprezzano la proprietà altrui.
Sono passati da allora quarant’anni e non vedo nulla di nuovo. Certo mio figlio ha il computer e va in internet, e anch’io mi sono ormai arreso e ho scelto la tastiera alle lotte di classe, ma è triste costatare che anche se la tecnologia ti fa sembrare e sperare in una emancipazione della specie umana, a mio modo di vedere stiamo attraversando un periodaccio.
Un periodo dove non si fa altro che criticare gli altri, e in tanto i nostri matrimoni vanno a rotoli, i nostri figli vengono inghiottiti dal dio del denaro, dall’idolo di turno, dal nuovo pagliaccio televisivo.
La realtà non è più cosa hai nel piatto, o come sta il tuo vicino, o il sole che sorge e che poi tramonterà, ma nella telenovela…..dio mio, e anche mia madre che ha ottantadue anni la guarda rapita…
Mi rivolgo quindi all’uomo, non al sistema. Il sistema non può amare, non può aiutare la madre straziata dal dolore perché il figlio gli è morto in guerra, il sistema non può curare il malato di tumore, capite questo ?
Il sistema protegge se stesso e per far questo crea guerre, malattie, frustrazioni di ogni genere, bisogni di ogni genere.
E’ l’uomo che sapientemente sa usare i mezzi idonei che può fare.
Certo si può fare, ma si deve partire dallo sconfiggere il modello ipocrita, assenteista, irresponsabile che si è annidato come un parassita nella mente dell’uomo. Il pensiero parassita che ti dice “cosa posso fare io ???”.
Sono questi parassiti che prendono le sembianze a volte di ideali, a volte di convinzioni religiose, altre politiche che ti mangiano la vita e mostrandoti l’immagine della felicità, ti fanno vivere una vita da miserabile.
Quando l’uomo non guarda in faccia un altro uomo, quando la parola data non è più presa in considerazione perché la menzogna è più vera della verità, allora dove andremo a finire, a chi lascerò i miei figli. Sarà forse il Caos il regnante su questo pianeta ?
No, io non credo, ma occorre stare bene in guardia sui falsi obbiettivi, sulle false promesse.
M’indegno quando penso ai nostri nonni, e TUTTI  ne hanno avuti, che sono morti sulle montagne, sui mari, nelle pianure per darci un fazzoletto di terra su cui crescere i nostri figli, e i figli dei nostri figli, e noi, loro discendenti, sangue dello stesso sangue ci lasciamo distruggere non solo la terra, e l’aria che entra nei nostri polmoni e in quelli dei nostri cari, ma lasciamo che ci strappino quei valori che sono lealtà-onore-rispetto.
Costruire un uomo nuovo è sempre stata la sfida di tutti i tempi.
Ci ha provato il Cristo con l’amore e il sacrificio, lo hanno ammazzato.
Ci ha provato il Buddha con saggezza e compassione, lo hanno ignorato.
Ci hanno provato i potenti con la violenza e l’odio, li hanno ammazzati.
Tanti, di buona e cattiva volontà ci hanno provato, hanno tentato, qualcuno ci ha creduto.
Tutti sono passati.
Noi cosa facciamo in attesa di morire ?
Come impegniamo la nostra vita?
Un caro Maestro diceva:
” Gli uomini si ammazzano di lavoro per avere un salario.
Cercano un salario per andare a divertirsi per poi ritornare ad ammazzarsi di lavoro ..
Si fanno un mucchio di illusioni riguardo la loro vita, ma noi non siamo altro che un sacco di pelle puzzolente riempito di ossa.
Tuttavia quest’uomo è Dio, Buddha se solo lo volesse “
.
Finisco qui e non so se queste riflessioni siano valse a qualcosa, detesto il parlare solo per parlare.
Comunque sia, vi rinnovo i miei più cari auguri.

