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Posts Tagged ‘sofferenza inutile’

001-50
La natura della sofferenza

Nella cornice della pratica buddista,
riflettere sulla sofferenza
ha un’enorme importanza,
perche’ e’ comprendendo
la natura della sofferenza
che si matura una piu’ ferma risoluzione
a por termine a tutte le cause di sofferenza,
e ai comportamenti
come alle azioni insalutari
che la incrementano,
e ad aumentare l’entusiasmo necessario
per intraprendere quelle azioni
e comportamenti salutari
che arrecano felicita’ e gioia.

Dalai Lama

Il dolore insegna

Il dolore è ago della bilancia che sappia indicare le nostre aspettative, gli attaccamenti e quello a cui non sappiamo rinunciare. Il dolore è a volte rivestito d’orgoglio ; di quel sentirsi non rispettati o ascoltati. Il più grande dolore è la consapevolezza della nostra morte, della finitezza del nostro corpo; la malattia e quella di chi ci è caro; il dubbio di perderlo o di perderci senza poter più godere di beni materiali o quell’amore che conosciamo. Ma la nostra vita non è solo materia, non è solo quello che resta nella memoria di chi ci ama: abbiamo un percorso interiore, un significato, un’opporetunità di crescita interiore che ci possa condurre a fare per noi stessi e per gli altri un miglioramento che sia capace di incidere il senso del nostro passaggio qui. Noi non restiamo sempre qui; siamo destinati a tornare ” a casa” a lo faremo senza il peso di cose inutili ma con maggiore consapevolezza e ricchezza interiore se sapremo rendere produttiva la nostra vita.

Seminatori

Siamo noi stessi che caduti nella dualità separiamo più che unire;
giudichiamo più che accogliere e questo muro invisibile;
questa protezione è in realtà la nostra stessa prigione.

Trovare il proprio Sé, la capacità di non fuggire
seguendo la mente che distorce e distoglie dal suono del silenzio;
dalla nostra armonia, è poter raccogliere quel prezioso tesoro
che abbiamo seppellito nel nostro giardino ed andiamo a cercare altrove:
non serve un intellettualismo sterile; non servono nozioni che confondono;
serve il coraggio di ascoltarsi, di allargare il cuore e manifestare quel
che per troppo tempo è stato soffocato.

Questo è da ” seminatori ” instancabili che, semplicemente
vedono oltre le apparenze ed amano il viaggio della Vita;
spargono il seme d’Amore perché è quanto sentono.
Non cercano gratificazioni; poteri e abilità;
la vera via è spogliarsi di condizionamenti; di artifici ed essere
se stessi senza timore.

Il sentiero siamo noi …

© Poetyca

Solitudine e disagio esistenziale sono una delle peggiori afflizioni della nostra epoca, sebbene ciò appaia un paradosso, visto che ci troviamo in un periodo in cui siamo letteralmente sommersi da comunicazioni di tutti i tipi, spesso inutili o dannose.

L’uomo moderno è spesso disorientato, ha smarrito il contatto con sé stesso, chiudendosi sempre più ad autentiche esperienze di gioia e di evoluzione interiore. Non possiamo comprendere la causa della solitudine, senza prima conoscere le dinamiche che formano la personalità, realtà tanto presente quanto invisibile, magnetica e affascinante.

Attraverso un’analisi psicologica e spirituale dell’uomo nella realtà della sua interezza bio-psico-spirituale, la penetrante saggezza dell’India consente di comprendere l’origine della sofferenza e suggerisce come ritrovare la via illuminata dell’armonia e del benessere.

