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Posts Tagged ‘comprensione’

001-25

(di Ajahn Sucitto)

[per libera distribuzione]

(Tradotto da Letizia Baglioni)

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Pur avendo insegnato per quarantacinque anni, il Buddha affermava che c’era tutta una serie di cose che aveva compreso ma non insegnato. E perché non le aveva insegnate? Perché saperle non era indispensabile ai fini della comprensione cui attribuiva il massimo valore: ossia, che il modo in cui l’individuo ordinario sperimenta la propria vita contiene un elemento di non-soddisfacibilità, e che questa insoddisfazione può essere eliminata. In breve, che l’essere umano è in grado di sperimentare un sostenuto sentimento di benessere, o di felicità, indipendente dalle circostanze.

Al Buddha non interessava fondare una nuova religione o radunare un vasto seguito di discepoli, quanto piuttosto aiutare chi lo desiderasse a conseguire il semplice obbiettivo del benessere. Nessuno ha bisogno di essere ‘convertito’ a questa causa, perché, a ben pensarci, è quello che già cerchiamo attraverso ogni sorta di progetti spirituali e materiali. In effetti, il Buddha esortava a non seguire i suoi consigli senza prima sottoporli al vaglio dell’esperienza personale. Solo attraverso la ricerca e il costituirsi di proprie autonome certezze è possibile realizzare quella verità che può assicurarci una felicità indipendente. Limitarsi a credere – o a non credere – ciecamente, significa dipendere da un sistema di assunti circa ciò che dovremmo o potremmo essere, circa la natura del mondo o ciò che speriamo (o temiamo) ci accada al momento della morte.

A ben riflettere, si può dire che gran parte della nostra realtà sia fatta di supposizioni. Supponiamo di abitare un corpo fisico che abbandoneremo al momento della morte; ma in realtà, dove sono ‘io’ in questo corpo? Se sezionate un corpo, non ci trovate dentro nessuno! Né questo ‘individuo interiore’ è in grado di vedere il corpo dall’interno, sebbene si sperimenti di volta in volta come soggetto che genera pensieri e stati d’animo o come oggetto che riceve tutta una serie di impressioni sensoriali. Intrappolato in questa posizione, l’‘individuo interiore’ è tuttavia incapace di garantire che questo costante flusso in entrata e in uscita sia gradevole, interessante o perfino gestibile. E questo è una grossa fonte di tensione, bisogno e frustrazione.

Ciò che un Buddha sa è che questo singolare ‘io’ non potrà mai essere soddisfatto: anche un’impressione piacevole tende alla lunga a diventare noiosa. Difatti l’esperienza del piacere nel suo complesso si basa su l’una o l’altra di due modalità percettive transitorie: quella secondo cui ‘io’ vengo attratto e mi unisco a ciò che è piacevole, o quella secondo cui ‘io’ sono separato da ciò che è spiacevole. Tuttavia, quando la coscienza si unisce a un oggetto piacevole è privata dello spazio che le consente di goderne: da cui il bisogno di avere più piacere. Gran parte del nostro cosiddetto piacer si intreccia all’anticipazione del piacere futuro o al ricordo del piacere passato. D’altro canto, le cose spiacevoli continuano a succederci, malgrado i nostri sforzi per proteggerci; e lo sforzo di conservare sicurezza e benessere diventa di per sé un dispiacere. La felicità duratura non sembra derivare dal conseguire il piacere ed evitare il dispiacere; e dunque, è mai possibile trovare la felicità in qualcosa che il senso dell’‘io’, con i suoi bisogni e giudizi,esperisce?

Si potrebbe obbiettare che un simile ragionamento porta al pessimismo. Dato che noi raramente o mai facciamo esperienza di qualcosa liberi dal senso dell’‘io’, una drastica liquidazione della ‘mia’ dimensione esperienziale non può che suonare deprimente. Ma il Buddha insegna a trovare la felicità in questa vita, con un corpo, sentimenti, pensieri – liberi però dal senso dell’io. Fondamentalmente ciò si realizza attraverso uno stile di vita e un tirocinio volto a equilibrare e rafforzare la mente. L’esperienza del Buddha fu che non c’è bisogno di distruggere l’‘io’: così come un miraggio svanisce quando vengono meno le condizioni che lo producono, allo stesso modo il senso dell’io – che ha la stessa concretezza di un miraggio – si dissipa quando le condizioni che lo sostengono non vengono più generate. È una sorta di profondo rilassamento, di riposo – il Buddha lo definiva ‘fermarsi’ – che dona alla mente la quiete di uno specchio d’acqua e al tempo stesso una straordinaria sensibilità.

Ciò richiede una profonda trasformazione delle nostre abitudini, e forse molti anni di pratica. Cosa ci dice che tutto questo sia vero o possibile? Provate per qualche giorno: la pratica offre un saggio delle qualità della meta. Anche se non abbiamo raggiunto quella profonda liberazione di cui parla il Buddha, se ci scopriamo a praticare con gioia possiamo confidare che il Sentiero corrisponda alle nostre aspirazioni.

