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Archive for the ‘Vita e morte’ Category

Ghesce-Ciampa-Ghiatso

I DODICI ANELLI

Il testo recita:“ Non esiste ignoranza o estinzione dell’ignoranza,fino a non esistono vecchiaia e morte né estinzione della vecchiaia e della morte .”riferendosi ai ‘dodici anelli’.

Vediamo brevemente quali sono i dodici anelli del ciclo dell’esistenza.
Essi possono essere considerati dal punto di vista dell’ordine progressivo del condizionamento del samsara oppure dal punto di vista del decondizionamento o dellapurificazione.

1) Il primo dei dodici anelli è l’ignoranza. Considerando anche glialtri undici,possiamo ugualmente affermare che non esistono ultimamente
2) leformazioni karmiche
3) la coscienza,
4) del nome e forma,
5) le sei entrate,
6) ilcontatto,
7) le sensazioni,
8) bramosia
9) l’afferrarsi
10) il divenire,
11) la nascita,
12)  la vecchiaia e la morte.

1) Con ignoranza si intende la non conoscenza della reale natura dei feno-meni.Le ignoranze sono innumerevoli,ma si possono raggruppare in due:una è

la non conoscenza della ‘talità’,la reale natura di ciò che esiste,l’altra è la nonconoscenza delle cause e degli effetti,della legge del karma.

2) Il secondo anello è chiamato formazioni karmiche,e sono le azioni.Leazioni hanno il potere di proiettarci nelle rinascite successive e possono esseremeritorie,non meritorie e inamovibili.Le azioni meritorie sono le dieci azionipositive di non uccidere,non rubare,non avere una sessualità scorretta,non men-tire,non creare discordia,non ingiuriare,non parlare a vanvera,non avere bra-mosia,malvagità e non sostenere visioni errate.Le azioni non meritorie sonol’opposto di quelle elencate,quindi uccidere e così via.Quelle virtuose hanno ilpotere di spingerci in esistenze superiori come quella umana o divina.

Ovviamente la positività o negatività delle azioni ha varie sfumature.Il risultatodipende dal livello dell’intensità.Le azioni negative possono essere di vari gradi.Quelle che ci conducono a rinascite come animali sono di intensità minore,quel-le di intensità intermedia come spiriti famelici e quelle maggiori come esseriinfernali.Poi c’è una categoria di azioni dette inamovibili.Sono quei livelli diconcentrazione che ci possono portare a stati superiori di esistenza,nei reamidella forma e del senza forma.Si parla di diciassette livelli del reame della formae di quattro assorbimenti meditativi del reame del senza forma.

3) Il terzo anello è quello della coscienza;si intende la coscienza mentale laquale contiene le impronte delle azioni che abbiamo compiuto.

4) Il quarto dei dodici anelli è quello del nome e forma.È riferito al conce-pimento nel grembo materno.L’ovulo fecondato è l’anello della forma che con-tiene la coscienza non ancora manifesta,indicata con ‘nome’in quanto non sonoancora manifesti i vari fattori mentali quali le sensazioni,la discriminazione,i fat-tori di composizione.Fino al momento in cui l’embrione non sviluppa comple-tamente le sue facoltà sensoriali viene indicato come ‘nome e forma’.

5) Il quinto dei dodici anelli è quello delle sei entrate o facoltà sensoriali e siriferisce all’embrione fino al momento in cui avrà il primo contatto.

6) Quando poi avviene il primo contatto tra oggetto,facoltà sensoriale ecoscienza,sorge l’anello del contatto.

7) Dal contatto nasce l’esperienza,cioè la sensazione,si indica quindi l’anellodelle sensazioni che è il settimo.

8) L’ottavo è l’anello della bramosia Si riferisce all’attaccamento per questo corpo.Durante il processo della morte,quando non possiamo più aggrap-parci a questo corpo,la nostra tendenza è quella di ricercarne uno nuovo.