[fonte – http://www.komyoji.eu/kengaku_pinciara.htm – Monastero Zen]

Creare la propria felicità

<Creare la propria felicità>

(di Paramhansa Yogananda,
East-West, 1933 e 1932)

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Se vuoi essere amato, inizia con l’amare coloro che hanno bisogno del tuo amore. Se ti aspetti che gli altri siano onesti con te, comincia con  l’essere onesto tu stesso. Se non vuoi che gli altri siano malvagi, smetti di essere malvagio. Se vuoi che gli altri siano comprensivi con te, comincia con
l’essere comprensivo con chi ti circonda. Se vuoi essere rispettato, devi imparare ad essere rispettoso verso tutti, sia giovani che vecchi. Se vuoi una dimostrazione di pace dagli altri, devi essere pacifico. Se vuoi che gli altri siano religiosi, comincia con l’essere spirituale tu stesso. Ricorda, qualsiasi cosa vuoi che gli altri siano, devi prima esserla tu stesso, e vedrai che essi risponderanno nella stessa maniera.

È facile desiderare che gli altri si comportino perfettamente nei tuoi confronti ed è facile vedere le loro colpe; ma è molto difficile comportarsi correttamente e considerare i propri errori. Se puoi ricordarti di agire rettamente, gli altri cercheranno di seguire il tuo esempio. Se puoi riconoscere i tuoi errori senza sviluppare un complesso d’inferiorità e puoi tenerti occupato correggendoti, allora userai il tuo tempo in maniera più proficua che se lo trascorressi soltanto desiderando che gli altri fossero migliori. Il tuo buon esempio farà di più per cambiare gli altri dei tuoi desideri, della tua indignazione, o delle tue parole.

Più migliori te stesso, più eleverai gli altri intorno a te. La persona che migliora se stessa diviene sempre più felice; e più diventi felice, più felici saranno le persone intorno a te.

Le persone stagnanti sono infelici. Le persone estremamente ignoranti sanno a mala pena come ci si senta ad essere felici o infelici. Sono prive di sensibilità, come le pietre. È meglio sentirsi infelici della propria ignoranza piuttosto che morire felicemente con essa. Ovunque tu sia, rimani desto e attivo con il tuo pensiero, la tua percezione e la tua intuizione, sempre pronto, come un buon fotografo, a fotografare le condotte esemplari e ad ignorare i cattivi comportamenti. La tua massima felicità risiede  nell’essere sempre pronto a desiderare di imparare e di comportarti rettamente.

Se hai abbandonato la speranza di essere felice, rallegrati. Non scoraggiarti mai. La tua anima, essendo un riflesso dello Spirito sempre gioioso, è, in essenza, la felicità stessa. Se tieni chiusi gli occhi della tua concentrazione, non puoi vedere il sole della felicità che arde nel tuo petto. Ma non importa quanto tieni serrati gli occhi della tua attenzione: rimane il fatto che i raggi della felicità stanno cercando di penetrare le porte chiuse della tua mente. Apri il portale della calma e troverai
un’improvvisa esplosione dello splendente Sole di Gioia dal tuo stesso sé.

I gioiosi raggi dell’anima possono essere percepiti se interiorizzi la tua attenzione. Puoi farlo usando l’architetto della mente per godere del bellissimo panorama dei pensieri nell’invisibile, tangibile Regno dentro di te. Non cercare la felicità solo nei bei vestiti, in una casa linda, in deliziose cene e soffici cuscini e sedie. Questo imprigionerà la tua felicità dietro le sbarre delle apparenze e dell’esteriorità. Invece, con  l’aeroplano della visualizzazione, scivola silenzioso sopra le vaste distese della Fantasia, contemplando l’impero sconfinato dei pensieri.

Osserva quindi le catene montuose delle inviolate, nobili o spirituali aspirazioni, per migliorare te stesso e gli altri. Sorvola le profonde vallate della Compassione Universale. Vola oltre i geyser dell’entusiasmo e le cascate del Niagara della saggezza perpetua, tuffandoti dalle candide
vette della pace della tua anima.