La felicità della pratica, e della meta, si può riassumere in tre aspetti: la felicità delle buone azioni, la felicità della chiarezza e della quiete, la felicità della comprensione. Se agiamo con una mente pura, con onestà, non-violenza e amore, vivremo liberi dal rimorso. Avremo buoni amici e nutriremo fiducia e rispetto per noi stessi. Indipendentemente dalla buona o dalla cattiva sorte, avremo una fonte di felicità slegata dagli alti e bassi del mondo. In secondo luogo, se attraverso la meditazione impariamo a educare la mente alla concentrazione, alla quiete, a essere pienamente ricettiva sia a quanto avviene che alla coscienza entro cui avviene, il risultato sarà una felicità della medesima natura. Invece di essere trascinata di qua e di là, vuoi dall, vuoi dalla noia, vuoi dalla depressione, la mente gode di un proprio autonomo equilibrio. Ha una forza e una calma naturali che ci accompagnano nei cambiamenti della vita.

Ma la felicità più grande viene dalla comprensione. Con una mente più stabile, possiamo esaminare le cause interne del nostro bisogno e della nostra ansia. Una mente che è stata educata in termini di attenzione e di calma riconosce che le cause latenti di insoddisfazione hanno origine tutte da un ‘cercare di’. Tentare di rimediare al passato, cercare di anticipare il futuro, cercare di ottenere, cercare di eliminare, cercare di sapere quello che non sappiamo, e via dicendo. Questo “cercare” suscita il senso dell’io, e al tempo stesso ne condiziona l’espressione nel futuro. Con l’equilibrio e la fiducia che le altre forme di felicità ci consentono, diviene possibile “lasciar andare”, rilassarci e accostarci alla vita così com’è nel momento presente. Allora il senso di oppressione, il bisogno e il dubbio non hanno più ragione di essere.

A volte c’è un modo tutto buddhista di attaccarsi alla sofferenza, magari pensando che “tutto è sofferenza” o che la pratica sta andando bene se uno si scopre pieno di conflitti emotivi. Certo, non ci si può aspettare che l’introspezione riveli sempre un quadro di armonia, però a volte possiamo perfino dimenticarci di notare il nostro benessere, o considerarlo irrilevante: quel che conta è la sofferenza. Ma l’intuizione del Buddha fu che l’infelicità non è “quel che conta”, è un’aggiunta. Nella sua natura originaria, la mente è luminosa e non turbata. Noi lo dimentichiamo, e ci perdiamo nei sogni. Pieno di compassione, il Buddha ci invita a svegliarci, e ci offre i mezzi per andare a vedere di persona.

tratto da Lista Sadhana – Guido Da Todi

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Foto di nuno chacotohttp://www.olhares.com

Fluire con la vita si racchiude in poche parole:
‘Tutto passa e niente è realmente importante’.

Questo è il perfetto atteggiamento mentale per prevenire l’infelicità e vivere rilassati. Con la comprensione ultima si cammina sul sentiero dell’amore incondizionato e senza aspettative.

Fluire con la vita non significa essere indifferenti a quello che ci accade, ma apprezzare in pieno la gioia che il momento ci offre e accettare anche il dolore, consapevoli che nessuno dei due durerà per sempre. Fluire con la vita implica vivere accettando i cambiamenti e quindi comporta totale accettazione del volere di una forza superiore al nostro personale e limitato libero arbitrio, che si dibatte tra mille preferenze. Fluire come l’acqua di un fiume in piena vuol dire lasciarsi andare, accettando senza resistenze il disegno divino, senza mai permettere alla mente di restare coinvolta nel passato o nelle proiezioni di speranze che vorremmo vedere concretizzate nel futuro.

Questo saggio atteggiamento verso la vita consente anche di non rendere l’amore un business, una transazione commerciale in cui si cerca solo di esaminare i nostri vantaggi o quanto una determinata relazione possa ridurre le nostre insicurezze o le paure della solitudine.

Imparando a fluire con la vita, anche l’amore diviene un movimento spontaneo, senza la ricerca spasmodica di attrarre l’attenzione degli altri per sentirsi sicuri o per ricavarne dei profitti.
Attraverso una profonda analisi introspettiva, sorge la totale accettazione che eventi e azioni sono la manifestazione dell’Energia Divina e che non è mai esistita un’entità individuale chiamata Paolo o Anna e tanto meno un’azione individuale. Realizzando questo, si getta la maschera e si rimane nudi come un neonato, ma del neonato si acquisisce anche l’impersonale spontaneità e il relativo non coinvolgimento.
La causa di questo è data dalle relazioni basate sullo spiccato senso di libero arbitrio e individualità, quindi, analizzare a fondo il reale significato dell’immanenza dell’Energia Divina − e che non esiste altro che questa Energia Universale a permeare ogni atomo − è l’unico passo da compiere consapevolmente, ma anche il più laborioso, dato che i condizionamenti della società odierna si basano proprio sull’illusione di questo ‘io’ personale e individualista, ovvero l’ego o la personalità individuale.