9) Il nono anello è l’afferrarsi.Attaccamento per il corpo che è l’intensificar-si della bramosia di averne un altro.

10) Queste due forme di attaccamento attivano le impronte delle azioni pas-sate depositate nella nostra coscienza.Questo karma o azione attivante è l’anellodel divenire.

11) L’anello della nascita è ciò che ci porta a rinascere,per cui entriamo nelventre materno,veniamo concepiti e,secondo il buddhismo,il primo istante diconcepimento è la nascita.

12) Poi c’è l’evoluzione dell’embrione e il corpo continua ad evolversi.Questo è ciò che indica il termine invecchiamento mentre la morte può avveni-re anche nel grembo della propria madre.Dunque il dodicesimo anello dellamorte può realizzarsi anche finché siamo ancora nel grembo materno.

Questa è una descrizione abbreviata dei dodici anelli.Ponendo fine all’ignoranza avranno fine anche le formazioni karmiche oazioni contaminate,quindi avrà fine anche il terzo anello che si riferisce alleimpronte karmiche nella coscienza,avendo fine la coscienza avranno fine anchenome e forma,allora porremo fine anche alla nascita e all’invecchiamento e allamorte.

Questa è un’esposizione dell’ordine di decondizionamento,di abbatti-mento dei dodici anelli dell’esistenza ciclica.
Come porre fine all’ignoranza?Realizzando la vacuità,il non-sé, la mancanza di un io a sé stante, per tale ragione nel testo del Sutra del Cuore è scritto:“ Non c’è vecchiaia e morte né estinzione della vecchiaia e della morte.”

(Ghesce Ciampa Ghiatso – tratto da Introduzione al sutra del cuore)

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Dialogando con un interlocutore sconosciuto…

Maestro zen Taido Kengaku Pinciara

roberto_1_maggio_Ho ben poco da dire.  Giunto dove sono giunto non c’è certezza alcuna.
La sola certezza è che sappiamo ben poco di ciò che siamo, di ciò che facciamo, di quel che ci accade e del perché conduciamo una vita come quella che stiamo vivendo. In realtà, non conduciamo nulla, perché sarebbe più preciso dire che siamo condotti da qualcosa di cui non conosciamo l’origine.
E’ come essere nella carrozza di un treno che procede veloce. Le forme, fuori dal finestrino, sembrano correre in un susseguirsi inarrestabile. Pare di essere fermi, seduti comodamente, mentre tutto, fuori di noi, si muove rapidamente. Di tanto in tanto, il treno si ferma e allora possiamo osservare con più attenzione quello che accade fuori dal finestrino.

La sensazione che il tempo scorra e con esso tutte le cose sembra convincere molti. Ma è davvero in questo modo? Cosa accade se la mente si ferma? Tutto sembra arrestarsi con essa. La mente è quel treno che corre veloce. Di tanto in tanto si arresta, e così il paesaggio diventa più nitido. Non passa molto, però, che la sua corsa folle riprende verso una destinazione del tutto sconosciuta. Cosa ci sarà alla fine della corsa? Questa è la domanda che raramente ci si pone. L’arrestarsi temporaneo alle stazioni ci permette di riprendere fiato, ma solo per rendere l’illusione di quel che verrà apparentemente ancora più affascinante. Il movimento è inseparabile dal tempo. Quando non c’è più tempo, cosa rimane?

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Siamo abituati a considerare il tempo come vita, e la dimensione del tempo che si arresta come morte. Da un certo punto di vista è così. Quando il tempo si ferma qualcosa muore. Abbiamo l’impressione di morire perché la mente non può sopravvivere fuori del tempo.
Così, dovremmo chiederci: che cosa muore?
Ogni aspetto del nostro vivere sociale si fonda sul correre frenetico all’inseguimento di chissà quale cosa. Una continua lotta contro il tempo. Buffo, vero? Il tempo è la mente e noi corriamo contro il tempo… Forse da qui nasce l’angoscia. L’angoscia di combattere contro qualcosa che non si conosce e che si sa di non poter sconfiggere… Come certi incubi notturni.