La responsabilita soggettiva nella sofferenza Che cosa puo’ rendere la sofferenza un’esperienza che insegna, oltre che una “fisionomia della vita”? Se esiste un confine fra responsabilità soggettiva e mera casualità e lì che deve essere ricercata la risposta a un quesito che indaga l’intimo del soggetto fino ad una verità che vuole essere vissuta prima ancora che conosciuta.
Che cos’e l’Illuminazione – Raccontata attraverso le interviste a dieci maestri Illuminati viventi – Un film-documentario che indica il percorso verso la Consapevolezza e la Liberta dalla sofferenza
La via da seguire per sopprimere il dolore secondo l’insegnamento del Buddha e nelle parole del Dalai Lama
Cogliendo il vero tormento di chi ignora il significato del dolore e attualizzando l’insegnamento del Buddha sul valore della sofferenza, il Dalai Lama, in questo breve ma intenso libro (già pubblicato con il titolo di Le Quattro Sante Verità), resoconto di una serie di conferenze tenute a Londra nel 1996, spiega e interpreta per l’uomo di oggi le Quattro Sante Verità: l’esistenza, l’origine, l’estinzione del dolore e la via da seguire per sopprimerlo.

Nel rivolgersi con la sua saggezza senza tempo e la sua semplicità disarmante a un pubblico occidentale, il Dalai Lama usa un linguaggio che supera i confini nazionali e culturali e, proponendo la compassione come unica via praticabile per tutti coloro che sono alla
ricerca della felicità, lancia un messaggio d’amore e di speranza per tutte le genti.

Come usare la saggezza del corpo e della mente per sconfiggere lo stress, il dolore, l’ansia e la malattia
Lo stress sembra ormai la nostra condizione abituale di vita. Fa parte di noi. Ci toglie le energie, mina la nostra salute, e ci rende più vulnerabili agli attacchi di panico, alla depressione, alle malattie. Vivere momento per momento è un libro sulla meditazione terapeutica per combattere lo stress e per raggiungere un più alto livello di benessere e di salute. Le tecniche su cui si basa affondano le radici nella tradizione buddista ma sono applicabili in qualsiasi contesto e orizzonte spirituale; non consistono in una serie di aride prescrizioni, ma ci insegnano a servirci dei punti di forza che già possediamo per contrastare tutti quei disturbi provocati o connessi con una condizione di stress. Il percorso della meditazione seguito e insegnato da Kabat-Zinn approda a una profonda autoconsapevolezza che apre la mente a un modo nuovo e più sereno di pensare alla salute e alla malattia, al lavoro e alla vita di relazione. E la descrizione di numerosi casi raccolti in dieci anni di lavoro come medico esemplificano le tecniche di meditazione e di rilassamento proposte agevolandone la comprensione ai lettori.
Il potere nascosto della Bellezza, della Benedizione, della Saggezza e del Dolore
In questo suo nuovo libro Gregg Braden condivide con noi ciò che ha appreso durante lunghi viaggi e ricerche presso popoli e culture molto diversi. La preghiera come la conosciamo oggi nella società occidentale si differenzia sensibilmente dalle forme che si sono tramandate per migliaia di anni nelle antiche tradizioni. Con grande competenza Braden ci introduce al modo giusto di pregare per ottenere che la nostra richiesta venga sempre esaudita. Scopriremo che la preghiera non riguarda tanto il chiedere, quanto la capacità di superare il dubbio che spesso accompagna i nostri desideri, sviluppando le tecniche e gli atteggiamenti che nel libro vengono spiegati accuratamente. Sono le scuole di antica saggezza che ci hanno tramandato questo stile di preghiera, lo stesso che ancora oggi viene praticato nei monasteri arroccati sulle montagne del Tibet.

Gregg Braden ci spiega che non è necessario usare parole specifiche, tenere le mani in una data posizione o esprimere qualcosa esteriormente, attraverso il corpo; questa antica modalità di preghiera ci invita piuttosto ad assumere un ruolo attivo per ottenere la guarigione fisica, per richiamare l’abbondanza sui nostri amici e familiari e per portare la pace nel mondo.

Il pellegrinaggio interiore

Abbandonare ogni attaccamento, ogni dipendenza nei confronti di cose e persone, situazioni e circostanze, significa lasciar morire l’io psicologico, questo fantasma irreale che proietta le sue idee, i suoi
pregiudizi, le sue preferenze e avversioni su tutti i nostri contatti
con l’esterno. La vita è la divinità stessa, bisogna imparare a non sciuparne la sacralità e mantenersi attenti e consapevoli in tutti i piccoli atti della vita quotidiana.