Librati dalle sconfinate rive della percezione intuitiva fino al regno della Sua Onnipresenza. Lì, nel Suo Castello di Beatitudine, attingi alla Sua fonte di Sussurrante Saggezza e placa la sete dei tuoi desideri. Gusta con Lui i frutti del Divino Amore nel Banchetto dell’eternità. Se hai deciso di
trovare la gioia dentro di te, prima o poi la troverai. Cercala adesso, giornalmente, con la regolare, profonda e sempre più profonda meditazione, e troverai sicuramente la felicità senza fine. Sforzati costantemente di immergerti nel profondo del tuo essere e lì troverai la tua più grande felicità.

Amore vero e felicità

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(Brahma Kumaris World Spiritual University)
Tratto da Lista  Sadhana – Yahoo.it

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Tristezza, rabbia e paura: sono tutte emozioni che derivano da qualche forma di attaccamento a qualcosa o a qualcuno. Tuttavia molti di noi imparano a credere che anche l’amore e la felicità siano emozioni.

Tale convinzione oscura sia il nostro bisogno che l’abilità di essere più consapevoli delle nostre emozioni e di come le creiamo. Essa deriva dalla perdita di significato delle parole ‘amore’ e ‘felicità’. Usiamo queste due parole in maniera troppo generica al punto che esse sono diventate due tra le parole più fraintese ed eccessivamente usate nel nostro linguaggio quotidiano.

Amore è per lo più confuso con desiderio (ti amo in realtà significa: ti voglio), con l’attaccamento (amo la mia squadra di calcio), con la dipendenza (amo la mia cocaina) e con l’identificazione (amo il mio paese). Quando parliamo di amore in questo senso non parliamo di amore quanto del
suo opposto.

Facciamo lo stesso con la parola felicità. La usiamo e ne abusiamo in molti modi. La confondiamo con un possesso (è appena arrivato il mio tappeto nuovo, sono così felice!), con il consumo (ho appena mangiato il mio cibo preferito, sono così felice!), con qualche esperienza stimolante (ho appena visto il film più recente, sono così felice!) e con il sollievo (non ho più mal di denti, sono così felice!).

In tutti gli esempi citati stiamo in realtà dicendo che crediamo che l’amore e la felicità nella vita vengano dal di fuori di noi e che siano dipendenti dagli altri, dalle circostanze o da qualche stimolo fisico. Tuttavia, tutti sappiamo profondamente che vero amore e felicità sono incondizionati, non
dipendenti da qualcosa o da qualcuno, e che si muovono dall’interno verso l’esterno e non dall’esterno verso l’interno.

Amore vero e felicità possono essere considerati stati d’essere fondamentali a cui possiamo accedere a piacimento una volta che abbiamo imparato a rivolgere le nostra attenzione alla nostra interiorità e a vivere dal dentro al fuori e non dal fuori al dentro. Essi possono anche essere considerati il
nostro puro potenziale in tutte le situazioni. Quando agiamo con amore vero facciamo qualcosa per gli altri che porta loro beneficio a livello spirituale e quando ciò accade sperimentiamo le vera felicità, che è più simile a una profonda sensazione di appagamento interiore.

Questo modo di vivere affonda le sue radici nella pace. Se non siamo in pace con noi stessi non possiamo dare amore. La pace è, l’amore fa e la felicità (appagamento) ripaga.

Solo allora la nostra autostima e il senso del nostro valore diventano solide rocce, perché ci rendiamo conto che questi nuclei di qualità interiori non possono esserci portati via e che essi sono la base del nostro valore in quanto persone e dei nostri valori di vita. Quando impariamo ad
accedere e a generare questi stati fondamentali del nostro essere, essi ci danno la forza di smuovere il nostro carattere in positivo, da quello basato sulla competizione, sul possesso e sulla sopravvivenza a uno basato sulla co-operazione, la condivisione e il servizio. In breve, dal prendere al dare.