La totale accettazione che ogni azione è un avvenimento divino, e non qualcosa compiuto da qualcuno, è alla base della rinascita della pace. Affinché la pace che permea l’universo possa essere riscoperta, ognuno di noi ha il dovere verso se stesso di dedicarsi del tempo, per approfondire cosa ci aspettiamo dalla vita che possa appagarci veramente, dopo aver soddisfatto i bisogni basilari di cibo, vestiti e riparo. Cosa mi rende diverso dal gatto di casa? Questa domanda e la ricerca delle risposte concatenate che scatena significano volersi veramente bene.

La mente oscilla come un’altalena tra le memorie passate e le aspettative future, escludendo il momento più importante, il presente.

La mente crea il tempo e vive di aspettative e memorie.
La mente è un continuo flusso di pensieri e oscilla tra ricordi, proiezioni, rancori, competizioni, speranze e giudizi; la pace prevale invece solo quando la mente tace, ma soprattutto quando smette di cercare e valutare sia i difetti degli altri sia le nostre mancanze. Sono sempre più rare le persone che pensano che tutto sia perfetto ed evitano di emettere giudizi perché consci che ogni attimo è un avvenimento sognato dalla mente divina e che nessuno degli attori di questa grande e infinita soap opera ha la possibilità di commettere errori − se non quando il Regista lo suggerisce − con lo scopo di rendere la trama della commedia più interessante.

La mente vuole essere in controllo, ma essendo impossibile, questo è unicamente causa di eterne frustrazioni.

Non saper fluire con la vita, cercando d’essere sempre in controllo degli eventi e delle conseguenze d’ogni decisione, significa andare contro la natura divina stessa dell’universo e quindi crea solo stress e depressioni. Un futuro incerto che va a sommarsi alle recriminazioni di un passato che non esiste più; i sensi di colpa e l’atavico timore di cadere nel ‘peccato’ rendono l’uomo teso e infelice, mentre ogni cosa accade solo se è la volontà di Dio.

Il vero fluire con la vita comporta una parola ostica alla maggioranza− abbandono − ovvero l’accettazione totale che a muovere ogni pedina e gli eventi della vita è solo un grande disegno a incastro, proiettato e sovrimposto su Se stessa dalla Mente Cosmica, che si manifesta attraverso ognuno di noi, come in un intricatissimo puzzle in cui non esiste niente di personale o individuale.
Il film è già stato girato. Il ‘ciak’ che ha dato inizio a questa lunghissima e intricatissima soap  opera prodotta dalla Mente Cosmica è scattato milioni d’anni fa. Reagire al ruolo affidato a noi attori crea solo inutili tensioni. Sintonizzarci con il suggeritore delle battute è l’unica alternativa che abbiamo. Questo equivale ad agire senza reagire.

Si arriva a sorridere della nostra folle illusione e a vivere serenamente senza alcun bisogno di psicoanalisti solo quando si comprende a fondo il gioco del grande ipnotista: Dio, la Coscienza, o come volete chiamarlo.

A quel punto non vedremo più uscire fazzoletti multicolori, colombe e conigli dal cappello a cilindro perché avremo compreso ogni trucco e potremo finalmente essere il Supremo Ipnotista stesso.

La vita è un gioco che abbiamo sognato quando eravamo consapevoli d’essere Energia Primaria e, scartando i veli dell’ipnosi, possiamo continuare a giocare non come poveri esseri umani che devono ascendere all’infinito ma piuttosto come Dio mascherato da essere umano, che ha scelto di calarsi sul palcoscenico del pianeta terra.
(Sandra Heber Percy)

Biografia e Libri dell’Autore  –   qui

Il sito di Sandra Heber Percy – www.sandraheberpercy.com

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Il primo elemento dell’Ottuplice Sentiero è la Retta Comprensione, che sorge dall’intuizione profonda delle prime tre Nobili Verità. Questa intuizione vi dà una perfetta comprensione del Dhamma, cioè la comprensione che ‘tutto ciò che è soggetto alla nascita è anche soggetto alla morte’. E’ semplicissimo! Non vi sarà difficile capire, razionalmente almeno, che ‘tutto ciò che è soggetto a nascere è anche soggetto a morire’, ma per molti di noi ci vuole parecchio tempo per capire ciò che queste parole vogliono veramente dire, in modo profondo, non solo attraverso una comprensione intellettuale.

L’intuizione è una conoscenza globale che non viene solo dalle idee, non ha a che fare con ‘io penso di sapere’ o ‘mi sembra una cosa ragionevole e sono d’accordo’, ‘mi piace questo modo di pensare’. Questo tipo di comprensione viene dall’intelletto, mentre la conoscenza intuitiva è molto più profonda. E’ una vera conoscenza, in cui non vi è posto per il dubbio.

Questa profonda comprensione nasce dalle precedenti nove intuizioni, per cui vi è una sequenza che porta alla Retta Comprensione delle cose, così come sono, e cioè: ‘Tutto ciò che è soggetto a nascere è anche soggetto a morire ed è non-sé’. Con la Retta Comprensione avete smesso di illudervi che esista un sé connesso alla condizione mortale. C’è ancora il corpo, ci sono ancora i sentimenti e i pensieri, ma essi sono semplicemente ciò che sono – non credete più di essere il vostro corpo, i vostri sentimenti o i vostri pensieri. L’importante è tenere ben presente che ‘le cose sono ciò che sono’. Non stiamo dicendo che le cose non sono niente o che non sono ciò che sono. Sono esattamente ciò che sono e niente di più. Ma quando siamo nell’ignoranza, quando non abbiamo ancora compreso queste verità, tendiamo a credere che le cose siano più di ciò che sono. Crediamo a tutto e ci creiamo un sacco di problemi sugli oggetti della nostra esperienza.