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001-25

(di Ajahn Sucitto)

[per libera distribuzione]

(Tradotto da Letizia Baglioni)

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Pur avendo insegnato per quarantacinque anni, il Buddha affermava che c’era tutta una serie di cose che aveva compreso ma non insegnato. E perché non le aveva insegnate? Perché saperle non era indispensabile ai fini della comprensione cui attribuiva il massimo valore: ossia, che il modo in cui l’individuo ordinario sperimenta la propria vita contiene un elemento di non-soddisfacibilità, e che questa insoddisfazione può essere eliminata. In breve, che l’essere umano è in grado di sperimentare un sostenuto sentimento di benessere, o di felicità, indipendente dalle circostanze.

Al Buddha non interessava fondare una nuova religione o radunare un vasto seguito di discepoli, quanto piuttosto aiutare chi lo desiderasse a conseguire il semplice obbiettivo del benessere. Nessuno ha bisogno di essere ‘convertito’ a questa causa, perché, a ben pensarci, è quello che già cerchiamo attraverso ogni sorta di progetti spirituali e materiali. In effetti, il Buddha esortava a non seguire i suoi consigli senza prima sottoporli al vaglio dell’esperienza personale. Solo attraverso la ricerca e il costituirsi di proprie autonome certezze è possibile realizzare quella verità che può assicurarci una felicità indipendente. Limitarsi a credere – o a non credere – ciecamente, significa dipendere da un sistema di assunti circa ciò che dovremmo o potremmo essere, circa la natura del mondo o ciò che speriamo (o temiamo) ci accada al momento della morte.

A ben riflettere, si può dire che gran parte della nostra realtà sia fatta di supposizioni. Supponiamo di abitare un corpo fisico che abbandoneremo al momento della morte; ma in realtà, dove sono ‘io’ in questo corpo? Se sezionate un corpo, non ci trovate dentro nessuno! Né questo ‘individuo interiore’ è in grado di vedere il corpo dall’interno, sebbene si sperimenti di volta in volta come soggetto che genera pensieri e stati d’animo o come oggetto che riceve tutta una serie di impressioni sensoriali. Intrappolato in questa posizione, l’‘individuo interiore’ è tuttavia incapace di garantire che questo costante flusso in entrata e in uscita sia gradevole, interessante o perfino gestibile. E questo è una grossa fonte di tensione, bisogno e frustrazione.

Ciò che un Buddha sa è che questo singolare ‘io’ non potrà mai essere soddisfatto: anche un’impressione piacevole tende alla lunga a diventare noiosa. Difatti l’esperienza del piacere nel suo complesso si basa su l’una o l’altra di due modalità percettive transitorie: quella secondo cui ‘io’ vengo attratto e mi unisco a ciò che è piacevole, o quella secondo cui ‘io’ sono separato da ciò che è spiacevole. Tuttavia, quando la coscienza si unisce a un oggetto piacevole è privata dello spazio che le consente di goderne: da cui il bisogno di avere più piacere. Gran parte del nostro cosiddetto piacer si intreccia all’anticipazione del piacere futuro o al ricordo del piacere passato. D’altro canto, le cose spiacevoli continuano a succederci, malgrado i nostri sforzi per proteggerci; e lo sforzo di conservare sicurezza e benessere diventa di per sé un dispiacere. La felicità duratura non sembra derivare dal conseguire il piacere ed evitare il dispiacere; e dunque, è mai possibile trovare la felicità in qualcosa che il senso dell’‘io’, con i suoi bisogni e giudizi,esperisce?