Quando scopriamo interiormente ciò che eravamo convinti si potesse trovare solo esternamente, scopriamo libertà e serenità profonde. Il metodo per sostenere questa consapevolezza e connessione è la pratica regolare della meditazione. Il campo di azione è la relazione con gli altri. Quando la
felicità di una madre non dipende dall’obbedienza del figlio, allora è capace di ‘essere amore’ per quel figlio, anche quando imporrà delle regole. Quando la felicità di un manager non dipende dall’essere in tempo per le scadenze, né dalla performance dei membri del suo gruppo, allora saprà
essere più attento e più incoraggiante verso i suoi collaboratori, il che è alla base di una leadership efficace. Quando gli innamorati si incontrano, smettono di dirsi “ti amo”, e invece si dicono “io sono amore per te”.

Domanda: Da dove pensi derivi gran parte della felicità nella tua vita?

Riflessione: La felicità è una decisione e non una dipendenza

Azione: Che cosa puoi fare domani nella tua relazione con una persona in particolare per passare dal desiderare e sopravvivere al sostenere e servire?

Soltanto Amore

226Sri Daya Mata
SOLTANTO AMORE

Casa Editrice Astrolabio – Roma

Prefazione

di Chakravarthi V. Narasimhan
Sottosegretario Generale agli Affari e al Coordinamento
Inter-dipartimentali delle Nazioni Unite

Nel 1967 ho letto per la prima volta l’Autobiografia di uno yogi e sono venuto così a conoscenza di Paramahansa Yogananda e del movimento della Self-Realization Fellowship. Da allora ho seguito  da vicino l’opera di questa organizzazione. Ho avuto il privilegio di incontrare diverse volte Sri Daya Mataji e alcuni dei suoi più devoti collaboratori. Ho inoltre avuto l’opportunità di visitare il centro della Self-Realization Fellowship di Encinitas, in California, dove Paramahansa Yogananda visse per molti anni.

Come ho già detto, è stato per me un privilegio incontrare Sri Daya Mataji, perché in sua presenza non si può fare a meno di sentirsi avvolti nell’aura spirituale di pace e di serenità che irradia. Fin da giovanissima, Sri Daya Mata si sentì spinta a seguire gli insegnamenti di Paramahansa Yogananda; evidentemente, la scintilla divina dell’illuminazione sprigionata dal suo Guru l’aveva già toccata in giovane età. E’ stata una delle prime seguaci di Sri Yoganandaji e ne è ora la degna erede spirituale nel diffondere il suo messaggio non soltanto in questo Paese e nel mio, ma in tutto il mondo.

Questo messaggio di pace e di serenità interiore, che permette la formazione di una personalità ben equilibrata e completa, è della massima importanza ai nostri giorni. Viviamo in un’epoca  tumultuoso e il ritmo dei cambiamenti è davvero spaventoso. Persino nelle nazioni più progredite molti si sentono insicuri a livello individuale, mentre nel terzo mondo esistono povertà, bisogni e sofferenze inimmaginabili.

Per risolvere questi problemi è necessaria una filosofia nuova, fondata sull’interdipendenza e sulla solidarietà a livello mondiale. Questo richiede un atteggiamento decisamente diverso, non solo da parte degli organismi politici che operano attraverso un’organizzazione internazionale come le
Nazioni Unite – che io ho servito per oltre diciannove anni – ma soprattutto da parte dell’uomo comune.

Abbiamo bisogno, ora più che mai, di esseri umani dotati di una personalità equilibrata e la via della realizzazione del Sé è un modo semplice e sicuro per conseguirla.

Quando i primi astronauti arrivarono sulla luna, guardando verso la terra esclamarono: “E’ così bella!”. Da quella distanza vedevano il nostro pianeta nella sua totalità e non suddiviso in paesi, continenti o regioni abitati da persone di razze e colori differenti. Se noi non siamo capaci di
vedere il mondo nella sua totalità, è poiché i nostri pensieri sono poco elevati. Possiamo superare facilmente questa limitazione con un po’ di immaginazione che ci permetterà di sollevare lo sguardo al di sopra delle ristrette divisioni che tendono a separarci, e di seguire gli insegnamenti
dei grandi santi e dei saggi che ci esortano a mettere in pratica l’amore, la compassione e la tolleranza.