Gran parte dell’angoscia e della disperazione dell’umanità, nasce dalle complicazioni che ci creiamo e queste, a loro volta, nascono dall’ignoranza del momento presente. E’ triste vedere come la miseria e la disperazione dell’umanità siano basate su un’illusione; infatti anche la disperazione è priva di consistenza e di significato. Quando ve ne rendete conto, cominciate a provare una grande compassione per tutti gli esseri viventi. Come si può odiare o portare rancore o condannare qualcuno che è preso in una tale trappola d’ignoranza? Le persone sono portate a fare le cose che fanno dall’errata valutazione che danno alle cose stesse.

Man mano che procediamo con la meditazione, sperimentiamo una certa tranquillità e la mente si calma. Quando guardiamo qualcosa, per esempio un fiore, con mente tranquilla, lo vediamo esattamente come è. Quando non c’è attaccamento – niente da ottenere o niente di cui liberarsi – e se ciò che vediamo, udiamo o sperimentiamo con i sensi è bello, vuol dire che è veramente bello. Non stiamo criticando, confrontando, cercando di possedere; proviamo diletto e gioia nella bellezza intorno a noi, perché non abbiamo bisogno di manovrarla o impossessarcene. E’ esattamente e solo ciò che è.

La bellezza ci riporta con la mente alla purezza, alla verità, alla beatitudine ultima. Non dobbiamo vederla come una fascinazione che ci può ingannare. ‘Questi fiori sono qui solo per attirarmi con la loro bellezza e poi ingannarmi’; questo è un atteggiamento da meditatore arcigno! Quando guardiamo una persona del sesso opposto con cuore puro, ne apprezziamo la bellezza, senza il desiderio di venirne in contatto o di possederla. Possiamo godere della bellezza della gente, sia uomini che donne, quando non vi è un interesse egoistico o un desiderio. C’è solo onestà: le cose sono come sono.

E’ questo ciò che intendiamo per liberazione, o vimutti in pali. Siamo liberi dalle distorsioni che corrompono la bellezza intorno a noi, così come i nostri stessi corpi. Eppure può capitare che la mente sia così corrotta e negativa, così ossessionata, che non riesce più a veder le cose così come sono. Se non abbiamo la Retta Comprensione, vediamo tutto attraverso filtri e veli sempre più fitti.

La Retta Comprensione va sviluppata attraverso la riflessione, usando l’insegnamento del Buddha. Il Dhammacakkappavattana Sutta è già di per sé un interessante insegnamento da contemplare e da usare come base per la riflessione. Possiamo considerare anche altri sutta tratti dal Tipitaka, come quelli che espongono la dottrina dell’origine condizionata (paticcasamuppada). E’ un argomento molto interessante su cui riflettere! Se riuscite a contemplare questi insegnamenti, vedrete molto chiaramente la differenza tra il vero modo di essere delle cose nel Dhamma e il punto dove noi vi inseriamo la nostra illusione. Ecco perché dobbiamo stabilizzarci nella consapevolezza cosciente delle cose così come sono. Se c’è la conoscenza delle Quattro Nobili Verità c’è il Dhamma.

Con la Retta Comprensione tutto è visto come Dhamma; per esempio, siamo seduti qui… Questo è Dhamma. Non pensiamo a questo corpo e mente come ad un individuo con tutto il suo bagaglio di opinioni e idee, con i suoi pensieri e reazioni condizionate, basate sull’ignoranza. Riflettiamo invece su questo momento: ‘E’ come è. E’ Dhamma’. Portiamo la mente a comprendere che questo corpo fisico è semplicemente Dhamma. Non è un sé, non è personale.

E cerchiamo di vedere come Dhamma anche la sensibilità che ci viene dal corpo, invece di prenderla come una cosa personale: ‘Sono sensibile’ o ‘non sono sensibile’. ‘Non sei delicato nei miei riguardi’. ‘Chi è più sensibile?’… ‘Perché proviamo dolore? Perché Dio ha creato il dolore? Perché non ha creato soltanto il piacere? Perché c’è tanta miseria e sofferenza nel mondo? Non è giusto! La gente muore e ci dobbiamo separare da coloro che amiamo; è uno strazio terribile’.

Non vi è Dhamma in questo atteggiamento. E’ solo un punto di vista: ‘Povero me. Non mi piace. Non voglio che vada in questo modo. Voglio felicità, sicurezza, piacere e tutto il meglio di tutto. Non è giusto che io non ce l’abbia. Non è giusto che i miei genitori non siano stati degli arahant quando mi misero al mondo. Non è giusto che non eleggano mai un arahant come Primo Ministro! Se ci fosse veramente giustizia eleggerebbero un arahant come Primo Ministro!’