Si potrebbe obbiettare che un simile ragionamento porta al pessimismo. Dato che noi raramente o mai facciamo esperienza di qualcosa liberi dal senso dell’‘io’, una drastica liquidazione della ‘mia’ dimensione esperienziale non può che suonare deprimente. Ma il Buddha insegna a trovare la felicità in questa vita, con un corpo, sentimenti, pensieri – liberi però dal senso dell’io. Fondamentalmente ciò si realizza attraverso uno stile di vita e un tirocinio volto a equilibrare e rafforzare la mente. L’esperienza del Buddha fu che non c’è bisogno di distruggere l’‘io’: così come un miraggio svanisce quando vengono meno le condizioni che lo producono, allo stesso modo il senso dell’io – che ha la stessa concretezza di un miraggio – si dissipa quando le condizioni che lo sostengono non vengono più generate. È una sorta di profondo rilassamento, di riposo – il Buddha lo definiva ‘fermarsi’ – che dona alla mente la quiete di uno specchio d’acqua e al tempo stesso una straordinaria sensibilità.

Ciò richiede una profonda trasformazione delle nostre abitudini, e forse molti anni di pratica. Cosa ci dice che tutto questo sia vero o possibile? Provate per qualche giorno: la pratica offre un saggio delle qualità della meta. Anche se non abbiamo raggiunto quella profonda liberazione di cui parla il Buddha, se ci scopriamo a praticare con gioia possiamo confidare che il Sentiero corrisponda alle nostre aspirazioni.

La felicità della pratica, e della meta, si può riassumere in tre aspetti: la felicità delle buone azioni, la felicità della chiarezza e della quiete, la felicità della comprensione. Se agiamo con una mente pura, con onestà, non-violenza e amore, vivremo liberi dal rimorso. Avremo buoni amici e nutriremo fiducia e rispetto per noi stessi. Indipendentemente dalla buona o dalla cattiva sorte, avremo una fonte di felicità slegata dagli alti e bassi del mondo. In secondo luogo, se attraverso la meditazione impariamo a educare la mente alla concentrazione, alla quiete, a essere pienamente ricettiva sia a quanto avviene che alla coscienza entro cui avviene, il risultato sarà una felicità della medesima natura. Invece di essere trascinata di qua e di là, vuoi dall, vuoi dalla noia, vuoi dalla depressione, la mente gode di un proprio autonomo equilibrio. Ha una forza e una calma naturali che ci accompagnano nei cambiamenti della vita.

Ma la felicità più grande viene dalla comprensione. Con una mente più stabile, possiamo esaminare le cause interne del nostro bisogno e della nostra ansia. Una mente che è stata educata in termini di attenzione e di calma riconosce che le cause latenti di insoddisfazione hanno origine tutte da un ‘cercare di’. Tentare di rimediare al passato, cercare di anticipare il futuro, cercare di ottenere, cercare di eliminare, cercare di sapere quello che non sappiamo, e via dicendo. Questo “cercare” suscita il senso dell’io, e al tempo stesso ne condiziona l’espressione nel futuro. Con l’equilibrio e la fiducia che le altre forme di felicità ci consentono, diviene possibile “lasciar andare”, rilassarci e accostarci alla vita così com’è nel momento presente. Allora il senso di oppressione, il bisogno e il dubbio non hanno più ragione di essere.

A volte c’è un modo tutto buddhista di attaccarsi alla sofferenza, magari pensando che “tutto è sofferenza” o che la pratica sta andando bene se uno si scopre pieno di conflitti emotivi. Certo, non ci si può aspettare che l’introspezione riveli sempre un quadro di armonia, però a volte possiamo perfino dimenticarci di notare il nostro benessere, o considerarlo irrilevante: quel che conta è la sofferenza. Ma l’intuizione del Buddha fu che l’infelicità non è “quel che conta”, è un’aggiunta. Nella sua natura originaria, la mente è luminosa e non turbata. Noi lo dimentichiamo, e ci perdiamo nei sogni. Pieno di compassione, il Buddha ci invita a svegliarci, e ci offre i mezzi per andare a vedere di persona.

tratto da Lista Sadhana – Guido Da Todi

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