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Vi siete accorti di come si cade in quello stato chiamato “noia” quando ci sembra non ci sia niente da fare? La nostra mente, che è continuamente operosa, si affanna di continuo alla ricerca di stimoli, eccitazioni di qualunque genere. Ma, noi, abbiamo realmente bisogno di tutto questo trambusto? Vi siete accorti di come siamo noi a creare i problemi? Ci sono dei fatti che accadono, questa è una cosa, poi ci sono i problemi che noi mettiamo sopra i fatti, e questa è altra cosa.

Siamo pieni di preoccupazioni e paure. Anche questo è un fatto. Vorrei porvi una domanda: cosa fareste se non doveste lottare sempre contro qualcosa? Contro il dolore, le difficoltà che incontrate, la malattia…

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La mente umana è un formidabile strumento, forse il più complesso tra quelli che costituiscono la vita dell’uomo. Stiamo cercando di vedere se è ancora quell’organo al servizio dell’intero organismo, come dovrebbe essere o se siamo noi ad essere diventati suoi strumenti.

Ci stiamo interessando di vedere cosa accade in noi quando proviamo dolore, rabbia, amore, invidia, e quant’altro ci trascina nel vortice dell’esistenza. Dobbiamo vedere dentro di noi direttamente, se siamo noi gli artefici di quello che ci accade oppure no. Formulo la domanda in altro modo : “Sono realmente soddisfatto di come stanno andando le cose nella mia vita, oppure sento un disagio in fondo a me stesso?”

Vi siete accorti di come siamo noi a perpetuare il dolore? Forse no. Non è così semplice. Naturalmente non stiamo negando le circostanze che portano dolore nella nostra vita. Stiamo solo dicendo che quelle circostanze sono dei fatti. Fatti ai quali dobbiamo dare risposta con l’azione. Stiamo dicendo che se al fatto oppongo il mio desiderio o la mia aspettativa, la mia rassegnazione o la mia paura, cosa sto facendo? Non sto forse muovendomi nel passato o nel futuro? Non sto forse opponendo al fatto la struttura psicologica che mi caratterizza? Ma non è questa stessa struttura che si oppone a lasciare andare quel fardello di dolore ? Riesco a vedere tutto ciò oppure sto ancora credendo che la causa del mio disagio proviene dall’esterno ?

Esiste un modo per liberarmi dalla schiavitù di questa condizionata struttura psicologica? Cosa accade se, davanti ad un fatto, qualunque esso sia, agite prontamente, con mente concentrata e tranquilla, senza separarvi dal fatto stesso, offrendo il meglio di voi alla situazione fino al punto da non sapere nemmeno più chi siete? Appare il dolore? Appare la negazione? Appare il desiderio? Infine, appare la paura? Vi dico di no. C’è il fatto e ci siete voi. Non aggiungete altro. L’altro che aggiungete, qualunque cosa sia, è di troppo. Tra voi e il fatto non ci deve essere nulla.

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Quando veniamo al mondo, la prima esperienza che facciamo è quella della sofferenza. Dobbiamo imparare in fretta a respirare, veniamo in contatto con la luce, i suoni, il freddo e il caldo…….abbiamo bisogno di strillare per fortificare le corde vocali, muscoli e ossa devono allungarsi e tante altre cose che costituiscono la crescita. Poi vi è il dolore dell’incomprensione, le prime esperienze e via di seguito. Questo vale per tutti, poi ci sono le caratteristiche ereditarie, le malattie, l’ambiente familiare, i rapporti, le prime sconfitte e delusioni. Un elenco immenso di difficoltà che creano dolore. Senza voler considerare l’ambiente e le circostanze della nostra nascita, anche la storia dell’intera umanità pesa sulle nostre spalle….insomma, mi pare evidente di come un “corpo di dolore” si costituisca all’interno della nostra struttura psicologica. Senza che ve ne accorgiate questo “corpo di dolore” vi trascinerà verso il basso in tutte le cose che farete. Nei rapporti sentimentali, in quelli con i figli, gli amici, nel lavoro e anche nello svago. In questo modo risponderete sempre alle circostanze, influenzati da quel “corpo di dolore” che è in voi.