Enfatizzando questo senso di ‘non è giusto, non è corretto’ fino all’esagerazione, cerco semplicemente di farvi capire come noi ci aspettiamo che Dio crei tutto in funzione nostra e non pensi ad altro che a renderci felici e sicuri. E’ ciò che spesso la gente pensa, anche se non lo ammette apertamente. Ma quando riflettiamo, vediamo che ‘è come è. Il dolore è così e anche il piacere è così. La consapevolezza è così’.

Quando riflettiamo, contempliamo la nostra stessa condizione umana così com’è. Non la assumiamo più a livello personale né rimproveriamo gli altri perché le cose non vanno come noi vorremmo o ci piacerebbe che fossero. Sono come sono e noi siamo come siamo! Vi potreste chiedere perché non siamo allora tutti uguali, con la stessa rabbia, con la stessa avidità, con la stessa ignoranza, senza variazioni o differenze. Sebbene si possa riportare l’esperienza umana a poche situazioni basilari , ognuno di noi ha il proprio kamma con cui rapportarsi – le proprie ossessioni e tendenze, che sono sempre diverse in quantità e qualità da quelle degli altri.

Perché non possiamo essere tutti uguali, avere tutto come gli altri ed assomigliarci tutti? In un mondo siffatto, niente sarebbe scorretto, non ci sarebbero differenze, tutto sarebbe assolutamente perfetto e non ci sarebbero disparità di sorta. Ma quando riconosciamo il Dhamma, vediamo che, nel regno condizionato in cui siamo, neanche due cose possono essere identiche. Anzi, sono molto differenti, infinitamente variabili e cangianti, e più cerchiamo di renderle conformi alle nostre idee, più ne rimaniamo frustrati. Anche se cerchiamo di creare degli esseri e una società che si adattino all’idea che noi abbiamo di come dovrebbero andare le cose, finiremmo sempre per essere frustrati. Ma se riflettiamo, capiamo che ‘ogni cosa è così com’è’, che questo è il modo in cui le cose devono essere – e che possono essere solo così.

Questa non è una riflessione fatalista o negativa; non è l’attitudine di chi dice ‘questo è così com’è e non c’è niente da fare’. Al contrario, è un atteggiamento positivo, che accetta il fluire della vita per ciò che è. Possiamo accettare quello che capita, anche se non è ciò che avremmo desiderato, e trarre insegnamento dalla situazione.

Siamo esseri coscienti, intelligenti, con capacità di ricordare e possediamo un linguaggio; nei millenni passati abbiamo sviluppato il ragionamento, la logica e l’intelligenza discriminante. Quello che dobbiamo ora fare è pensare a come usare queste capacità per realizzare il Dhamma, piuttosto che prenderle come acquisizioni personali o addirittura farne dei problemi personali. C’è gente che, avendo sviluppato un’intelligenza discriminativa, finisce per volgerla contro di sé, diventando eccessivamente critici verso se stessi fino al punto di odiarsi. E questo perché le nostre facoltà di giudizio tendono a focalizzarsi sul lato negativo di ogni cosa. Tendiamo ad usare il giudizio discriminativo per vedere quanto questo sia diverso da quello. E quando lo applicate a voi stessi, come va a finire? Ne risulta una lunga lista di difetti e di sbagli che vi rendono completamente irrecuperabili!

Invece, quando sviluppiamo la Retta Comprensione, usiamo l’intelligenza per riflettere sulle cose e contemplarle. E usiamo anche la presenza mentale, sempre aperti al modo in cui ogni cosa è così com’è. Quando riflettiamo così, usiamo sia la saggezza che la consapevolezza. Cerchiamo quindi di adoperare la nostra capacità di giudizio con saggezza (vijja) invece che con ignoranza (avijja). Questo insegnamento sulle Quattro Nobili Verità è un aiuto affinché usiate la vostra intelligenza – l’abilità a contemplare, riflettere e pensare – in modo saggio, per non diventare auto-distruttivi, avidi o pieni di odio.

Estratto del fascicolo “Le quattro nobili verità” (del Venerabile Ajahn Sumedho)

Versione completa alla pagina http://santacittarama.altervista.org/4nv.htm

© Associazione Santacittarama, 1999. Tutti i diritti sono riservarti.

PUBBLICATO SOLTANTO PER LA DISTRIBUZIONE GRATUITA.

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226Sri Daya Mata
SOLTANTO AMORE

Casa Editrice Astrolabio – Roma

Prefazione

di Chakravarthi V. Narasimhan
Sottosegretario Generale agli Affari e al Coordinamento
Inter-dipartimentali delle Nazioni Unite

Nel 1967 ho letto per la prima volta l’Autobiografia di uno yogi e sono venuto così a conoscenza di Paramahansa Yogananda e del movimento della Self-Realization Fellowship. Da allora ho seguito  da vicino l’opera di questa organizzazione. Ho avuto il privilegio di incontrare diverse volte Sri Daya Mataji e alcuni dei suoi più devoti collaboratori. Ho inoltre avuto l’opportunità di visitare il centro della Self-Realization Fellowship di Encinitas, in California, dove Paramahansa Yogananda visse per molti anni.