Il messaggio di Sri Daya Mataji è quindi di grande importanza e di particolare rilievo in un’epoca di dubbi e di scetticismo. I suoi discorsi pubblicati in questo libro si innalzano come un faro di fede e di speranza e proclamano non soltanto l’unità della razza umana, ma anche l’unità dell’uomo con Dio.

——————

[…]

<La comprensione reciproca >

Casa madre della Self-Realization Fellowship
Los Angeles, California, 14 dicembre 1965

Dobbiamo comportarci sempre secondo la nostra vera natura di figli divini di Dio.

Qualunque cosa gli altri facciano per ferirci, dobbiamo dare in cambio perdono e comprensione. Se ci comporteremo in questo modo avremo il potere di cambiare i sentimenti che gli altri hanno nei nostri confronti. Si dovrebbe offrire a tutti con sincerità la mano dell’amore e dell’amicizia. Quando quella mano viene colpita – ogni volta che viene colpita – dovrebbe essere offerta di nuovo. Se qualcuno continua a respingervi, tenetevi in disparte per un po’ di tempo, ma continuate a inviargli in silenzio pensieri amorevoli. Siate sempre pronti a tendere di nuovo la mano dell’amicizia, quando se ne presenti l’opportunità.
Accettate gli elogi e le critiche senza emozionarvi in nessuno dei due casi. Sebbene a volte possa essere difficile avere a che fare con persone che ci criticano, dovremmo tenere conto di quello che dicono, se è costruttivo. Certe volte è giusto cercare di spiegarsi, e fare ogni sforzo per giungere a un’intesa, ma spesso dilungarsi in spiegazioni che possono sembrare soltanto delle giustificazioni è una perdita di tempo. In questi casi è più saggio limitarsi ad accettare in silenzio la situazione.

Il comportamento migliore è quello dell’umiltà divina cui si riferiva San Francesco d’Assisi quando diceva: “Accetta in silenzio e senza vendicarti i rimproveri, le critiche e le accuse anche quando  sono falsi ed ingiustificati “. Anche se ciò che si dice di noi è falso, anche se sentiamo che è ingiusto, saremo spiritualmente nobilitati se lo accetteremo senza discussioni e senza rancore. Lasciate il giudizio a Dio. Chi vuole conoscere Dio deve prima di tutto sforzarsi di piacere a Lui, non agli uomini.

Il momento di spiegarsi, o il momento di tacere, dipende dalle circostanze. Ma, in nessuna occasione, è il momento di vendicarsi. Lasciate sempre che sia Dio a giudicare. Le Sue leggi sono giuste; quindi, nel senso  più alto, non abbiamo mai bisogno di difenderci.

Esisteranno sempre persone che ci lodano e ci capiscono, o che ci denigrano e ci fraintendono. Dobbiamo prendere entrambi i giudizi per quello che valgono. Il nostro ruolo è quello di sforzarci sempre di vivere la verità nel modo migliore. Se ci rendiamo conto di avere fatto uno sbaglio,
dobbiamo immediatamente chiedere al Divino di perdonarsi, e quindi cercare di correggerci.

E’ inutile tentare di nascondere a Dio i nostri errori. Egli li conosce comunque. Possiamo parlargliene con fiducia e cercare il Suo aiuto per correggerli. L’immanenza di Dio fa di Lui un compagno divino, costantemente
presente, cui possiamo liberamente confidare i nostri sentimenti. Egli ci vede così come siamo.

Come possiamo chiuderci nel nostro egocentrismo, quando sappiamo di non essere niente senza di Lui. Una volta compreso questo, ha inizio in noi una lotta continua per raggiungere ai suoi occhi la perfezione. Chi è soddisfatto di sé non cresce più spiritualmente. L’egotistico autocompiacimento è un grave peccato nei confronti del più alto Sé. Chiunque smetta di lottare per migliorarsi si impoverisce spiritualmente.