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Forse, per vederci più chiaro, dovremmo prendere più spazio. Come possiamo darci più spazio? Invece di concentrarci sui problemi che crediamo di avere, dovremmo cercare chi genera i problemi.Per darci più spazio intendo: prendere distanza dai pensieri che si manifestano, prendere distanza dai desideri che sorgono. Questo non significa non avere pensieri o desideri, solo prenderne distanza. Prendere distanza è vedere più chiara la faccenda.

Le opinioni che abbiamo su questo e quello condizionano il nostro modo di agire.

Seguendo le nostre inclinazioni che si basano su convinzioni, speranze, e il dolore nascosto da qualche parte in noi, prendiamo decisioni e agiamo. Ma sarebbe più opportuno dire: reagiamo. Noi siamo gli esecutori, ma il mandante chi è? Il desiderio, il pensiero, la sensazione, tutto fa capo a quel fantasma che chiamiamo ego. Questo è il mandante. Ma il mandante è buono o è cattivo ? Nessuno dei due. Il mandante è semplicemente disorientato dal continuo movimento della mente .

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Le idee che ci facciamo su ogni cosa ci impediscono di vedere e di ascoltare la cosa in sé, così com’è.

Vedete come etichettiamo tutto! Siamo talmente condizionati dalle etichette, che non scorgiamo più il prodotto che ci viene servito. Non vi accorgete che cambiando l’etichetta vi stanno fregando un’altra volta. Vi servono qualcosa di vecchio con l’etichetta di ciò che è nuovo.

Vengono usate parole nuove per servirvi “roba” scaduta da tempo. Togliete l’etichetta che avete messo addosso a vostra moglie, a vostro marito o ai vostri figli e guardate il fatto reale, la persona che vi sta vicino.

Scoprirete una cosa straordinaria! Proprio quando perdete una persona cara vi accorgete quanto era in realtà preziosa per voi.

Cos’è accaduto? Avete gettato quell’etichetta e vi è rimasto quello che era la persona per voi. Ecco il segreto di Pulcinella… A nessuno piace essere etichettato, e se lo avete fatto per anni con il marito, la moglie, i figli, i genitori, allora state certi che prima o poi quella persona si ribellerà e vi abbandonerà. Questo non significa che non vi ama più, ma solo che era stanco di portare quell’etichetta. Togliete i pregiudizi che avete cristallizzato sulle cose e sulle persone e vedrete come l’ordinario diventa straordinario. Credete sia facile? Credete sia difficile? No. Provate. Fate. Non pensate. Non giustificate. Fate. Togliete quell’etichetta e amate la persona che vi sta davanti, senza passato, senza futuro, senza nulla che si interponga tra voi e ciò che amate.

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Quante volte vi sarà capitato di sentire una voce dentro la vostra testa dire: “Ah! Quella cosa la conosco! Quella cosa la so! “ Ma sappiamo solo qualcosa di quello che è stato, qualcosa di quel che avete ascoltato, non di ciò che sta lì davanti a voi… “Cosa c’è di nuovo sotto il sole? Nulla!,” dice Quelet, profeta del Vecchio Testamento. “Tutto ciò che ho visto sotto il sole è solamente vanità.” Forse Quelet asseriva il vero, ma è anche vero che nel qui ed ora, nell’attimo presente, ogni cosa è splendente e pura così com’è. Perché? Perché non c’è mente, non c’è tempo, non c’è spazio delimitato dalla coscienza.

Se non c’è tempo, se non c’è spazio delimitato dalla coscienza, dove potrà mai insinuarsi il male?