Come ho già detto, è stato per me un privilegio incontrare Sri Daya Mataji, perché in sua presenza non si può fare a meno di sentirsi avvolti nell’aura spirituale di pace e di serenità che irradia. Fin da giovanissima, Sri Daya Mata si sentì spinta a seguire gli insegnamenti di Paramahansa Yogananda; evidentemente, la scintilla divina dell’illuminazione sprigionata dal suo Guru l’aveva già toccata in giovane età. E’ stata una delle prime seguaci di Sri Yoganandaji e ne è ora la degna erede spirituale nel diffondere il suo messaggio non soltanto in questo Paese e nel mio, ma in tutto il mondo.

Questo messaggio di pace e di serenità interiore, che permette la formazione di una personalità ben equilibrata e completa, è della massima importanza ai nostri giorni. Viviamo in un’epoca  tumultuoso e il ritmo dei cambiamenti è davvero spaventoso. Persino nelle nazioni più progredite molti si sentono insicuri a livello individuale, mentre nel terzo mondo esistono povertà, bisogni e sofferenze inimmaginabili.

Per risolvere questi problemi è necessaria una filosofia nuova, fondata sull’interdipendenza e sulla solidarietà a livello mondiale. Questo richiede un atteggiamento decisamente diverso, non solo da parte degli organismi politici che operano attraverso un’organizzazione internazionale come le
Nazioni Unite – che io ho servito per oltre diciannove anni – ma soprattutto da parte dell’uomo comune.

Abbiamo bisogno, ora più che mai, di esseri umani dotati di una personalità equilibrata e la via della realizzazione del Sé è un modo semplice e sicuro per conseguirla.

Quando i primi astronauti arrivarono sulla luna, guardando verso la terra esclamarono: “E’ così bella!”. Da quella distanza vedevano il nostro pianeta nella sua totalità e non suddiviso in paesi, continenti o regioni abitati da persone di razze e colori differenti. Se noi non siamo capaci di
vedere il mondo nella sua totalità, è poiché i nostri pensieri sono poco elevati. Possiamo superare facilmente questa limitazione con un po’ di immaginazione che ci permetterà di sollevare lo sguardo al di sopra delle ristrette divisioni che tendono a separarci, e di seguire gli insegnamenti
dei grandi santi e dei saggi che ci esortano a mettere in pratica l’amore, la compassione e la tolleranza.

Il messaggio di Sri Daya Mataji è quindi di grande importanza e di particolare rilievo in un’epoca di dubbi e di scetticismo. I suoi discorsi pubblicati in questo libro si innalzano come un faro di fede e di speranza e proclamano non soltanto l’unità della razza umana, ma anche l’unità dell’uomo con Dio.

——————

[…]

<La comprensione reciproca >

Casa madre della Self-Realization Fellowship
Los Angeles, California, 14 dicembre 1965

Dobbiamo comportarci sempre secondo la nostra vera natura di figli divini di Dio.

Qualunque cosa gli altri facciano per ferirci, dobbiamo dare in cambio perdono e comprensione. Se ci comporteremo in questo modo avremo il potere di cambiare i sentimenti che gli altri hanno nei nostri confronti. Si dovrebbe offrire a tutti con sincerità la mano dell’amore e dell’amicizia. Quando quella mano viene colpita – ogni volta che viene colpita – dovrebbe essere offerta di nuovo. Se qualcuno continua a respingervi, tenetevi in disparte per un po’ di tempo, ma continuate a inviargli in silenzio pensieri amorevoli. Siate sempre pronti a tendere di nuovo la mano dell’amicizia, quando se ne presenti l’opportunità.
Accettate gli elogi e le critiche senza emozionarvi in nessuno dei due casi. Sebbene a volte possa essere difficile avere a che fare con persone che ci criticano, dovremmo tenere conto di quello che dicono, se è costruttivo. Certe volte è giusto cercare di spiegarsi, e fare ogni sforzo per giungere a un’intesa, ma spesso dilungarsi in spiegazioni che possono sembrare soltanto delle giustificazioni è una perdita di tempo. In questi casi è più saggio limitarsi ad accettare in silenzio la situazione.

Il comportamento migliore è quello dell’umiltà divina cui si riferiva San Francesco d’Assisi quando diceva: “Accetta in silenzio e senza vendicarti i rimproveri, le critiche e le accuse anche quando  sono falsi ed ingiustificati “. Anche se ciò che si dice di noi è falso, anche se sentiamo che è ingiusto, saremo spiritualmente nobilitati se lo accetteremo senza discussioni e senza rancore. Lasciate il giudizio a Dio. Chi vuole conoscere Dio deve prima di tutto sforzarsi di piacere a Lui, non agli uomini.

Il momento di spiegarsi, o il momento di tacere, dipende dalle circostanze. Ma, in nessuna occasione, è il momento di vendicarsi. Lasciate sempre che sia Dio a giudicare. Le Sue leggi sono giuste; quindi, nel senso  più alto, non abbiamo mai bisogno di difenderci.

Esisteranno sempre persone che ci lodano e ci capiscono, o che ci denigrano e ci fraintendono. Dobbiamo prendere entrambi i giudizi per quello che valgono. Il nostro ruolo è quello di sforzarci sempre di vivere la verità nel modo migliore. Se ci rendiamo conto di avere fatto uno sbaglio,
dobbiamo immediatamente chiedere al Divino di perdonarsi, e quindi cercare di correggerci.