Quando abbiamo torto, ammettiamolo. Non pensiamo di dovere avere sempre ragione. Questo non è onesto verso noi stessi. Avere una determinata opinione non la rende necessariamente giusta. Se qualcuno ci dimostra che abbiamo torto, dovremmo essere pronti e disposti a cambiare. Questo è il
modo per crescere e per diventare comprensivi. Non sono necessarie lunghe spiegazioni sui motivi del nostro sbaglio. Occorre semplicemente dire: “Mi dispiace, avevo capito in un altro modo”.

<Le incomprensioni aumentano quando non si comunica<

Quando qualcuno non ci comprende ed è arrabbiato, nulla di quello che possiamo dire servirà a fargli vedere chiaramente le cose mentre si trova in preda all’emozione. E’ meglio attendere finchè il nostro presunto antagonista sia calmo, e poi cercare di intendersi. Quando le persone smettono di comunicare fra loro, aumenta l’incomprensione. Finchè c’è un dialogo – non una polemica, ma una discussione aperta – c’è la speranza di coltivare la comprensione e l’armonia.

E’ importante non avere mai una mentalità ristretta. Il nostro Gurudeva Paramahansa Yogananda non lo tollerava in coloro che cercavano la sua guida. Chiunque desiderava stargli vicino doveva dimostrare di avere una mentalità aperta e di essere ragionevole.

Nel cercare di comunicare con gli altri, dovremmo sempre controllare i nostri moventi. Se col pretesto di cercare comprensione intendiamo soltanto imporre le nostre idee, il movente non è onesto, e quindi è sbagliato. Dovremmo sempre cercare sinceramente di comprendere gli altri, mettendo momentaneamente da parte il nostro personale punto di vista per immedesimarci nel loro modo di pensare. Dobbiamo comportarci così se intendiamo comunicare efficacemente con gli altri.

Se cerchiamo la verità, e non semplici giustificazioni delle nostre convinzioni, dobbiamo essere capaci di abbandonare temporaneamente ciò che crediamo sia giusto, e vedere la questione con gli occhi dell’altro. Lasciate che si spieghi. Poi, dopo aver ascoltato la sua versione ed averla considerata imparzialmente dal suo punto di vista, potremo fare presente il nostro parere. In altre parole, deve esistere un aperto scambio di idee. E’ probabile allora che entrambe le parti riconoscano di aver sbagliato, e si rendano conto che la verità si trova ad un punto intermedio tra le loro posizioni opposte.

Purtroppo, la maggior parte di noi si dà così tanto da fare per mettere in evidenza il proprio punto di vista e per convincere l’interlocutore, da non lasciargli neppure l’opportunità di esprimersi. Quando vi trovate in difficoltà con qualcuno, dimostrategli sufficiente rispetto tanto da permettergli di sfogarsi. Per quanto malevolo sia, per quanto si lasci sopraffare dall’emozione, non interrompetelo. Lasciate che si sfoghi. Poi rispondete con calma e gentilezza. Anche se stesse dicendo le cose più
sgarbate sul vostro conto, ascoltate rispettosamente e dite interiormente a  Dio: “E’ così? Devo sapere la verità. Signore, se davvero sono così devi aiutarmi a superare il mio difetto e a cambiare”. Ma se quella persona dovesse trascendere al punto di perdere la dignità ed offendere i principi
spirituali, e non soltanto il vostro orgoglio e il vostro ego, dovete resistere, dovete diventare d’acciaio. Offendere i principi divini è offendere Dio, e non dobbiamo mai rendercene complici. Gesù non difese mai
sé stesso, ma si mostrava forte, con le parole e coi fatti, quando la giustizia era calpestata.

Per concludere, il nostro dovere quali figli di Dio in questo mondo è di cercare la comprensione: comprendere noi stessi, gli altri, la vita e, soprattutto, Dio. Questo mondo potrà essere un posto migliore soltanto quando la comprensione regnerà nel cuore e nella mente dell’uomo. Gli esseri
umani devono imparare ad andare d’accordo gli uni con gli altri prima che anche le nazioni possano sperare di farlo.