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La ragione che ci spinge verso la schiavitù, verso l’impasse del bene e del male, è che a questa struttura psicologica non piace il presente.

Dobbiamo chiederci il perché di questo. Non ci piace la nostra vita.

La nostra vita è la vita, questo è un fatto, non è quello che crediamo essere.A noi esseri umani piace il futuro. Ad esso affidiamo ogni nostra speranza. E se siamo depressi invece, ci rifugiano nel passato, nei ricordi di quello che è stato. Perché questa mente, così abile, così terribilmente fertile ed evoluta, non è in grado di arrestare la sua corsa? Vi siete accorti cosa accade quando la notte non riuscite a prendere sonno ? Le voci nella testa si susseguono senza fine e il corpo reagisce a questi stimoli. Se state pensando a qualcosa di terribile, il corpo inizia a sudare, i muscoli si tendono, tutto il corpo reagisce, rispondendo fedelmente alla richiesta della mente. E’ così che si soffre d’insonnia: non si riesce a staccare la spina che alimenta la mente. Pure, quando ci capita di fare realmente qualcosa, quando l’azione è senza calcolo, senza scuse, quando scaturisce da qualcosa che sentite essere più profondo del pensiero, allora ditemi, non vi sentite forse felici ed entusiasti? Certo è così. E’ così per tutti.

Quando non è così si da vita

Qsoepunpasonis ddtoai cnaoollln’pe asè.s cEeor’ seqì.u, sail cdoàs vai ctah ea din utons fsailcsao i ml coodrpo od ei vlaiv mereen ftoen, dpaetroc hséu iv rai cporrodpir, isou nlleel slap edriraenzzieo,n seu i

A mio avviso non c’è alcuna verità nascosta o svelata, ci sono solo superstizioni che servono a tenere ben salda la sedia del potere.

Voi sostenete quel potere. Come?

Nutrendo fiducia in quello che gli altri vi dicono credendo senza sperimentare, affidando la vostra vita ad un futuro che proviene dal passato. Lo sostenete perché non avete fiducia in voi stessi, non credete in quel che siete e in quel che fate.

Lo sostenete perché non credete. Avete bisogno di un oggetto a cui fare riferimento, in cui sperare, di cui ricordarvi.

Credere è invece senza oggetto, è il mirabile flusso di energia che tutto avvolge e nel quale siamo immersi. Figli e padri non respirano forse la stessa aria? Non ci è stato detto che spartiscono lo stesso pane ? Eppure, si ha sempre paura di qualcosa… e lo spirito rimane solo un concetto astratto.

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Quando ci sediamo incrociando le gambe ed assumendo la posizione simile a quella tenuta dal Buddha, facciamo la stessa cosa che ha fatto Lui : Lasciamo andare la paura a se stessa, lasciamo andare la brama a se stessa, lasciamo andare la vanità a se stessa, lasciamo andare l’avidità a se stessa, lasciamo andare il desiderio a se stesso. Di cosa abbiamo bisogno quando ci sediamo nei nostri ritiri?

Di niente.

E perché non si ha bisogno di niente?

A questa risposta dovrete arrivare da soli.

Grazie.

Maestro zen Taido Kengaku Pinciara

la fonte http://www.komyoji.eu/home.htm

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A002foto by: Luis Ferreira Fotografia

La vita fa male perché per vivere
c’è bisogno di essere intelligenti,
attenti.

Se vivi in maniera inconscia
la vita è destinata
a essere un’esperienza dolorosa,
un’agonia.

La vita può essere anche estatica,
ma solo se sei sveglio,
consapevole.

La vita è un’opportunità,
ma richiede moltissimo.

È una sfida, è un’avventura,
un’avventura momento per momento
in un territorio senza mappe.
(Osho)

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La solitudine

SOLITUDINE

SOLE DELL’ANIMA

Senza-titolo-1

Premessa

In questo contesto non si intende trattare il caso di chi  per motivi sociali e politici o di grave disagio è costretto all’esperienza della solitudine – che richiederebbe un altro approfondimento –  ma del concetto di solitudine.