E’ inutile tentare di nascondere a Dio i nostri errori. Egli li conosce comunque. Possiamo parlargliene con fiducia e cercare il Suo aiuto per correggerli. L’immanenza di Dio fa di Lui un compagno divino, costantemente
presente, cui possiamo liberamente confidare i nostri sentimenti. Egli ci vede così come siamo.

Come possiamo chiuderci nel nostro egocentrismo, quando sappiamo di non essere niente senza di Lui. Una volta compreso questo, ha inizio in noi una lotta continua per raggiungere ai suoi occhi la perfezione. Chi è soddisfatto di sé non cresce più spiritualmente. L’egotistico autocompiacimento è un grave peccato nei confronti del più alto Sé. Chiunque smetta di lottare per migliorarsi si impoverisce spiritualmente.

Quando abbiamo torto, ammettiamolo. Non pensiamo di dovere avere sempre ragione. Questo non è onesto verso noi stessi. Avere una determinata opinione non la rende necessariamente giusta. Se qualcuno ci dimostra che abbiamo torto, dovremmo essere pronti e disposti a cambiare. Questo è il
modo per crescere e per diventare comprensivi. Non sono necessarie lunghe spiegazioni sui motivi del nostro sbaglio. Occorre semplicemente dire: “Mi dispiace, avevo capito in un altro modo”.

<Le incomprensioni aumentano quando non si comunica<

Quando qualcuno non ci comprende ed è arrabbiato, nulla di quello che possiamo dire servirà a fargli vedere chiaramente le cose mentre si trova in preda all’emozione. E’ meglio attendere finchè il nostro presunto antagonista sia calmo, e poi cercare di intendersi. Quando le persone smettono di comunicare fra loro, aumenta l’incomprensione. Finchè c’è un dialogo – non una polemica, ma una discussione aperta – c’è la speranza di coltivare la comprensione e l’armonia.

E’ importante non avere mai una mentalità ristretta. Il nostro Gurudeva Paramahansa Yogananda non lo tollerava in coloro che cercavano la sua guida. Chiunque desiderava stargli vicino doveva dimostrare di avere una mentalità aperta e di essere ragionevole.

Nel cercare di comunicare con gli altri, dovremmo sempre controllare i nostri moventi. Se col pretesto di cercare comprensione intendiamo soltanto imporre le nostre idee, il movente non è onesto, e quindi è sbagliato. Dovremmo sempre cercare sinceramente di comprendere gli altri, mettendo momentaneamente da parte il nostro personale punto di vista per immedesimarci nel loro modo di pensare. Dobbiamo comportarci così se intendiamo comunicare efficacemente con gli altri.

Se cerchiamo la verità, e non semplici giustificazioni delle nostre convinzioni, dobbiamo essere capaci di abbandonare temporaneamente ciò che crediamo sia giusto, e vedere la questione con gli occhi dell’altro. Lasciate che si spieghi. Poi, dopo aver ascoltato la sua versione ed averla considerata imparzialmente dal suo punto di vista, potremo fare presente il nostro parere. In altre parole, deve esistere un aperto scambio di idee. E’ probabile allora che entrambe le parti riconoscano di aver sbagliato, e si rendano conto che la verità si trova ad un punto intermedio tra le loro posizioni opposte.

Purtroppo, la maggior parte di noi si dà così tanto da fare per mettere in evidenza il proprio punto di vista e per convincere l’interlocutore, da non lasciargli neppure l’opportunità di esprimersi. Quando vi trovate in difficoltà con qualcuno, dimostrategli sufficiente rispetto tanto da permettergli di sfogarsi. Per quanto malevolo sia, per quanto si lasci sopraffare dall’emozione, non interrompetelo. Lasciate che si sfoghi. Poi rispondete con calma e gentilezza. Anche se stesse dicendo le cose più
sgarbate sul vostro conto, ascoltate rispettosamente e dite interiormente a  Dio: “E’ così? Devo sapere la verità. Signore, se davvero sono così devi aiutarmi a superare il mio difetto e a cambiare”. Ma se quella persona dovesse trascendere al punto di perdere la dignità ed offendere i principi
spirituali, e non soltanto il vostro orgoglio e il vostro ego, dovete resistere, dovete diventare d’acciaio. Offendere i principi divini è offendere Dio, e non dobbiamo mai rendercene complici. Gesù non difese mai
sé stesso, ma si mostrava forte, con le parole e coi fatti, quando la giustizia era calpestata.

Per concludere, il nostro dovere quali figli di Dio in questo mondo è di cercare la comprensione: comprendere noi stessi, gli altri, la vita e, soprattutto, Dio. Questo mondo potrà essere un posto migliore soltanto quando la comprensione regnerà nel cuore e nella mente dell’uomo. Gli esseri
umani devono imparare ad andare d’accordo gli uni con gli altri prima che anche le nazioni possano sperare di farlo.