Come cambiare gli altri
Ashram della Self-Realization Fellowship
Hollywood, California, 19 maggio 1965

Non dobbiamo mai permettere che il comportamento degli altri ci privi della nostra pace mentale. E’ difficile rimanere mentalmente calmi e frenare la lingua quando si è irritati dagli altri, ma nessuno può percorrere il sentiero della vita con successo se continua a dire a tutti coloro che lo
infastidiscono come devono comportarsi. I consigli non richiesti creano dei risentimenti terribili. Non dobbiamo cercare di imporre la nostra volontà o le nostre idee a coloro che ci stanno attorno, a meno che essi stessi non chiedano il nostro consiglio.

I neofiti sul sentiero spirituale appena provano un certo entusiasmo per la ricerca di Dio, spesso fanno l’errore di voler cambiare il mondo intero. Danno inizio a una rivoluzione spirituale in famiglia e compiono uno sforzo imponente per convertire il marito, la moglie e i figli. E’ molto
bello avere questo genere di fervore, ma provoca quasi sempre un senso di antagonismo.

Paramahansaji diceva invariabilmente a tali entusiasti: “Prima cambiate voi stessi; trasformate voi stessi e trasformerete migliaia di persone”. Nessuno vuole che gli si dica cosa deve fare, o meno che lui stesso non cerchi aiuto. A nessuno piace essere costretto ad ascoltare dei consigli. Quando è
pronto per ricevere un consiglio, lo chiederà, e lo vorrà da coloro con cui vive o che ama ed ammira, se si rende conto che nella vita di quelle persone si è determinato un cambiamento positivo. Ma, finchè il cambiamento si tradurrà soltanto in parole, o in pie azioni superficiali, il dubbioso
opporrà resistenza.

Siate un esempio di ciò che volete siano gli altri. Se avete la tendenza a perdere le staffe, a  rispondere male o ad usare parole aspre, se rimproverate i figli in maniera irragionevole, se siete nervosi e facilmente irritabili, pronti ad urlare e a parlare sgarbatamente, cambiate! Questo è
il modo migliore di cambiare chi ci sta attorno. E’ difficile, ma ci si può riuscire. I nostri sforzi dovrebbero essere diretti a fare di noi una persona stimata e rispettata, le cui parole abbiano un peso, una persona che parli mossa da saggezza e comprensione vere, mai dall’ira, dal nervosismo,
dall’invidia o dal desiderio di vendicarsi quando è stata offesa.
In India, un industriale di grande successo mi disse: “Sono scoraggiato e turbato; ho ulteriori problemi con mia moglie e con i miei dipendenti. Con loro uso sempre un tono brusco. Che cosa devo fare?”.

“Vuole la verità, o vuole che le dica ciò che spera di sentirsi dire?”.

“Voglio la verità”.

“Bene”, risposi, “Deve cominciare da se stesso. Lei è considerato un tiranno, sia dai familiari che dagli impiegati. In conclusione, gli altri le obbediscono non per amore, o per rispetto, ma perché usa la frusta. Di
conseguenza, non ottiene da loro il lavoro e la collaborazione che potrebbe ottenere. Deve imparare a rilassarsi: smetta di essere così teso. Dedichi un po’ di tempo ogni giorno a rilassarsi; si conceda un po’ di tempo per pensare a Dio. Supponga che fra un istante la vita le sia tolta, o immagini
di essere già morto”.

E’ un esperimento dei più interessanti. Vi accorgerete all’improvviso che tutte le vostre responsabilità non sono più vostre. Capirete quanto sia importante preoccuparsi un po’ di più del vostro futuro con Dio.

Poi gli dissi: “Se lo desidera, mentre sono qui, venga ogni pomeriggio ad ascoltare il satsanga1 e a meditare con noi”. Venne ogni giorno, e meditammo e parlammo di Dio.