Scrive Gibran nel poema SABBIA E SCHIUMA

La solitudine è una tempesta silenziosa

che distrugge i nostri rami secchi,

e tuttavia spinge le nostre radici viventi a fondo

nel cuore vivente della terra vivente

E’ la più bella immagine di Saturno, pianeta dell’essenza, dell’equilibrio perfetto, della canalizzazione attraverso cui l’energia fluisce per creare, dall’istinto, intelligenza e sapienza.

La parola solitudine composta dalla radice solis, propone un percorso nella direzione del sole interiore. Per rivolgere lo sguardo all’interno occorre che l’esterno sia buio e silenzioso: è  la condizione che l’anima cerca in momenti particolari, prima che un cambiamento, attivato spesso da una crisi, abbia inizio e, in effetti, crisi significa cambiamento.

Alla periferia della consapevolezza, dove normalmente ci si trova, questa situazione di crisi – cambiamento – ricerca interiore non è per niente piacevole, perché è accompagnata da uno stato d’animo di disagio e insofferenza, quando non addirittura sofferenza; motivo per cui si tende a sfuggirla il più possibile. Fuga, in realtà ancor più generatrice di ansia e frustrazione, che riporta incessantemente al punto di partenza: è un’equazione a ripetere interrotta solamente dalla resa. A cosa? Alla propria anima, a sé stessi, alla voce interiore. Ecco allora come, attraverso la resa all’anima, la solitudine diventa uno stato di particolarissimo interesse rivolto all’ascolto del Sé sconosciuto, reso possibile dall’assenza di qualsiasi disturbo, e tutto o quasi è disturbo!

Quando si riesce a raggiungere e abitare uno stato di pace dove il tempo è sospeso, la capacità di ascolto è totalmente purificata e noi possiamo indurci ad accogliere la risposta alla domanda che, come Anima, avevamo formulato.

La solitudine ha naturalmente diverse sfumature, e si arriva ad apprezzarla solo contemplandola ai livelli nobili a cui è arrivata dopo essere passata al vaglio negli strati più remoti.

Nella mia rivisitazione del mito di Penelope, la regina, nel suo peregrinare, passa dalla solitudine – quale effetto di lontananza e separazione, di perdita del contatto con l’interiorità, di rinuncia nell’aderire al proprio modo di esistere – alla solitudine come scoperta della meraviglia del vivere.

È la rivoluzione della rinascita: dalla debolezza alla forza, dalla paura al coraggio, dalla tristezza alla gioia, dal turbamento alla pace.

In questa solitudine sacra scopre di essere non isolata ma unita, non sola ma sostenuta; scopre che tutto ciò che la circonda – e Tutto la circonda – la appoggia.

La solitudine paradossalmente non esiste più. Il significato si trasforma e acquista un valore di totalità: la goccia appartiene all’acqua nelle forme differenti del rigagnolo sullo filo d’erba o sul vetro della finestra, del ruscello, del lago, dell’oceano. Nessuna goccia è l’unica e ognuna è partecipe della parte più estesa della superficie terrestre, e questa estensione la colma: è una goccia pervasa d’oceano.

Ma qualche volta la goccia non lo sa o la ha dimenticato, e questa dolorosa perdita di memoria si chiama solitudine. L’esigenza di rintracciarne l’inconsapevole senso di appartenenza è stimolata dalla necessità di uscire dall’angoscia e dal dolore.

La solitudine remota è dimenticanza – appunto remota – completamente radicata e assimilata nella coscienza umana, tanto da aver assunto la concretezza di uno status specifico dell’uomo.

È normale soffrire di solitudine, sentirsi soli; ma quando con coraggio osiamo scrutarla scopriamo, come dice il poeta, che è una tempesta silenziosa (chi ha mai visto una tempesta silenziosa?)  che distrugge i rami secchi.