Come cambiare gli altri
Ashram della Self-Realization Fellowship
Hollywood, California, 19 maggio 1965

Non dobbiamo mai permettere che il comportamento degli altri ci privi della nostra pace mentale. E’ difficile rimanere mentalmente calmi e frenare la lingua quando si è irritati dagli altri, ma nessuno può percorrere il sentiero della vita con successo se continua a dire a tutti coloro che lo
infastidiscono come devono comportarsi. I consigli non richiesti creano dei risentimenti terribili. Non dobbiamo cercare di imporre la nostra volontà o le nostre idee a coloro che ci stanno attorno, a meno che essi stessi non chiedano il nostro consiglio.

I neofiti sul sentiero spirituale appena provano un certo entusiasmo per la ricerca di Dio, spesso fanno l’errore di voler cambiare il mondo intero. Danno inizio a una rivoluzione spirituale in famiglia e compiono uno sforzo imponente per convertire il marito, la moglie e i figli. E’ molto
bello avere questo genere di fervore, ma provoca quasi sempre un senso di antagonismo.

Paramahansaji diceva invariabilmente a tali entusiasti: “Prima cambiate voi stessi; trasformate voi stessi e trasformerete migliaia di persone”. Nessuno vuole che gli si dica cosa deve fare, o meno che lui stesso non cerchi aiuto. A nessuno piace essere costretto ad ascoltare dei consigli. Quando è
pronto per ricevere un consiglio, lo chiederà, e lo vorrà da coloro con cui vive o che ama ed ammira, se si rende conto che nella vita di quelle persone si è determinato un cambiamento positivo. Ma, finchè il cambiamento si tradurrà soltanto in parole, o in pie azioni superficiali, il dubbioso
opporrà resistenza.

Siate un esempio di ciò che volete siano gli altri. Se avete la tendenza a perdere le staffe, a  rispondere male o ad usare parole aspre, se rimproverate i figli in maniera irragionevole, se siete nervosi e facilmente irritabili, pronti ad urlare e a parlare sgarbatamente, cambiate! Questo è
il modo migliore di cambiare chi ci sta attorno. E’ difficile, ma ci si può riuscire. I nostri sforzi dovrebbero essere diretti a fare di noi una persona stimata e rispettata, le cui parole abbiano un peso, una persona che parli mossa da saggezza e comprensione vere, mai dall’ira, dal nervosismo,
dall’invidia o dal desiderio di vendicarsi quando è stata offesa.
In India, un industriale di grande successo mi disse: “Sono scoraggiato e turbato; ho ulteriori problemi con mia moglie e con i miei dipendenti. Con loro uso sempre un tono brusco. Che cosa devo fare?”.

“Vuole la verità, o vuole che le dica ciò che spera di sentirsi dire?”.

“Voglio la verità”.

“Bene”, risposi, “Deve cominciare da se stesso. Lei è considerato un tiranno, sia dai familiari che dagli impiegati. In conclusione, gli altri le obbediscono non per amore, o per rispetto, ma perché usa la frusta. Di
conseguenza, non ottiene da loro il lavoro e la collaborazione che potrebbe ottenere. Deve imparare a rilassarsi: smetta di essere così teso. Dedichi un po’ di tempo ogni giorno a rilassarsi; si conceda un po’ di tempo per pensare a Dio. Supponga che fra un istante la vita le sia tolta, o immagini
di essere già morto”.

E’ un esperimento dei più interessanti. Vi accorgerete all’improvviso che tutte le vostre responsabilità non sono più vostre. Capirete quanto sia importante preoccuparsi un po’ di più del vostro futuro con Dio.

Poi gli dissi: “Se lo desidera, mentre sono qui, venga ogni pomeriggio ad ascoltare il satsanga1 e a meditare con noi”. Venne ogni giorno, e meditammo e parlammo di Dio.

Due anni dopo – ero di nuovo in India – uno dei suoi impiegati mi disse: “E’ un altro uomo; molto più calmo e più paziente. Per questo ora c’è maggiore distensione e maggiore armonia tra noi; riusciamo a lavorare meglio, perché non siamo sempre tesi e nervosi”. Questo è un esempio
meraviglioso di quello che il nostro Guru insegna sul sentiero della Self- Realization Fellowship.

Finchè sarete nervosi e tesi con vostro marito, vostra moglie o i vostri figli, essi reagiranno e si comporteranno in maniera analoga. Non può essere altrimenti. Quindi, se volete un’atmosfera diversa a casa, sta a voi prendere l’iniziativa. Non aspettatevi un cambiamento dall’oggi al domani
nell’ambito familiare; ciò accade raramente. Il cambiamento è un lento processo naturale. Ed anche se non avvenisse mai, non sentitevi scoraggiati o esageratamente preoccupati.

Guruji ci diceva: “Dio ha dato ad ogni essere umano un dono splendido: il segreto dei suoi pensieri. Nel pensiero egli può vivere e creare silenziosamente con Dio un rapporto di amicizia e di  comprensione che comincerà pian piano a manifestarsi nella sua vita intera, riflettendosi nei
suoi rapporti con la famiglia, la comunità, il mondo”.

Anche se chi vi circonda non cambia in maniera percettibile, il cambiamento che ha preso forma in voi vi rende meno vulnerabili al cattivo comportamento degli altri.

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