Due anni dopo – ero di nuovo in India – uno dei suoi impiegati mi disse: “E’ un altro uomo; molto più calmo e più paziente. Per questo ora c’è maggiore distensione e maggiore armonia tra noi; riusciamo a lavorare meglio, perché non siamo sempre tesi e nervosi”. Questo è un esempio
meraviglioso di quello che il nostro Guru insegna sul sentiero della Self- Realization Fellowship.

Finchè sarete nervosi e tesi con vostro marito, vostra moglie o i vostri figli, essi reagiranno e si comporteranno in maniera analoga. Non può essere altrimenti. Quindi, se volete un’atmosfera diversa a casa, sta a voi prendere l’iniziativa. Non aspettatevi un cambiamento dall’oggi al domani
nell’ambito familiare; ciò accade raramente. Il cambiamento è un lento processo naturale. Ed anche se non avvenisse mai, non sentitevi scoraggiati o esageratamente preoccupati.

Guruji ci diceva: “Dio ha dato ad ogni essere umano un dono splendido: il segreto dei suoi pensieri. Nel pensiero egli può vivere e creare silenziosamente con Dio un rapporto di amicizia e di  comprensione che comincerà pian piano a manifestarsi nella sua vita intera, riflettendosi nei
suoi rapporti con la famiglia, la comunità, il mondo”.

Anche se chi vi circonda non cambia in maniera percettibile, il cambiamento che ha preso forma in voi vi rende meno vulnerabili al cattivo comportamento degli altri.

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Meditare senza pensare

mudra
Qui ed ora. La maggiore difficoltà quando si comincia a praticare qualsiasi tipo di meditazione è la frenetica attività della mente.  Non appena ci si siede a occhi chiusi i pensieri prendono il sopravvento…

Quando cominciamo a meditare ci accorgiamo di vivere immersi in una corrente ininterrotta di pensieri, che si presentano indipendentemente dalla nostra volontà, uno dopo l’altro, in rapida successione.
All’inizio della pratica della meditazione seduta, l’attività dei pensieri distrae continuamente l’attenzione dal compito primario che ci siamo proposti e cioè l’osservazione del respiro.

Per dare continuità e impulso alla meditazione dovremo continuare a ricordarci di ritornare al respiro, quali che siano i pensieri che hanno assorbito la mente in quegli istanti. I pensieri si susseguono nella nostra mente per lo più al di sotto della soglia della consapevolezza, fino al momento in cui, improvvisamente, ci accorgiamo che non stiamo più osservando il respiro e non sappiamo nemmeno da quanto tempo.

A quel punto ti dici:”Va bene ora torno ad osservare il respiro e lascio andare i pensieri che ho in questo momento, qualsiasi essi siano”.

Cerchiamo di trattare i pensieri come dotati dello stesso valore, indipendentemente dal loro contenuto, semplicemente come eventi che si presentano nel campo della nostra consapevolezza, tenendo presente che lasciarli andare non significa reprimerli.

Può essere molto liberatorio renderti conto che i tuoi pensieri sono semplicemente pensieri e non sono ‘te’, né tantomeno la realtà: per esempio, se pensi di dover fare certe cose durante la giornata e non lo riconosci semplicemente come un pensiero, crei con ciò una realtà che ti può opprimere, costringendoti a fare tutte quelle cose.

Il solo fatto di riconoscere i tuoi pensieri come tali, ti libera dalla realtà distorta che possono creare e ti consente di gestire la tua vita con maggiore fluidità.

Questa liberazione dalla tirannia della mente pensante nasce spontaneamente dalla pratica della meditazione, mano a mano che la mente è meno identificata con il contenuto dei pensieri aumenta la sua capacità di concentrazione e calma. Ogni volta che riconosciamo un pensiero come tale e ritorniamo all’osservazione del respiro rafforziamo la consapevolezza e impariamo a conoscerci e ad accettarci di più, non come vorremmo essere, ma proprio così come siamo.

(Giancarlo Giovannini – tratto da Lista Sadhana – Yahoo )