Noi non vediamo tempeste silenziose che distruggono rami secchi; eppure, quando è giunto il momento, c’è qualcosa nel mondo che fa gialle le foglie verdi e distrugge i rami secchi e, ugualmente sempre in silenzio,  dal seme fa nascere il fiore, la pianta e l’albero con i suoi rami, verdi prima secchi poi …

Ed è così che la tempesta silenziosa intrisa di forza e abitata dalla Vita spinge le nostre radici vive in una terra viva dove  batte il cuore dell’umanità.

L’umanità è l’oceano degli uomini e possiede un cuore grande che batte scandendo un ritmo al quale il piccolo cuore dell’uomo spontaneamente si sintonizza – quando l’uomo non gli impedisce di rispondere – partecipando alla grande sinfonia offerta dalla terra grata all’universo che l’accoglie, la sostiene, la ama; perché la solitudine è un percorso solitario dal buio alla luce, dall’ignoranza alla sapienza, dalla paura alla pace, dalla parzialità all’anima, dalla morte alla vita.

Elisabetta Mastrocola

www.scrittura-creativa.it

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001-321

foto Abilio Dias – http://www.olhares.com

<Le redini della propria vita>

(di Maria Castiglione)

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Ognuno porta in sé il seme di ciò che può diventare. Crescendo, spesso, finiamo col dimenticare chi siamo, di cosa siamo capaci e “ci peridiamo per strada”. Ma ritrovarci e realizzare il nostro progetto di vita è possibile.

Il “piccolo” dell’uomo nasce e da subito dimostra il suo temperamento giacché nei primi mesi di vita e anche nei primi anni, il suo contatto con il Sé è stretto e fluido ed egli manifesta peculiarità, attitudini, qualità, vocazioni le quali – se si prestasse loro la dovuta attenzione e il rispetto- sarebbero i sicuri segnali del suo progetto di vita.

Poi, come in tutte le favole, qualcosa succede e sulla strada del piccolo eroe compaiono gli ostacoli; quando è fortunato non si tratta di grandi violenze, ma di piccole continue interferenze col suo naturale funzionamento. Si sa, il bambino deve essere educato, i genitori da subito si sentono investiti dal sacro compito. Ciò che nessuno ha insegnato loro è che non dovrebbero assolutizzare niente e far notare al bambino che quanto gli comunicano è ciò che nella loro famiglia si trasmette di generazione in generazione, ma che in altre famiglie si fa in un altro modo e offrire esempi di un modo diverso di vivere e al bambino fare intravedere la possibilità di cambiare – quando sarà abbastanza grande da poterlo fare- ciò che riterrà opportuno senza incorrere nella disapprovazione di coloro che ama.

E invece a poco a poco i “no”, le ingiunzioni”, i “devi” lo allontanano dalla sua vera natura e lo disorientano, sì proprio così perché il Sé è essenzialmente orientamento, agisce come un radar che sa quali onde catturare per cui quando il piccolo viene allontanato dalla sua essenza, invece di andare nel mondo tranquillo e sicuro, annaspa, incespica di continuo, avanza tentoni come chi è afflitto da un handicap. E in molti casi il mondo diventa nemico e nascono paure di ogni tipo.

Quel bambino cresce conformandosi o ribellandosi ma non seguendo se stesso; a un certo punto però, diventato adulto, entra in crisi, l’anima bussa, chiede il conto.

Questo ipotetico cammino ci riguarda un po’ tutti, molti di noi in un certo momento della vita sentiranno un’intensa insoddisfazione e inizieranno quell’opera di riorientamento che impegnerà gran parte delle nostre forze e ci porterà a ritornare in noi stessi stesso e a ridefinirci. Guadagneremo un modo di stare nel mondo più consono alla nostra natura e di conseguenza serenità e gioia.

Da dove cominciare?

1. Tagliare i codici che hanno informato la nostra vita, ovviamente se l’hanno resa poco godibile. E’ disimparare, è disfarsi di cattive abitudini, dei maestri, è partire da sé, per passare da un’etica impersonale appresa a un’etica personale del volere e della responsabilità, per scoprire il mondo dei propri valori individuandoli a partire dai propri bisogni, desideri e ideali. Questa è la strada per individuarsi, differenziarsi, vivere.

Partire da sé è lottare per affermare le proprie posizioni perché tra i nostri” vicini” ci sarà sempre qualcuno che tenterà di depistarci, manipolarci in nome magari dell’amore o per fini egoistici. In tutti i miti l’eroe afferma se stesso lottando, superando numerosi ostacoli sul suo cammino; la via dell’eroe è la metafora di ogni vita che è forte e vuole risposte forti da ogni uomo e da ogni donna.

2. Taglio ma anche piega: nel lavoro di riordino della nostra personalità è basilare il “ritorno a Casa” ovvero piegarsi verso se stessi e,quasi atto medico, aver cura di sé, capire la forma che si desidera darsi, la forma che dirà dei nostri più intimi e personali desideri.

3. Interrogare continuamente l’esperienza. Importanti le domande empiriche che sapremo rivolgerci. Ogni volta che un evento parla il linguaggio del disagio, provare ad estrarre dalla situazione il sentimento particolare che si è provato invidia, gelosia, vergogna e chiedersi: Quando e perché lo incontro, chi o che cosa mi evoca un tal sentimento? Che ha a che fare con la mia vita?

Quando un evento parla il linguaggio del benessere si fa la stessa cosa in modo da rendere ripetibile a volontà, e non casualmente, l’esperienza. Per le cose che avvengono per caso chiedersi: Ma quante cose avevo prima lasciato accadere?
Per le cose che facciamo deliberatamente senza però ottenere gli effetti desiderati: Mi sono interrogato sulle mie motivazioni e l’intenzione qual era?

4. Coltivare le figure del cuore ovvero i valori personali di cui si diceva sopra e poi quelle configurazioni fatte di pensieri, sentimenti che sono il distillato, il portato di esperienze benefiche e ancora: nello spazio della nostra interiorità ci sono varie immagini di noi,alcune sono purtroppo costrittive e ostacolanti il nostro sviluppo, altre ci regalano invece un senso di espansione e libertà, fare di quest’ultime figure del cuore, e cioè richiamarle spesso alla coscienza, arricchirle, farne tesoro.

Tanto altro ancora si può fare, l’importante è non dimenticare che l’identità è in cammino per tutto il tempo del nostro percorso esistenziale. Ciò dà speranza.

fonte: postato il Lista Sadhana – Guido da Todi

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Dai Colore alla tua Vita
Il segreto per vivere meglio

Un invito a compiere il viaggio più bello: vivere una vita piena e autentica, di successo. Se non possiamo cambiare la direzione del vento… possiamo sempre regolare le vele e raggiungere la meta prefissata!

Sviluppare le nostre qualità e realizzare i nostri desideri più profondi non è questione di fortuna. Si tratta di un lungo cammino, o meglio di un viaggio, fatto di preparazione e allenamento, sconfitte e vittorie. Non tutti, non sempre, hanno il coraggio o anche solo la motivazione per affrontarlo perché questo percorso richiede costanza, ma soprattutto una valida guida che “spiani la strada”.

Questo libro insegna attraverso divertenti esercizi ad acquisire la tecnica vincente per abbandonare la vecchia visione di noi stessi, sentirsi liberi di intraprendere il cambiamento e crearsi un proprio percorso di vita vincente. A volte costruire obiettivi ambiziosi ci distrae da ciò che conta veramente: il presente.

L’autore ci invita a non correre questo rischio: la nostra esistenza merita di essere vissuta momento per momento, godendo ogni attimo del percorso. Tutto è già in noi; le nostre menti e i nostri cuori sono i porti da cui salpare.
lo trovi su Macrolibrarsi qui

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